La stagione «Periferie» della compagnia Crest di Taranto all’Auditorium TaTà con il sostegno della Regione Puglia, giovedì 7 dicembre (ore 21) apre lo sguardo sull’attualità con un poetico racconto sospeso tra teatro e danza, sulla necessità di emanciparsi per realizzare il proprio sogno: «La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza» di Alberto Fumagalli, che è anche regista con Ludovica D’Auria di questo pluripremiato spettacolo sulla «body positivity» coprodotto da Les Moustaches, Società per Attori e Accademia Perduta Romagna Teatri (i costumi sono di Giulio Morini). La pièce racconta la storia di un ragazzo grasso, ma leggero, con un’anima delicata. Talmente delicata che potrebbe sembrare quella di una graziosa principessa nordeuropea.
La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza andrà in scena anche per la Stagione teatrale “Bagliori” dei Teatri di Bari diretta da Teresa Ludovico sabato 9 dicembre alle ore 21 al Teatro Kismet di Bari e domenica 10 dicembre alle ore 19 alla Cittadella degli artisti di Molfetta. I biglietti della Stagione 2023.24 ‘Bagliori’ si possono acquistare al botteghino dei teatri e online sul circuito Vivaticket.
Interpretato da Damiano Spitaleri, Cicco Speranza vive dentro una vecchia e soffocante catapecchia di provincia, come una fragile libellula rosa in una teca di plexiglass opaco. Ma ha un sogno troppo grande per poter rimanere in un cassetto di legno marcio. Ciccio Speranza vuole danzare. Una bella impresa per chi abita nella remota provincia di un’Italia sperduta, dove la smarrita famiglia Speranza vive da generazioni le stesse lunghissime giornate.
Sebbastiano (Alberto Fumagalli) è il padre di Ciccio, violento e grave come un tamburo di pelle di capra in un concerto di ottavini. Dennis (Federico Bizzarri) è il fratello di Ciccio, con un’apertura mentale di uno che va a Bangkok e spacca tutto perché non sanno cucinare riso, patate e cozze. E Ciccio, nel fondo della sua fragilità, vuole scappare da quel luogo che non ha mai sentito come casa, raccontando con il suo linguaggio gutturale, il suo corpo grassissimo stretto in un tutù rosa, il proprio sogno, grande e impacciato. Ciccio appartiene a un mondo lontano, senza alcuna possibilità di esaudire i propri desideri. Il suo destino è segnato, il suo carattere è condizionato, la sua vita è soffocata da un ambiente che gli sta stretto, come un cappottino antigelo va piccolo a un bulldog inglese.
Dunque, perché rattrappire i propri istinti? Solo perché la cicogna ci ha fatto cadere lontano dalla terra promessa? Perché sentirsi schiacciati da una famiglia che non vuole conoscere un mondo che sta oltre il proprio campo di fagioli? Ciccio è pieno di sogni, a volte decisamente fuori dalla sua portata, ma ha il diritto di provarci e di vivere la vita che vuole. Ed è attraverso un linguaggio inventato, poetico e ironico nel suo impasto di dialetti, che lo spettacolo evoca una famiglia di provincia schiacciata dalla sua marginalità sociale, da un immobilismo drammatico e contemporaneo.
È una storia colma di disagio, giovinezza, identità e voglia di libertà. Ma il teatro consente di superare i pesantissimi limiti che ingabbiano l’esistenza del protagonista, che nel suo tutù vola come una farfallaccia, passando da una dimensione pesante e terrena a una leggera e sognante, con la quale catapultare gli spettatori in salti emotivi carpiati come in una commedia nera, ma tra barbabietole e muggiti stonati. Una commedia nerissima, simpaticamente reazionaria nei confronti di una società che tarpa le ali e anestetizza i sogni, prendendo il tono di uno spettacolo vitale, colmo dell’anima dei suoi personaggi, di Ciccio e della sua famiglia, destinati a restare negli occhi e nella memoria. E, forse, anche nel cuore.