Grande prova dell’Orchestra della Fondazione Teatro Petruzzelli, diretta da Hansjörg Albrecht, e del suo prestigioso ospite Andrea Lucchesini

Alla vigilia della chiusura della Stagione concertistica 2023, la Fondazione Teatro Petruzzelli porta alla direzione della sua Orchestra l’illustre tedesco Hansjörg Albrecht, già direttore principale ospite per la musica sinfonica del Politeama barese dal 2022, in un concerto che ha visto, altresì, come rinomato protagonista il pianista Andrea Lucchesini.

Con Ludwig van Beethoven e la sua “Ouverture Leonore n.3, in Do maggiore, op. 72b” tratta dall’opera di Fidelio si apre una splendida serata musicale senza tempo di sapore viennese che, attraverso ciascuno strumento e le note che vengono librate al ritmo della sapiente bacchetta, si snoda in un sequenza di temi che si aprono e si chiudono per dar vita ad atmosfera ora meditativa ora più vibrante. L’ouverture si annuncia con un Adagio che simboleggia la discesa di Florestan nel carcere sotterraneo in cui i temi musicali ben esprimono appieno i sentimenti del reo che vive in una situazione di costrizione vieppiù strappato all’amore della moglie Leonore; ma, man mano che l’intraprendenza e l’azione della protagonista si fa più serrata al pari della sua ferrea volontà di volerlo tirar fuori da quella ingiusta detenzione ecco che i violini ed i violoncelli pian piano incalzano nel ritmo e nell’intensità a rinforzare la narrazione delle sue gesta.  Sotto le mentite spoglie maschili, Leonore riesce con caparbia, ma anche con l’aiuto del ministro Don Fernando, a liberare il suo amato marito dalle segrete ove è rinchiuso per volere di un tiranno che alla fine dell’opera viene arrestato con un’azione che ha del trionfale lieto fine che questa sera – probabilmente – a parere di qualcuno in sala- avrebbe potuto essere ancor più musicalmente enfatizzato aderendo così alle intenzioni che sicuramente voleva far prepotentemente venir fuori il grande compositore. Anche a voler condividere questo minoritario pensiero basato sulle trascorse ed attuali attività organistiche del Direttore Albrecht, non c’è chi non abbia fatto un salto dalla poltrona a seguito dell’imponente squillo di trombe sul sapiente incipit che, assieme alle percussioni, proclamava l’anelata liberazione di Florestan mentre gli archi ne narravano il felice congiungimento con la coraggiosa Leonore.

Con il Concerto n.1, in Do maggiore per pianoforte e orchestra op 15, di Ludwig van Beethoven, dedicato ad una sua allieva, entra in scena Andrea Lucchesini, le cui mani di velluto lo portano a suonare in tutto il mondo con orchestre prestigiose ed i più grandi direttori, confermando in ogni occasione la sua naturale capacità nell’uso dello strumento dal quale si irradiano melodie eseguite con raffinata tecnica, curata sin nelle piccole sfumature.  Nel primo movimento “Allegro con brio”, il più lungo tra i tre, la voce del piano discorre liricamente con una gioiosità che subentra nel tono marziale con il quale l’affiatata orchestra si impone sin dal primo momento. Ma la composizione lascia ampio spazio all’espressività del solista che attraverso i dialoghi intessuti ora dalla mano destra ora dalla mano sinistra in arpeggi e scale che sembrano non avere fine, sembra portare avanti un dialogo intimista ma leggero, che non lascia spazio a flessioni d’umore, anzi è capace di farci raggiungere una dolce estasi attraverso elementi melodici di chiara impronta beethoviana.

Il “Largo” del secondo movimento ci fa repentinamente mutare stato d’animo, ha su di noi un impatto nettamente nostalgico e a tratti cupo cui fa eco la voce orchestrale che, con la sezione dei fiati, sottolinea il tema delicato, quasi sussurrato  che accarezza l’anima ed il cuore. E’ questo a scandire il tempo, lento; i suoi impulsi sembrano dare luogo ai battiti che soavemente vengono scanditi dal piano e che muovono gli arti ora degli archi, ora dei fiati fino all’intenso pathos finale nel quale il piano si congeda su un pianissimo ed impalpabile arpeggio.

Con il Rondò finale del terzo movimento rientriamo prepotentemente in un clima festoso ma mai sovrabbondante, in cui le acciaccature (più note eseguite velocemente ed  avvertite come trilli) vengono fuori dalle sapiente mani di Lucchesini a rinforzare il tema “allegro scherzando” proprio del movimento stesso che fanno trascorrere velocemente quest’ultima parte che vede il Maestro congedarsi dal pubblico un po’ a fatica e se non dopo aver concesso l’acclamato bis, interpretando meravigliosamente uno degli  “Improvviso” di Franz Shubert nel quale definitivamente ci perdiamo tra le sue numerose prodezze pianistiche.

Nella seconda parte della serata l’orchestra del Petruzzelli riprende il suo protagonismo, dando sempre più prova dell’affiatamento e complicità tra suoi mirabili componenti, eseguendo, di Erich Wolfgang Korngold, la particolare e bellissima “Sinfonia in Fa diesis maggiore op.40”, di impatto marcatamente cinematografico.

Korngold, infatti, compositore austriaco di origine ebraica naturalizzato statunitense è stato, più che altro, autore di numerose colonne sonore, e questa sinfonia, l’unica nel suo curriculum, mantiene sicuramente le tracce di questa sua dedizione.

Fu dedicata alla memoria del Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosvelt, quale omaggio al Paese che sconfisse il nazifascismo e che gli dette rifugio negli  anni storicamente difficili che vanno dal 1934 al 1946 e che lo videro lavorare fortunosamente e profusamente per l’industria cinematografica. Sul palco sono presenti numerosi strumenti tra cui molte percussioni, l’arpa ed il pianoforte che enfatizzano, quasi spettacolarizzando, la partitura che ben potrebbe essere quella creata ad hoc per un film di guerra, ricco di pathos e drammaturgia in cui la fanno da padrona improvvise accelerazioni che sembrano aprire a colpi di scena che si chiudono, al termine del primo movimento, in un dimesso tono quasi di sconfitta.

Tecnicamente composizione assai ardua e sfortunata, per aver subito feroci critiche a seguito della prima e per la morte dell’entusiasta direttore d’orchestra alla vigilia della sua “nuova” presentazione al pubblico, è, al pari, imponente ed espressivamente ricca di ombre e luci, ricca nelle sue variazioni tematiche che però mantengono il filo conduttore dell’immanente, pronto a rievocare scene di tragica desolazione.

L’orchestra, a parere di chi scrive, anche per l’apporto del direttore Albrecht, che si distingue come innovatore musicale nell’ambito della scena musicale internazionale, anche per essere doppiamente impegnato nella sua attività di organista, si congeda con una potenza espressiva che sembra voler lasciare il segno all’interno del suo sempre magico teatro. Stordisce per bravura rendendoci, ancora una volta, orgogliosi di poterla annoverare tra le bellezze di questa nostra città.

Gemma Viti
Foto di copertina Clarissa Lapolla

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