Le “Musiche Vagabonde” di Sabrina Gasparini, Athos Bassissi e Gen LLukaci trasportano il pubblico dell’associazione “Nel Gioco del Jazz” in un viaggio sonoro senza confini

Un viaggio musicale senza confini è stato quello che, per l’associazione “Nel Gioco del Jazz”, Sabrina Gasparini (voce), Athos Bassissi (fisarmonica) e Gen LLukaci (violino) attraverso il progetto dal titolo “Musiche Vagabonde” ci hanno fatto idealmente ed emotivamente intraprendere in lungo e largo per tutta Europa per giungere in Sud America, dando vita ad una serata più che frizzante.

Grazie ai Maestri sul palco del Teatro Forma di Bari, ci perdiamo nel vasto repertorio senza tempo composto da canzoni stilisticamente differenti – note e meno note –  che traggono da musiche d’autore, scorci popolari e brani classici che continuano ad attraversare il tempo senza tuttavia subirne i naturali effetti, anzi, assumono una nuova veste interpretativa nella quale ciascuno dei tre artisti ne conferisce valore aggiunto.

Il primo evergreen della musica leggera cui viene affidata l’apertura della particolare kermesse musicale  e che scomoda piacevolmente Bixio Cherubini, paroliere, poeta ed editore musicale,  è  “Violino Tzigano”,  un tango spesso dimenticato che per la Gasparini rappresenta la sintesi del  vagabondare della band e che viene lasciato all’interpretazione dell’eccellente violinista tzigano Llukaci accompagnato dalla potente e meravigliosa fisarmonica del polistrumentista Bassissi.

Le atmosfere durante la serata cambiano repentinamente al pari delle luci che incorniciano l’ensamble, e le lingue con le quali vengono intonate le più diverse composizioni ma legate da un unico filo conduttore: l’amore. E questo non dispiace perché ci ha consentito di ri-ascoltare pezzi, non proprio contemporanei,  che ci hanno emozionato tanto come “Hystoria de un amor” nota ai più nella versione francese di Guadalupe Pineda ma che cantata in italiano dalla brava e bella Gasparini  ci ha fatto rivivere, per i pochi minuti richiesti dal brano, il rimpianto ed il dolore per un amore intenso e passionale che non c’è più, sottolineato dall’assolo della fisarmonica che è riuscita a rendere ancor più profondi quei sentimenti universali con una maestria che ancora rieccheggia in platea.

Passando da “Roma nun fà la stupida stasera” di Pietro Garinei e Sandro Giovannini, al “Valzer n. 2” tratto dal settimo movimento della “ Suite per orchestra di Varietà” del compositore russo Dmítrij Šostakóvič, presente in moltissime note pellicole cinematografiche, abbiamo sicuramente apprezzato “Picasso”, un “tango destrutturato” creato da Bassissi e liberamente ispirato alle opere del grande pittore surrealista del XX secolo, in cui la fisarmonica ed il violino ingaggiano quell’intimo passo a due musicale  in cui con estrema bravura alternano il canto, coinvolgente e appassionato, in un magico motivo che prepotentemente ci richiama in una milonga sudamericana.

Spostandoci in terra francese, rimaniamo affascinati dal testo de “ Les amants d’un jour”, la cui versione originale pentagrammata dalla pianista Marguerite Monnot,  fu portata al successo nel 1956 dall’indimenticabile ed unica Edith Piaf. Il testo in italiano, la cui traduzione fu curata da Herbert Pagani che scelse il più suggestivo titolo di “Albergo a ore”,  permette a Gasparini di condurci, con grazia e struggimento, nella storia – d’amore e di morte – vissuta dal cameriere di un albergo a ore nel breve arco temporale suggerito dal titolo francese.

Un giorno, la sua noiosa routine quotidiana … “Porto su il caffè a chi fa l’amore. Vanno su e giù coppie tutte uguali. Non le vedo più manco con gli occhiali” viene interrotta nel più terribile dei modi in quanto scopre che la coppia cui aveva dato la stanza migliore dell’albergo che “puliti, educati, sembravan finti, sembravano proprio due santi dipinti.“ scopre…”Aprendo la porta in quel grigio mattino. Se n’erano andati in silenzio perfetto, lasciando soltanto i due corpi nel letto”.

Val bene rammentare, tra le diverse cover di questa meravigliosa canzone nelle quali si sono misurati Gino Paoli, Ornella Vanoni  e Marcella Bella, quella particolare dell’istrionico Leopoldo Mastelloni il quale ne montò uno spettacolo in napoletano, intitolato “Hotel Syrena”, rendendo  protagonista una coppia omosessuale.

Llukaci, violinista di formazione classica dai natali albanesi, ma adottato dal nostro bel Paese poco più che ventenne, diplomatosi presso l’accademia di Belle Arti di Tirana vanta nel suo curriculum numerosi concerti sia come solista che in varie formazioni; il suo stile unico ed evidentemente duttile viene sugellato nella serata con un medley di musiche d’autore dedicate ai compositori Nino Rota, con “La Dolce Vita”  ed Ennio Morricone e in una versione sicuramente inedita perché le melodie più note, tratte dagli indimenticabili films “il Buono, il brutto, il cattivo” e “Mission” si fondono abilmente creando un’atmosfera del tutto unica e rarefatta; ed il primo fischio della storia cinematografico nel noto lait motif, riprodotto da LLukaci, che apre e chiude la sua esibizione, è accompagnato della fisarmonica, il cui solo uso del  mantice sembra riprodurre il leggero vento infuocato della Virginia del nord dove si svolge il mitico duello.

L’esecuzione di “Besame Mucho”, brano del quale non si può non elogiare l’autrice messicana Consuelo Velazquez che poco più che maggiorenne, negli anni ’50, ne scrisse testo e musica che le consentì, senza immaginarlo, di raggiungere un successo planeatario, l’atmosfera diventa più leggera tanto da canticchiare piacevolmente; cosa che facciamo anche  con le sentite interpretazioni di “Tu si na cosa grande” e “Caruso”.

Con “Sciuscià” (termine napoletano ma che deriva dall’inglese shoeshine/lustrascarpe), l’ispirazione alla composizione, per il Maestro Bassissi, trae da un altro grande iconico e classico cinematografico dall’omonimo titolo. La maturità tecnico-espressiva di alto livello che travolge il pubblico è resa non senza fatica per via del ritmo che richiede un’impiego velocissimo della fisarmonica (strumento che necessita impegno fisico per via del peso anche se si suona da seduti e capacità fuori dal comune per le attività da porre in essere contemporaneamente durante la traduzione dello spartito); le variazioni melodiche declinate con ritmo in crescendo, ci lascia con il fiato sospeso per i lunghissimi minuti che connotano l’esibizione da solista che non può che sfociare in un sentito plauso altrettanto lungo.

Il vagabondaggio musicale, volto ormai al termine, si chiude con due famosissimi brani, la “Cumparsita”, un tango che scherzosamente la Gasparini annuncia come “sconosciuto”, in cui i virtuosismi del violino e della fisarmonica dei maestri ancora una volta ci fanno sognare ambientazioni passate al pari del successivo “Oci Ciornie” (occhi neri, in russo). Il bis, chiesto a gran voce dal pubblico in sala, non pago di quasi due ore ininterrotte di ottima musica, lo accogliamo come inno alla vita. Gasparini, Llukaci e Bassissi si congedano, infatti, con una celebre canzone popolare ispirata ad una melodia ucraina composta dal musicologo Idelsohn nel 1918, all’indomani della fine della I guerra mondiale per celebrare la vittoria inglese in Palestina:  “Hava nagila” (Rallegriamoci!), che lascia in noi un sentimento bivalente perché se da una parte chiude una serata resa piacevolissima dai maestri che nulla hanno risparmiato di sé per renderla tale, dall’altra ci lascia una sorta di retrogusto dovuto al malinconico desiderio che tale inno diventi un’esortazione in tutte quelle parti del mondo in cui la pace è ancora lontana e a cui vorremmo dire: “Cantiamo e siamo felici. Svegliatevi fratelli, col cuore felice”.

Gemma Viti
Foto di Gaetano de Gennaro

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