Martin Jacobsen, viandante del mondo con il suo sassofono, ha aperto un 2024 di partecipazioni di grandi artisti sul palco del Duke Jazz Club di Bari

Ancora una volta il Duke Jazz Club di Bari si conferma un luogo privilegiato per fare nuove scoperte. E questa volta è stato il turno del giovane (non giovanissimo) tenor sassofonista danese Martin Jacobsen, che si è esibito insieme ad un trio ben rodato, composto dal padrone di casa Guido Di Leone alla chitarra, Giampaolo Laurentaci al contrabbasso e Fabio Delle Foglie alla batteria. Un trio tra i più affiatati, e che non si è limitato ad “accompagnare” l’ospite. Una bella occasione per ascoltare assoli e fraseggi tra i musicisti sempre raffinati e calibrati. Di Guido Di Leone possiamo solo parlarne in termini positivi, sia come strumentista che riesce a ricamare il pentagramma musicale con le corde della sua chitarra, sia come padrone di casa, di una educazione senza pari.

Martin Jacobsen, nato a Copenaghen, inizia a suonare il sassofono tenore relativamente tardi all’età di 19 anni, spinto dall’ascolta degli standard Jazz degli anni ’50, in particolare del primo Miles Davis e John Coltrane. Fino a quell’età non aveva avuto modo di approcciarsi a questo genere musicale. Poi la scintilla che gli ha cambiato la vita. Dopo un primo periodo in cui ha preso lezioni del suo strumento, la sua formazione è stata essenzialmente autodidatta.

Nel corso degli anni ’90, Martin ha lavorato con una serie di giovani jazzisti di talento sulla scena di Copenaghen, avendo anche occasione di incidere con grossi nomi del panorama danese come Niels-Henning Ørsted Pedersen e con Benni Chawes. Nel 1995 si trasferisce a Parigi per una decina d’anni, dove ha modo di incontrare tantissimi musicisti locali e stranieri, ed anche di perfezionare il suo stile musicale. Dal 2016 inizia mettere radici anche in Italia, nel Salento, e a Seoul nella Corea del Sud. Negli ultimi anni di attività ha l’opportunità di esibirsi in tantissimi festival in tutto il mondo, incidendo il primo disco a suo nome nel 2003, collaborando anche a registrazioni con altri musicisti (in particolare, italiani quali Dino Plasmati, Michel Rosciglione, Fabio Mariani e Francesco Pennetta.

Nel 2017, il sassofonista ha contratto l’encefalopatia di Hashimoto, una malattia autoimmune che colpisce il tessuto cerebrale. È estremamente raro che presenti sintomi come (tra gli altri) problemi di linguaggio, mancanza di coordinazione, tremori e paralisi parziale. Jacobsen li ha incontrati tutti. Per circa tre anni è stato costretto ad abbandonare qualsiasi attività. La malattia gli ha paralizzato anche la bocca e la lingua: “Ho dovuto imparare di nuovo a parlare, oltre a poter suonare”. La sua capacità di parlare è tornata dopo diversi mesi di intensa riabilitazione, ma fino ad allora, racconta, “ero muto”, tagliato fuori dal mondo, sia con le parole che con la musica. Un impegno straordinario che lo ha visto vincitore.

La sua ultima uscita discografica è del 2021, dal titolo Straight Off, che ha confermato la sua posizione tra i più importanti sassofonisti europei di oggi. Ma la discografia di Jacobsen, nonostante la lunga parentesi, è estremamente ricca di album a suo nome (At the Jazz House del 2015, Live in Tokyo del 2013), sia con le collaborazioni già citate, realizzate nel periodo tra il 2004 e il 2010. Per oltre 25 anni si è dedicato all’insegnamento, tenendo seminari in Francia, Italia, Cina, Corea del Sud, Indonesia , Mongolia , Vietname Mozambico , e ha insegnato presso scuole di musica sia a Parigiche e Copenaghen. E’ anche autore di un libro sulla tecnica di improvvisazione, “Let’s Speak Jazz! A Conversational Approach to Jazz Improvisation for Saxophonists” (Parliamo di jazz! Un approccio conversazionale all’improvvisazione jazz per sassofonisti)”, pubblicato nel 2018.

Nel concerto barese (è stata la prima esibizione nel capoluogo pugliese), sono stati presentati dieci brani, molti dei quali appartengono alla tradizione degli anni sessanta come il brano iniziale “A weaver of dreams” di Victor Joung, o “This I dig of you” di Hank Mobley, o “Minority” di Gigi Gryce, insiene a due brani originali, composti da Jacobsen (Headway e Extraction), In particolare, l’ultimo brano del concerto prima del bis è stato scritto da Guido Di Leone. Come lui stesso ha sottolineato, questo brano (Lament for Jerry) è un brano dedicato a Jerry Mulligan, grande baritonista, registrato in un disco che raccoglieva una serie di omaggi realizzati in duo, con grandi maestri di strumenti diversi (Duets – Tribute, del 2006). Il brano dedicato a Jerry Mulligan era stato inciso con un altro grande baritonista Gary Smulyan, e mai più eseguito.

Un concerto particolarmente raffinato, ricco di emozioni. In ogni brano abbiamo avuto modo di ascoltare lunghi assoli da parte di Jacobsen e Guido Di Leone, ma anche Laurentaci e Delle Foglie hanno avuto modo di ritagliarsi ampi spazi in cui poter dimostrare la loro padronanza tecnica. Veramente un concerto di alto livello, elegante e coinvolgente. Ancora una volta dobbiamo dare atto a Guido Di Leone per le ottime proposte musicali, sempre di ottimo livello.

Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro

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