Il recital pianistico dei fratelli Lucas e Arthur Jussen rapisce e trasporta il pubblico della Stagione Concertistica 2024 della Fondazione Teatro Petruzzelli verso luoghi inesplorati

Il programma della Stagione Concertistica 2024 della Fondazione del Teatro Petruzzelli, continua ad incantare il suo pubblico, che accorre sempre più numeroso, attraverso la presentazione di artisti di rilievo internazionale come nell’evento che ha visto esibirsi sul prezioso palco due angeli biondi – infilati per l’occasione in eleganti completi neri – che portano il nome di Lucas e Arthur Jussen, musicisti dall’indiscussa bravura al soldo dei meravigliosi pianoforti a coda.

I due fratelli olandesi, rispettivamente di 30 e 26 anni, giungono dinanzi ai loro spettatori con un piglio sbarazzino e sicuro al tempo stesso e oserei dire anche divertito per ciò che di lì a momenti sarebbero e sono stati capaci di de-materializzare, sfidando finanche se stessi e chi ha avuto la fortuna di essere al loro cospetto, ignaro della loro esistenza prima di allora e della loro indubbia generosità.

La Sonata per pianoforte in Do maggiore KV 521 di Wolfgang Amadeus Mozart, prima composizione in programma, li vede posizionarsi sul medesimo lungo sgabello ed al medesimo strumento. I tre movimenti – l’Allegro, l’Andante e l’Allegretto – prendono vita attraverso due approcci fisici differenti, in linea, verrebbe da pensare, con i differenti hair styling, composto e morbido Lucas e scompigliato e impetuoso Arthur. Il gioco che al principio ci fa cercare delle differenze tra i due fratelli in modo da eleggerne un preferito, lascia però dopo pochi istanti spazio ad un unico pensiero che rimbalza continuamente nella nostra mente ormai obnutilata da una strabiliante perfomance che si eleva ancor di più per la scelta del repertorio che richiede un’empatia musicale “omozigota”, che fa sì che la musica prenda vita dalla memoria degli spartiti, passi per i due cuori che battono all’unisono per scivolare tra le quattro magiche mani.

Con l’Andante con variazioni in Si bemolle maggiore , op.46 di Robert Shumann, Lucas e Arthur si appropriano ciascuno del proprio pianoforte, posti specularmente in modo da creare un’unica e grande coda, rendendo difficile per lo spettatore catturare tutte le espressioni e sfumature musicali di una partitura rimasta unica pagina in questa formazione.

Con “Bunte Blätter” il duo pianistico ci presenta l’immaginifico pensiero musicale caratterizzato dalla libertà delle forme di Jörg Widmann, giovane compositore, direttore d’orchestra e clarinettista tedesco, la cui composizione è agli stessi ben nota per averla eseguita alla prima avvenuta a Bochum nel luglio 2022. In questa creazione musicale confluiscono talmente tanti tempi differenti e particolari (“Fanfare” nel primo movimento, “Walzer” nel terzo, “Danse macabre” nel quarto, per intenderci) da renderla fastidiosamente accattivante e tanto folle da poter essere pensata quale perfetta colonna sonora di un film di Stanley Kubrik, ma che già ci manca al suo spirare.

Dopo il secondo movimento “Fangspie” si comprende perfettamente cosa intendesse il loro direttore d’orchestra Michael Schønwandt, dopo averli diretti in concerto: “Dirigerli è come guidare contemporaneamente 2 BMW”. Ed è esattamente il concetto di potenza, al quadrato, che viene fuori prepotentemente quando li si ascolta, ma è una potenza che non rimanda ai motori citati ma è quella che con assoluto equilibrio non prescinde dalla leggerezza del tocco e dalla sublime interpretazione, che solo in questa occasione richiede l’ausilio dello spartito.

Al termine di ogni composizione il pubblico si spertica per far sentire il suo visibile apprezzamento, che più volte viene urlato a gran voce anche riferendosi ai fratelli come “due extraterrestri”.

Con Le Six Épigraphes antiques di Claude Debussy, si chiude una parentesi contemporanea e fuori dagli schemi per rientrare ed ammirare nuovamente i fratelli in un capolavoro del repertorio per pianoforte a quattro mani più propriamente classico. E con questa suite, che evoca una dimensione orchestrale, assistiamo ancora a nuove acrobazie pianistiche fatte di incroci di mani frequenti, che vedono le mani di uno invadere gli spazi della tastiera dell’altro, in difficoltà esecutive che si trasformano in melodie suggestive.

Il recital si chiude con la Suite n.2, in Do maggiore, op. 17, di Sergej Rachmaninov, per due pianoforti, composta in Italia dopo anni (non pare vero) di improduttività del compositore per via della depressione che lo colpì a seguito dell’insuccesso della Sinfonia del 1897. La partitura consente agli esecutori di ben integrarsi ciascuno nella parte dell’altro; i quattro movimenti apparentemente sembrano composizioni differenti ma la resa è quella che si immaginerebbe derivare da un’orchestra al completo. Gli umori che attraversano questa suite sono tanti quanti i movimenti che la compongono, l’introduzione è affidata ad una marcia energica che diventa un valzer brillante nel secondo movimento nel quale non passano inosservati una serie di accordi “pestati” che lasciano poi il posto ad una romanza che ci fa sognare posti ancora inesplorati, e la chiusura viene sugellata da una tarantella dalle proporzioni quasi orchestrali, anche qui, che impegna il duo fraterno in virtuosismi stellari (per riprendere l’esclamazione della mia appassionata vicina di poltrona).

La performance, che ha avuto dell’incredibile considerando il fragore degli applausi e delle numerose esclamazioni di “Bravi!” dalla platea al loggione, termina con estrema generosità dopo il secondo bis che suggella le evidenti e riconosciute doti pianistiche di Lucas ed Arthur, lasciando in me la certezza e la conferma di quanto letto in rete tempo fa, ovvero che “un musicista non può commuovere gli altri se non è egli stesso commosso”; se a questo aggiungiamo che i musicisti erano due, non potrà non comprendersi che anche l’emozione ne è stata raddoppiata.

Gemma Viti
Foto di repertorio

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