I tasti neri e i tasti bianchi: due colori per la stessa tastiera nell’entusiasmante finale del Beat-Onto Jazz Festival 2023

E anche questa edizione del “Beat Onto Jazz Festival” è andata. E come sempre i concerti proposti sono stati di altissimo livello. Doveroso, pertanto, fare un plauso al direttore artistico Raffaele Dimundo e all’organizzazione curata dall’Associazione musicale “InJazz”, guidata da Carmine Derenzio, (associazione finalizzata alla qualificazione e al miglioramento culturale, sociale e artistico dei soci e della collettività, attraverso la diffusione della musica e della cultura musicale, teatrale ed artistica in generale).

Prezioso il contributo di Alceste Ayroldi nel presentare magistralmente tutti gli appuntamenti del Festival, facilitando così l’ascolto e la conoscenza di ogni singolo artista.

La rassegna si è svolta dall’1 al 4 agosto a Bitonto, in piazza Cattedrale, uno dei luoghi più suggestivi del paese. Nonostante il tentativo da parte di qualcuno di voler sminuire la partecipazione, ogni sera la piazza si è riempita di spettatori provenienti un po’ da tutte le parti. Di contro, la politica dell’ingresso gratuito, fortemente voluta dagli organizzatori non sempre va di pari passo con l’attenzione con cui i più appassionati vorrebbero assistere ai concerti.

Tutte e quattro le serate sono state dense di interesse e hanno portato sul palco artisti straordinari. Forse è mancato il grosso nome che tutti si aspettavano (in passato abbiamo avuto il piacere di ascoltare nomi di primissimo piano quali Benny Golson, Leszek Mozdzer, Jimmy Owens, Eddy Gomez giusto per citarne alcuni a memoria).

Molto spazio è stato dato a ottimi musicisti pugliesi (Vince Abbracciante, Pierluigi Balducci, Mario Rosini, Aldo Di Caterino) e a splendidi musicisti italiani quali Bebo Ferra, Luciano Biondini, Lorenzo De Finti, Emilio Soana, Alessio Menconi, Alberto Mandarini, oltre ad artisti internazionali (Eri Yamamoto, Israel Varela, Andrew McCormac e Alfredo Rodriguez)

L’ultima serata in particolare, ha visto esibirsi sul palco solo musicisti stranieri, nella stessa tipologia di formazione (piano, basso e batteria) ma di estrazione completamente differente, presentando due modi (e due mondi) di suonare il pianoforte letteralmente agli antipodi. Tutti musicisti giovanissimi ma già molto affermati.

Il primo set ha visto la partecipazione del trio del pianista Andrew McCormack, con Joe Downard al contrabbasso e Joel Barford alla batteria.

McCormack, 45 anni, londinese di nascita, ha inciso il suo primo album nel 2006 e nello stesso anno è stato premiato con il “BBC Jazz Awards Rising Star”. Oltre alla sua attività personale, già dal 2007 è membro stabile del gruppo di Kyle Eastwood (figlio del mitico Klint) con cui abbiamo avuto modo di ascoltarlo a Fasano a dicembre 2021, mentre i più “giramondo” hanno potuto ascoltarlo il mese scorso, sempre con Kyle Eastwood a Perugia, sul palco del santa Giuliana per l’edizione numero cinquanta di Umbria Jazz.

Joe Downard, da anni residente a Londra, è uno dei bassisti inglesi più richiesti sulla scena londinese. Di recente ha prodotto un album dal titolo “Seven Japanese Tales”, fortemente influenzato dalla musica di Ambrose Akinmusire con il quale ha avuto occasione di perfezionare gli studi.

Joel Barford, giovanissimo (classe 1997), attivo anche lui a Londra, nella sua breve carriera ha avuto modo di esibirsi su tantissimi festival europei. Il suo drumming sostenuto ha creato una base perfetta su cui i suoi compagni hanno potuto esprimersi al meglio.

Andrew McCornack resta un virtuoso del pianoforte e per alcuni aspetti, il suo modo di approcciare la tastiera ricorda molto Brad Mehldau senza però esserne un clone. Durante il concerto sono astati eseguiti alcuni brani tratti dal loro ultimo album, “Terra Firma” pubblicato ad ottobre 2022, alcuni originali (Brooklin memoir, Sombody else’s song, Brooklin memoir), altri, un omaggio a Charlie Parker (Confirmation) o a Sting (Fragile). Un concerto suggestivo ed emozionante. Tutti e tre i musicisti hanno entusiasmato il pubblico, con assoli ricercati e momenti corali ben orchestrati. Non sono mancati applausi a scena aperta da parte del numeroso pubblico presente.

Il tempo di cambiare palco e sulla scena è arrivato un altro trio direttamente da Cuba

Con il pianista Alfredo Rodriguez, hanno suonato il bassista Yarel Hernandes e Michael Olivera. Ed improvvisamente l’atmosfera è cambiata radicalmente. Dal clima rarefatto ed intimistico di McCormack, si è passati al ritmo sfrenato di Rodriguez.

Cubano, classe 1985, figlio d’arte. Formatosi presso alcune scuole musicali in patria, il suo interesse per il jazz è iniziato con la sua partecipazione aal concorso annuale “JoJazz” riservato a giovani musicisti, organizzato dal Centro Nazionale di Musica Popolare dell’Istituto Cubano della Musica, dove ha vinto una menzione d’onore nel 2003. Nel 2006, Rodríguez è stato selezionato come uno dei dodici pianisti provenienti da tutto il mondo per esibirsi al Montreux Jazz Festival. E’ stata quella l’occasione dove Quincy Jones lo ha subito notato, offrendogli la possibilità di lavorare con lui. Nel 2007, ha fondato il primo Alfredo Rodríguez Trio, con Gastón Joya (contrabbasso) e Michael Olivera (batteria). Nel 2009 dal Messico, dove si stava esibendo con il gruppo del padre, ha deciso di attraversare la frontiera con gli Usa e chiedere asilo politico. Sono stati anni difficili, durante i quali la sua amicizia con Quincy Jones ha avuto enorme peso. Anche durante il concerto bitontino ha avuto modo di ringraziarlo per averlo sempre sostenuto e supportato.

Il suo stile pianistico, direi quasi forsennato, è un’intensa fusione di spirito e tecnica cubana e jazz.  Impossibile fare confronti e paragoni tra il primo ed il secondo set. Se nel primo set la padronanza tecnica dei musicisti ha sottolineato la ricerca di nuove e particolari sonorità, nel secondo set, da subito, è prevalsa la spensieratezza e il desiderio di muoversi a ritmo. Due tecniche agli antipodi.

Del giovanissimo bassista onduregno Yarel Hernandes è stato impossibile recuperare informazioni. La sua esibizione è stata uno spettacolo nello spettacolo, con un’espressione quasi teatrale.

Michael Olivera, classe 1986, anche lui di Cuba, batterista, produttore, compositore e arrangiatore, sin da giovanissimo ha sviluppato una lunga e intensa carriera professionale.

Dopo essersi formato in percussioni classiche, Michael Olivera ha completato i suoi studi presso la Escuela Nacional de Arte dell’Avana nel 2005. La sua carriera inizia in giovane età: nel 2002  Román Filiú lo inserisce nel suo quintetto; dal 2005 fa parte del gruppo rock afro-cubano Sintesis.

All’età di 26 anni si è trasferito a Madrid dove è diventato rapidamente una parte ricercata della scena jazz. Finora ha partecipato all’incisione di più di 50 album e numerosi progetti, ad esempio nelle band di Edgar van Asselt Vistel, Luis Verde, Pepe Rivero e Daniel García Diego. 

Olivera ha lavorato con  Quincy Jones,  Richard Bona,  Alfredo Rodriguez (TocororoThe Little Dream), Steve Turre, Rick Wakeman,  Javier Colina,  Sting,  Tomatito,  Iván Melón Lewis, Pablo Martín Caminero,  Jorge Vistel e Yonathan Avishai e ha preso parte a festival come il North Sea Jazz Festival, il  Montreux Jazz Festival, il  Festival International de Jazz de Montréal o il  Jazz Jamboree.

Nel 2016 ha formato la sua band (con Ariel Brínguez,  Marco Mezquida, Borja Barrueta,  Munir Hossn, Luis Dulzaides e Miryam Latrece) e ha pubblicato il suo album di debutto,  Ashé, una parola derivata dalla lingua yoruba che significa “Benedizione divina”. L’album è stato presentato più di cinquanta volte in Spagna in un solo anno e ha ricevuto buone recensioni anche a livello internazionale. Dopo il successo di Ashè, Olivera ci ha presentato il suo secondo album “OASIS” e ancora una volta ha affascinato il pubblico con un mare di melodie e ritmi accattivanti. Uno degli ultimi progetti di Olivera è una nuova formazione, The Cuban Jazz Syndicate, che riunisce il meglio degli artisti cubani attivi in Spagna.

Di lui, Chucho Valdes ha affermato: “… apre la strada a una nuova generazione di musicisti che danno un contributo magistrale all’ulteriore sviluppo della musica …”. Usando elementi di musica afro-cubana, jazz contemporaneo e flamenco, ha raggiunto una bella fusione di stili diversi con le sue composizioni e arrangiamenti.

Un gran bel finale del Festival travolgente in ogni senso, con un medley di brani tradizionali cubani, a partire da Guantanamera, per finire a Besame mucho. Più volte Alfredo Rodriguez ha sottolineato le sue esecuzioni con la voce con brevi vocalizzi, e sostenuto dal canto corale di tutto il pubblico presente. Tre musicisti di grande spessore e dotati di una tecnica invidiabile. Ne sentiremo parlare a lungo.

Ormai il sipario del Beat Onto Jazz Festival 2023 è calato. Il bilancio è senz’altro positivo.  Un plauso a chi ha sostenuto il Festival già dal 2001, a cominciare dall’Amministrazione Comunale e i tanti sponsor privati. Piazza Cattedrale resta la “location” privilegiata. Occorrerà escogitare qualche intervento per fidelizzare anche la fascia più distratta del pubblico.
Arrivederci alla XXIII edizione.

Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro

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1 commento su “I tasti neri e i tasti bianchi: due colori per la stessa tastiera nell’entusiasmante finale del Beat-Onto Jazz Festival 2023

  1. Saverio Mattia Rispondi

    Per chi non ha partecipato una sintesi chiara e completa di suggerimenti per il futuro successo della pregevole iniziativa. Complimenti all’autore.

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