Brad Mehldau, Larry Grenadier, Jeff Ballard: la perfezione alchemica del trio jazz cattura il pubblico del Ritratti Festival 2023

La XIX edizione del “Festival Ritratti“, nato da un’idea di Antonia Valente e Massimo Felici, ha ospitato il “Brad Mehldau Trio” che, nella splendida cornice della Masseria Spina, ci ha consentito di ritrovare pienamente, in un tempo rallentato, un calore musicale ancor più sottolineato dal rosso caratteristico delle mura della dimora storica che ne ha fatto da sfondo nella magica serata di questo asfissiante luglio 2023.

Il noto e solidale trio jazz a stelle e strisce nasce nel 1994 e, oltre al precoce bandleader pianista Brad Mehldau, vede tra le sue fila al contrabbasso il composto Larry Grenadier ed alla batteria l’affabile Jeff Ballard, giunto nella band “solo” nel 2005 al posto di Jorge Rossy.

La band, della quale è subito evidente l’affiatamento e la complicità, sebbene ognuno dei suoi componenti sembri avviluppato nel proprio strumento, consegna al pubblico un repertorio che a tratti guardava a proprie vecchie produzioni ed a tratti reinterpretava, in magistrale chiave jazz, rielaborazioni di canzoni e cantautori che spaziavano dai Radiohead ai Beatles, passando per Nick Drake, solo per citarne qualcuno.

Il pianoforte, nelle mani dell’artista tra i più celebri del jazz contemporaneo, già ospite del Festival Ritratti in veste di solista nel 2019, sugella il nostro plauso ed il corredo delle emozioni che ci hanno condotto a lui ed alla sua band, con il suo personale ed unico modo di creare e interpretare musica di genere ed estrazione che nulla ha a che vedere con l’evoluto ed unico mondo del jazz.

Tra tutti, il quarto brano in scaletta eseguito è quello che ci inorgoglisce particolarmente, poiché è tratto dal vasto repertorio musicale italiano degli anni sessanta, il nostalgico, languido e sempre vivo brano “Estate”, già magnifico standard nelle mani dell’indimenticabile Michel Petrucciani, composto dal cantante-pianista Bruno Martino, che incanta e rapisce nella versione elaborata dal trio, che la rende ancor più struggente e malinconica, conferendole una bellezza eterea e sicuramente senza tempo, regalandoci la voglia di canticchiarla mentalmente portando il ritmo con il capo. Al pari, non possiamo fare a meno di abbozzare un sorriso pensando che un’”estate” così, siamo sicuri, Brad, Larry e Jeff non abbiano mai avuto la fortuna/sfortuna di viverla (leggere in base alla personale tolleranza delle straordinarie temperature di questi tempi).

I brani si succedono mettendo in scena una vera e propria atmosfera alchemica che viene sottolineata dal mutare dei colori che si irradiano da tubolari sparsi con sapiente ingegno sul palco: l’arancio ed il rosso ci conducono in estive e romantiche atmosfere, il verde e l’azzurro, diversamente, in fresche o energiche variazioni musicali, interrotte solo dagli applausi a scena aperta nei quali il pubblico si lancia con vigore. Ed è il verde ad enfatizzare l’assolo pirotecnico del californiano Jeff Ballard, che curiosamente, suona dal principio alla fine fissando un punto nel suo orizzonte, vuoto (crediamo), destando in noi una certa curiosità ma solo per pochi istanti, poiché non è lontanamente ipotizzabile farsi distrarre da certi piccoli particolari al cospetto di cotanta incontenibile bravura che, ai nostri umili occhi, ci conferisce la sensazione e la certezza che il suo talento venga espresso senza una briciola di fatica anche e perché sottolineata da un sornione sorriso onnipresente.

Crediamo di esprimere il parere della maggior parte dei cultori del genere in sala se riteniamo l’esecuzione, a chiusura di un concerto artisticamente equilibrato, di “Secret love”, la cover con la quale l’insostituibile trio ha riletto un classico country, noto per essere stato scritto per l’usignolo biondo Doris Day nel 1953 alla vigilia del lancio del noto film “Calamity Jane”, in un brano lirico, di assoluta intima bellezza che, grazie anche al morbido incedere delle spazzole sul rullante e della puntuale “pizzicata” del contrabbasso, ci ha restituito la delicatezza ed il romanticismo proprie del canto originale.  Anche noi, ora, non possiamo che avere un amore (affatto) segreto che alla prossima occasione “urleremo dalle colline più alte” e che porterà il nome dei tre alfieri che hanno padroneggiato il palco questa sera.

L’ensemble si congeda non senza accontentare quella parte di pubblico che richiede, quasi fosse obbligo, il bis che, a parere di chi scrive, non sempre a dirla tutta risulta piacevole; non perché i musicisti di turno non meritino il plauso sincero di un fruitore felice, ma perché ci sono eventi, luoghi, tempi ed atmosfere che così come vissute saziano talmente cuore e spirito da rischiare di perdere il loro prezioso tributo ove paradossalmente vissute oltre misura.

Gemma Viti
Foto dalla pagina web del Trio

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