Non c’è nulla da fare. È una costante, un mantra che si ripete, quasi un copione scritto da un drammaturgo che ama il paradosso, un Samuel Beckett, insomma: il Bari non riesce a vestire i panni di una squadra “normale”. Non una compagine che perde perché più debole o per sfortuna, ma una che si trasforma puntualmente nel deus ex machina delle crisi altrui. Come una figura letteraria dantesca, il Bari sembra incarnare un moderno Virgilio, non nel guidare anime alla redenzione, ma nel condurre squadre in difficoltà fuori dalle tenebre. Una vocazione che ha più a che fare con il martirio che con lo sport, quasi che la squadra biancorossa si crogiolasse in questa bolla di autoflagellazione. “Tenda gnora”? No, esperienza visiva che dura dal 1961. Mio padre mi diceva la stessa cosa parlando dal 1931. E chissà i nostri bisavoli e trisavoli cosa ne pensavano col Liberty e con l’Ideale.
Chi mastica il Bari dai tempi più remoti conosce bene questa narrazione. Da sempre, raccontano i tifosi, il Bari è stato il pronto soccorso delle squadre in crisi. Una sorta di “primario ospedaliero” che resuscita squadre moribonde, rigenerando bomber a digiuno da mesi o restituendo competitività a compagini decimate da infortuni e squalifiche. Una vocazione taumaturgica che nemmeno il patrono San Nicola avrebbe osato rivendicare.
E così è accaduto a Palermo. I rosanero arrivavano alla sfida con tre sconfitte consecutive, in piena crisi di gioco e risultati. Dall’altra parte, il Bari aveva anch’esso il compito di arrestare una scia di negatività, ma, fedele alla sua natura, ha preferito stendersi sul lettino d’analisi, lasciando agli avversari il ruolo di pazienti guariti. Dionisi, tecnico esordiente dei siciliani, ha potuto brindare a una vittoria che ha il sapore di un placebo più che di una cura definitiva. Il Palermo ha creato poco, segnato grazie a una difesa biancorossa distratta, e rischiato di più, ma tanto è bastato. Ma è anche merito della difesa barese che ha saputo contenere la qualità dei palermitani perché gente come Brunori, Di Francesco, Ceccaroni, Ranocchia, Verre, Insigne, non sono ultimi arrivati. Contro il Bari, l’ordinario diventa sempre straordinario. L’impressione è che Dionisi non abbia salvato il posto. Tutt’altro. Ha solo preso un Brufen o una Tachipirina.
Certo, fa riflettere il fatto che una proprietà ricca come è quella del Palermo si affidi ad un neofita della panchina, Dionisi, che fino a qualche mese fa giocava ancora al calcio, anche contro il Bari di cui (e qui si aprono altri scenari) è stato spesso cecchino (un altro capitolo che meriterebbe un altro articolo a proposito dei cecchini che puntualmente quando vedono biancorosso si esaltano salvo poi rimanere all’asciutto per mesi e talvolta per anni). Dimostrazione che ogni mondo è paese, anche società sulla carta ricche, si affidano a neofiti e a belle speranze. Da una società che gestisce il City, francamente, mi aspettavo allenatori di una certa esperienza, ed invece ecco Dionisi a cui auguro, ovviamente, una brillante carriera.
A guardarne il gioco, ad occhio, sarebbe bastato un Cittadella, una Reggiana, una Sampdoria o un Brescia qualsiasi per infliggere loro la quarta sconfitta consecutiva, invece han trovato di fronte la Dottoressa Bari specialista in rianimazione.
Una sconfitta che fa male, sì, ma che, diciamocelo, era ampiamente prevista e quando si parte già con la consapevolezza di uscirne con le ossa rotte fa meno male perché uno se l’aspetta e non fa drammi, né recrimina più di tanto. C’erano le premesse per far bene e sicuramente meglio perché il Bari ha mantenuto il possesso palla per almeno buoni 70-75 minuti procreando però solo un paio di occasioni, troppo poco per poter sperare in una vittoria o quantomeno in un pareggio che mai come questa volta sembrava assolutamente alla sua portata. Ed invece eccoci a parlare di una sconfitta annunciata. Oggi si parla di un punteggio che non rende giustizia al Bari ma parliamo della solita musica, dello stesso spartito, delle solite cose, di un Bari capace di mantenere il possesso palla e non concretizzare nulla sotto rete. Mettiamoci pure che son tre partite che il Bari non segna un gol e che ne subisce puntualmente, e tiriamo la linea e vediamo cosa ne esce fuori.
Nel Bari ci sono giocatori che, presi singolarmente vedendo il loro cursus honorum, ci accorgiamo che stiamo parlando di gente di qualità, di gente che in questa categoria, dovrebbe quantomeno stazionare tra le prime tre squadre, ed invece si trova nel guado tra la chimerica parte sinistra della classifica e l’incubo di essere risucchiati nel girone infernale della parte destra, e se continua di questo passo, sicuramente verrà inghiottito, inutile creare illusioni e aspettative se non si cambia marcia.
Qui c’è Lasagna che non fa altro che andare incontro a pessime prestazioni oltre che a non segnare, cosa per la quale è profumatamente pagato e adesso si spiega come mai è finito sulle rive del Bosforo dove, peraltro, ha fatto così tanto male da tornarsene in Italia. Dove? Ovviamente al Bari che, si sa, per certi giocatori è una calamita inossidabile. Poi ha Novakovic che al di là di lodevoli prestazioni di sacrificio fatte di sportellate continue, è reduce da sei gol soli lo scorso anno in una squadra arrivata ultima in classifica dove ha stazionato per l’intero campionato, pagato anche lui soprattutto per far gol. E dove finisce? A Bari ovviamente. Poi c’è un certo Falletti dal quale il tifoso barese si aspetta – vivaddio – qualche giocata illuminante, qualche gol su punizione, qualche cross vincente. Macché, nulla di tutto questo. Il nulla, anzi stava per risultare dannoso con quel retropassaggio assassino verso Brunori che ha colpito la traversa. E di Sibilli ne vogliamo parlare? Forse è meglio tacere. E di Manzari che ogni qual volta viene chiamato in causa delude puntualmente? Di Favilli non mi pronuncio perché è avvezzo ad infortuni (altro capitolo che meriterebbe spazio quello per cui il Bari ama dotarsi di gente ai limiti della sanità fisica, anzi spesso oltre i limiti), senza dimenticare le involuzioni di Benali, Maita, Lella, ormai un giocatore irriconoscibile (ora si capisce perché né Manzari e né Lella giocavano titolari, tutto torna, c’è niente da fare), di Dorval che sa pungere in avanti anche se in questa occasione ha punto poco, ed è meglio che stia lontano dalla difesa, di Vicari che ormai è ombra di se’ stesso, di Pucino che non riesce più nemmeno a crossare un pallone, né di saltare l’uomo, né tanto meno di rendersi utile in difesa. I soli che sembrano garantire un po’ di continuità e di sicurezza sono Mantovani (con un recupero fondamentale ed efficace su un attaccante rosanero) e Radunovic che tende a rendere meno passivo il risultato. Non ne parliamo della panchina. Fossi in Magalini, e se avessi qualche spicciolo in più (…), la manderei via tutta così com’è per prenderne un’altra ex novo perché è soprattutto da lì che ci si gioca il risultato in una gara. Ma so bene che “come spendi mangi” e allora inutile star qui a illudersi per un mercato di gennaio aggressivo, tanto la panchina rimarrà così com’è al netto di qualcuno che si sente meno integrato (penso a Sgarbi, Simic, Manzari, Bellomo anche se per quest’ultimo l’impressione è che vivendo a Bari si accontenta di rimanere seduto in panchina), Matino, ma chi prenderanno? Chi è quella società così polla da disfarsi di giocatori forti, bravi, pronti per entrare in campo per 100 minuti con qualità? Chi è quella società pronta a disfarsi di giocatori del genere? Io francamente non ne vedo, Se tutto va bene si può puntare su gente come La Gumina che a Genova, a detta dei tifosi sampdoriani, accompagnerebbero volentieri a Bari pure gratis pur di levarselo d’attorno. E, guardando il suo score, non solo a Genova. Pensate un po’ voi come siamo messi male. La Padula? Costa troppo al pari di gente del suo calibro, posto che a Bari, poi, metta a segno 10-15 gol cosa che, onestamente, dubito. Arriveranno i soliti Puscas di turno, gente ai margini dei progetti, o gente in convalescenza. Dunque prepariamoci a questo punto ad un secondo campionato di sofferenza anche se, così a naso, non dovremmo giocarci la salvezza ai playout. Almeno spero.
Domenica prossima sarà il turno dello Spezia, una squadra in marcia verso la Serie A. Riuscirà il Bari a invertire la tendenza? Gli annali sembrano già scritti: più che risolvere la propria crisi, il Bari offrirà forse a qualche attaccante ligure in astinenza l’occasione di segnare. In fondo, è una vocazione inscritta nella sua storia, una forma di autoflagellazione che fa rabbia, ma che i tifosi ormai conoscono bene. Eppure, nonostante tutto, restano lì, a tifare, sospesi tra la speranza e la consapevolezza del ritorno eterno dell’uguale, per dirla con Nietzsche.
Questa è la parabola del Bari: un eterno ritorno, una croce che i biancorossi portano sulle spalle con un misto di rabbia e rassegnazione. Non resta che aspettare e vedere chi, questa volta, indosserà i panni del guaritore e chi quelli del guarito.
Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, se non altro, il Bari è riuscito a non far segnare Brunori che rientrava dopo due mesi e mezzo perché il Bari è specialista, storicamente, anche nel mettere in condizioni giocatori rientranti dopo mesi di far gol. E del francesino dal color Scheidler ne vogliamo parlare? Di questo giocatore ho visto il suo curriculum e mi sembra peggiore, o comunque meno prestigioso, di quello del buon Aurelian di cui tutti noi serbiamo un ottimo ricordo dal punto di vista umano e del sacrificio ma che ha fatto fatica a segnare pure nella Repubblica franca di Andorra (ora è in Belgio e ha messo a segno solo un gol da questa estate), e state certi che La Douaron non andrà oltre i quattro gol quest’anno, uno dei quali al Bari. Anche se c’è sempre la partita di ritorno per assicurarsi la patente di cecchino (solo) del Bari. Ci sarebbe una lista lunga di questi personaggi.
Massimo Longo