Le musiche dei Maestri Gianni Lenoci e Francesco Scagliola affascinano il pubblico della XVIII edizione del Festival UrtiCanti

Il Festival “URTIcanti .. a Pablo”, nella sua 18.ma edizione, giunto quasi alla metà della sua offerta musicale, ha dedicato due serate alla musica elettronica, dando voce, dapprima, a Gianni Vancheri, Marta Gadaleta ed Ettore Fioravanti, con il loro “FLUET, stato solido creativo”, concerto interamente dedicato alla memoria del grande pianista compositore monopolitano Gianni Lenoci nel giorno del suo ultimo concerto (eseguito esattamente 4 anni prima), e poi, a cura del maestro Francesco Scagliola, si è dato lustro alla sezione della Composizione musica Elettroacustica del Conservatorio di Bari N. Piccinni con l’esecuzione della speciale “Music and electro-visual Art”.

La prima impressione è che pur chi fosse completamente a digiuno di questo nuovo “alimento musicale”, nuovo quanto lo sono i natali della musica elettronica, rispetto a quelli della musica acustica, dalla quale sorprendentemente deriva, da questa piccola full immersion, se ne esce con il desiderio di interrompere il “veganesimo acustico” per darsene quanto meno una possibilità.

Parlare di musica elettronica non è affatto semplice e può rappresentare un camminamento sugli specchi (talvolta rotti) se non si è mai coltivata la curiosità per questo genere di musica che ha mosso i suoi primi passi negli anni quaranta allorquando la “musica d’avanguardia” venne fuori dagli studi di registrazione di nuova concezione, ed ebbe modo di evolversi grazie all’invenzione dei sintetizzatori, divenuti col tempo i “nuovi” strumenti anche nelle mani dei più famosi dj, (molto dopo) capaci di mixare brani già esistenti e di creare sonorità dance ben più note alla maggioranza di noi, almeno in gioventù. Ma alla musica elettronica si pensa anche tutte le volte in cui qualunque brano viene prodotto, arrangiato o sintetizzato, appunto; così come il pensiero vola a molti strumenti classici che possono, ormai, con tale artificio, produrre suoni distorti, dando vita a nuovi registri sonori, a volte piacevoli, a volte meno.

Le storie narrate e la pluralità di sentimenti suscitati dalla musica classica, dalla lirica, financo dal pop, giungono al nostro apparato uditivo armonicamente, apparentemente prive di assonanze o, se si avvertono, vengono percepite quali campanelli che ci destano dal limbo nel quale ci hanno istantaneamente e magicamente trasportati. Diversamente, nella musica elettronica, le storie si approcciano a noi chiedendoci (al principio ed un po’ oltre) uno sforzo interpretativo ed immaginifico non proprio semplice, pur giungiendovi senza alcun tipo di pregiudizio all’ascolto.

Ed è così che, quantomeno “i non addetti ai lavori” apprezzano gli eventi promossi all’interno di questa nicchia.

Il trio composto da Gianni Vancheri alle chitarre, al clarinetto basso ed elettronico, da Marta Gadaleta, voce, addetta all’elettronica e ad oggetti sonori, e da Ettore Fioravanti alla batteria e percussioni, si presenta a noi per aver, ciascuno di loro diversamente e temporalmente, attinto alla linfa creativa del Maestro, icona del jazz moderno, Gianni Lenoci e per avere avuto l’opportunità, da parte della moglie di quest’ultimo, Annamaria Dibello – presente tra il pubblico – di entrare materialmente nello spazio musicale in cui hanno preso forma le più varie composizioni. E lo raccontano come stessero ancora camminando in punta di piedi, pur avendo chiuso la stanza dietro di sé, fieri di poter presentare agli astanti due dei suoi preziosi spartiti, “Graduale” e “New Tune”, arricchiti dai testi composti dalla Gadaleta.

In occasione della ricorrenza del 4 settembre, data che segna l’ultimo concerto di Lenoci, che troppo presto è stato sottratto alla vita terrena, come da idea delle attente padrone di casa che nulla lasciano al caso, volendo per l’occasione inserire in ogni edizione del loro festival esibizioni di musicisti che hanno in qualche modo avuto l’onore di conoscerne la grandezza musicale o di esserne semplicemente amici, il trio su composto gli ha dedicato il significativo “Lament Hoping” , brano che rappresenta da un lato il dolore per aver perso un maestro che ha lasciato un’eredità musicale, filosofica e di metodo unica, visionaria nel suo genere e la speranza che i semi, da lui sparsi in questa terra fertile, germoglino portando avanti i suoi preziosi insegnamenti fatti di scenari narrativi sonori incontaminati e puri da cui le nuove generazioni non possono che trarre un’infinita ispirazione.

L’esibizione si apre con una composizione che, senza troppa inventiva, come gli stessi scherzosamente sottolineano, prende il nome di “Opening”. Molte altre, invece, ci spiegano essere state il frutto di un lavoro corale che il più delle volte ha preso spunto dai quadri del grande pittore realista statunitense Edward Hopper. In essi, Vancheri, Gadaleta e Fioravante vi rinvengono sì solitudine, come nel caso del quadro intitolato “Automat”, che rappresenta una donna in compagnia di una sola tazza di caffè sola all’interno di una tavola calda, ma anche tanta luce che ispira e genera suoni e voci che un po’ ci restituiscono la stessa intensità che evoca l’istantanea dipinta.

“Rooms by the sea”, dello stesso Hopper, che raffigura una sezione di una stanza la cui particolarità è la sua finestra (senza visibili battenti) che si apre su un magnifico cielo azzurro riflesso sul mare, otticamente a livello della stessa, è l’altra immagine che evoca sonorità altrettanto profonde, quasi mistiche.

Il programma si chiude con un suggestivo ed intimo brano su musica di Vancheri e con testo tratto dalla poesia di Robert Frost: “Stopping by woods on a snowy evening”, che evoca le promesse da non tradire e le miglia ancora da percorrere prima di “addormentarsi” nel buio della foresta.

Nello spazio dedicato alle giovani promesse abbiamo apprezzato l’inusuale “4Sax Quartet” , composto da quattro ragazzi provenienti dal Conservatorio “N. Piccini”: Daniele Chiapperino, al sax soprano, Biagio Pugliese al sax alto, Gaetano Flora al sax tenore e Luigi Lovicario al sax baritono, che lavorano ormai insieme da un anno, essendo vieppiù amici, che dedicano molta della loro attenzione su trascrizioni e arrangiamenti di repertorio classico e moderno.

Tra quelli provenienti, invece, dall’Accademia Unika, della categoria under 18, Sofia Filograsso ha recitato, con evidente emozione, “Il tuo sorriso”, poesia di Pablo Picasso, cui, ricordiamo questa edizione del festival è dedicato.

Il concerto si chiude lasciandoci il testimone che ci conduce, dopo qualche giorno, alla fantasmagorica serata del 10 settembre durante la quale, all’interno del castello baronale di Cellamare, il cui chiostro acusticamente si presta perfettamente all’accoglienza musicale – tranne quando non viene, a volte, contaminata dai rintocchi della campana presente nella vicina torre dell’orologio – il Maestro Francesco Scagliola, titolare della cattedra di Composizione Musicale Elettroacustica presso il Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari, ha presentato la produzione del gruppo denominato “Sin[x]Thèsis ” del quale è parte integrante.

“L’arte come esplorazione dell’universo computazionale” è il brocardo cui si ispirano i concerti Acusmatici e Audio Video del mentore Scagliola e dei compositori elettroacustici, alcuni dei quali presenti in sala, da lui sapientemente accolti, istruiti e valorizzati, e dei quali vengono riprodotte tracce audio di una potenza evocativa sorprendente, come ancor più sorprendenti sono gli Artistic audio video.

Oggi immaginiamo di poter identificare “bug” discreti nei programmi. Ma la maggior parte di ciò che è potente là fuori nell’universo computazionale è pieno di irriducibilità computazionale, quindi l’unico modo reale per vedere ciò che fa è semplicemente eseguirlo e guardare cosa succede”.

La musica “acusmatica”, termine (e genere) al quale mi approccio come una bimba al suo primo giorno di scuola, è nata alla fine degli anni quaranta in Francia e altro non è che la musica per altoparlanti, che, per l’occasione, vengono alloggiati in numero di quattro nei rispettivi angoli del chiostro, e che hanno la precipua funzione di essere utilizzati per la “spazializzazione” del suono; apprendiamo, con curiosità, che questi ultimi, in determinate occasioni possono essere schierati in numero ben superiore rappresentando gli stessi, per intenderci, tanti strumentisti quante ne richiederebbe una “classica” partitura. Vieppiù tale genere di musica imporrebbe ai fruitori dell’ascolto un giaciglio orizzontale (tappetini yoga per intenderci) all’uopo predisposto al posto delle comuni poltroncine, e gli occhi chiusi al fine di meglio abbandonare i propri sensi nelle ardite costruzioni sonore di sapore futuristico.

Ogni audio ed ogni video viene preventivamente introdotto dal sapiente Maestro Scagliola che, con voce accogliente, illustra ciascun elaborato, sottolineandone ora la genesi, ora l’idea, anche filosofica, alla base delle rispettive riproduzioni, spesso e generosamente, esaltando le doti dei suoi allievi cui, al termine del concerto, rivolge altresì il suo sentito ringraziamento con la mano sul cuore, non senza sottolineare i numerosi riconoscimenti della Scuola nell’ambito dei concorsi Nazionali delle Arti.

Con gli occhi chiusi, per volere del Maestro, e nel silenzio nel quale si piomba quasi ipnoticamente, ci sembra di entrare in un universo parallelo privo di forme, che, complice l’avvolgimento acustico, ci fa letteralmente vivere attese, dolore, persino malesseri, come ne “ I giorni sospesi”, o la freddezza e la naturale cattiveria de “La Mantide”, o l’evidenza dell’essere nell’Etude II “Je suis ici”.

Non c’è brano che non ci lasci qualcosa di sé o non evochi sentimenti o immagini che rimandano al vissuto di ciascuno, ma anche a mondi in cui sono le emozioni ad essere il centro dell’universo, quasi fosse la musica elettronica a provocare questo strano effetto collaterale.

Mi sia consentito apprezzare personalmente la capacità del Maestro, la cui produzione musicale spazia dalla musica strumentale, a quella elettronica fino alle arti intermediali, di “aprire”, senza sforzo e senza inganno, anche con riferimenti filosofici, una finestra su un mondo musicale tutto da scoprire ed in continua evoluzione, che ha conferito un valore aggiunto non indifferente alla serata ed ai pochi al loro primo giorno di scuola. L’esperienza appena vissuta va fuori dagli schemi voluti dalla dottrina musicale, libera le forme ed amplia gli orizzonti musicali, illuminati ora da nuove visioni sonore.

Un plauso lungo e sincero, dunque, va rivolto non solo a questi grandi esploratori senza elmetto che hanno diffuso luce e sapere in queste due “nuove” serate all’insegna di un percorso musicale innovativo, non di semplice fruizione, ma anche a Raffaella Ronchi e Fiorella Sasannelli, la cui passione per la musica contemporanea è divenuta un faro per tutti noi.

Gemma Viti
Foto di Roberta Giordano

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