21 giugno 2023. Festa della musica ovvero il giorno del ringraziamento.

Cerreto Alpi 2016

Perché chiunque ami la musica sa che può essere la colonna sonora di interi pezzi di vita.
E può anche cambiarla, la vita.
Allora occorre usare bene il proprio tempo, per esempio per ringraziare.

CERRETO ALPI, aprile 2023.

“E tu saresti il Vanni La Guardia che ha viaggiato questa notte da Gioia del Colle per venire qui a trovarmi? Ora devo andare a messa da padre Maurizio ma poi torno, non voglio perdermi questa follia”.

Melpignano 1998

Così mi accoglie Giovanni Lindo Ferretti, quando arrivo a Cerreto Alpi. Abbassa il finestrino del suo fuoristrada, occhi strizzati, mezzo sorriso e la testa che ciondola appena, quindi si allontana per raggiungere la chiesa.

“Certo le circostanze non sono favorevoli”. Me lo aveva detto, Erika, sua nipote. D’altronde difficilmente possono esserlo per un settantenne (il 9 settembre prossimo) che assiste in casa uno zio quasi centenario, in un paese lontano (tra l’altro) da ospedali e pronto soccorso. Sono arrivato qui, in punta di piedi, consapevole che mi sarebbe bastato dirgli “grazie” e tornare indietro.

Di sicuro, sin da quando avevo deciso di tornare a Cerreto Alpi, mi ero ripromesso di non ripetere la performance sfoderata con Gianni Maroccolo a Melpignano, nel 1998.

Insieme a Marco Mathieu, è stato il bassista che mi ha spinto a scegliere le 4 corde. Di conseguenza, ho passato anni e anni a pensare a cosa avrei potuto dirgli, una volta incontrato.

L’occasione arriva inaspettata per l’appunto a Melpignano, Anno Domini 1998: concerto dei C.S.I. davanti all’ex Convento degli Agostiniani. Sul palco Ferretti esordisce così: “Viviamo tempi pesanti, vi proponiamo musica pesante” e parte il basso martellante di “Emilia paranoica”. Alla fine, esaltato da tutta quella splendida potenza poetica e incendiaria (il mio amico Pippo ci rimise un paio di occhiali caduti nel pogo scatenato da “Mimporta ‘nasega” e mai più ritrovati… polverizzati), mi infilo sotto al palco, zigzago tra sostegni e strutture metalliche e sbuco nel backstage, nel bel mezzo dei C.S.I. disposti a semicerchio. A meno di due passi, Maroccolo. Mi vien fuori solo un penoso “Sei un grande”. Sipario.

Ma torniamo a questo aprile 2023. Giovanni è a messa. Ho una trentina di minuti per passeggiare in paese e rilassarmi un po’, dopo numerose ore passate in treno da Gioia del Colle a Bari, poi Bologna, poi Reggio Emilia (dove mi accoglie l’enorme scritta “Grazie Reagan, bombardaci Parma”, sotto un cavalcavia) e infine l’auto a noleggio con cui percorro una strada che sembra concepita apposta per disegnare, sempre diverse ad ogni curva, cornici attorno all’imponenza solitaria e singolare della pietra di Bismantova e ai calanchi che, in un cortocircuito geo-emotivo, mi ricordano l’amata Lucania.

“Viaggiano i viandanti, viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti”.

Difficile perdersi tra queste case in pietra, Cerreto Alpi conta meno di cento abitanti; decisamente più facile farlo tra lo scrosciare del torrente e queste nuvole bianche che affrescano l’azzurro di un cielo che, ricordo, nella Festa del Ritorno ai Monti di 7 anni fa, dopo un tramonto mozzafiato, lasciò spazio alle stelle, presto mescolatesi al pulsare delle lucciole nei boschi tutt’intorno.

Giovanni torna dalla messa, apre gli scuroni delle finestre a piano terra. Mi conferma quanto Erika mi aveva anticipato; gli dico, senza andargli dietro, che sarei già molto felice di spiegargli brevemente e di persona il mio “grazie” e andare subito via. Lui con un largo sorriso e un ampio gesto del braccio mi invita a seguirlo.

Va in cucina a preparare il caffè, io lo aspetto seduto in una stanzetta tagliata dalla luce che entra dalla finestra e mette in risalto libri, stampe e cartine geografiche che rappresentano una sorta di meraviglioso compendio dei testi dei C.S.I. e P.G.R.
Prendo dallo zaino un’altra bottiglia di vino Primitivo di Gioia del Colle (la prima l’ho regalata ad Erika – così gentile e disponibile con me – prima che tornasse a lavoro) e una confezione di mozzarelle. Conosco tanto di Giovanni Lindo Ferretti attraverso dischi e libri, vorrei provare a fargli conoscere un po’ di me. Considerato il tempo assai limitato a disposizione, credo che raccontargli di due prodotti tipici della terra in cui sono nato possa essere un buon inizio. E poi vorrei parlare di musica il minimo indispensabile.

Mentre rimetto ordine tra questi pensieri, torna con un piccolo vassoio, una caffettiera fumante e mi chiede se voglio anch’io della sambuca nel caffè. Certo, impossibile resistere a quegli aromi così armoniosi, insieme.

Gli porgo la bottiglia di Primitivo e gli racconto che, secondo alcuni, la provenienza di quel vitigno impiantato a Gioia del Colle alla fine del ‘700 dall’abate primicerio Francesco Filippo Indellicati ha a che fare con i suoi amati, cantati e vissuti Balcani. Mi chiede altri dettagli sull’origine del nome (dovuto alla maturazione precoce), vuole riferire tutto ad Erika e alla badante che lo aiuta in casa.

Le mozzarelle, invece, mi danno la possibilità di parlargli del controverso rapporto col mio paese natale, beffardamente richiamato dall’intolleranza al lattosio. Ho smesso di indagarne i motivi, lasciando spazio ad un’attenta ricerca personale e familiare. Questa, gli racconto, ha disegnato idealmente una “geografia dei miei nonni”, che mi ha portato a Stigliano, il paese più alto della montagna materana; a Castellaneta Marina dove, in acqua e con il mare alle spalle, è facile abbracciare con lo sguardo la curva che unisce Puglia e Basilicata; alla stazione di Gioia del Colle, capolinea della ferrovia che parte da Rocchetta Sant’Antonio e, prima di rientrare in Puglia, percorre un bel tratto lucano; alla mia casa natale.

Annuisce, mi sorride, poi si alza per portare in cucina le tazzine ormai vuote e ritorna con un sacchetto di farina di castagne in dono. Mi racconta che è l’unico prodotto rimasto a Cerreto Alpi per merito della preziosissima attività (tra le numerose altre) svolta dalla cooperativa “I Briganti di Cerreto” (www.ibrigantidicerreto.com), di cui Erika fa parte. Quella di quest’anno è particolarmente gustosa, al punto che mi confessa di mangiarne di tanto in tanto a cucchiaiate, direttamente dalla busta. Il vino, invece, qui non è mai stato particolarmente buono; lo importavano a dorso d’asino, evitando rigorosamente il lambrusco, per scongiurare l’effetto geyser. Le attività artigiane e di trasformazione un tempo assai operose non ci sono più; si produceva dell’ottimo formaggio e, fosse per lui, mangerebbe solo quello. Ma il presente gli suggerisce che il borgo è destinato inesorabilmente a morire.

Cerreto Alpi 2023

Ricordo bene il profumo delle frittelle di castagne e del formaggio caldo, durante la Festa del Ritorno ai Monti, lo sferragliare di coltelli e forchette sui tavoli del circolo, il vociare della festa. Eravamo al centro del mondo. E’ al centro del mondo ogni posto in cui il tempo torna a misurarsi con il lento, rispettoso e incantevole mutare delle stagioni; lo spazio è tracciato dal rumore dei passi sul selciato; l’anima si nutre del senso di una comunità che resta fiera, accogliente. Seppur in graduale dissolvenza. “Eri a Cerreto anche in quella occasione?”. “Sì”, gli rispondo, aggiungendo che non mi sono limitato ai concerti. Gli ricordo l’intenso seminario che tenne al teatro Kismet di Bari, nel 1996, quando presentò in anteprima il videoclip di “Cupe vampe”. Gli confesso che mi sono anche intrufolato in Villa Pirondini e che mai ho sentito un riverbero più intenso e prolungato di quello che lì vibra naturalmente ad ogni passo o parola. Difficile descrivere le sensazioni provate in quella villa, a tratti contrastanti, certamente travolgenti. Tra queste, nitido, un profondo, immutabile senso di gratitudine.

Entra in stanza il suo cane, si accuccia ai nostri piedi. Giovanni mi racconta che oltre il torrente abitava Gianaccia, il matto del paese, tanto legato al rituale del caffè al bar, da rischiare l’arresto nei mesi del coprifuoco pandemico. Aveva con sè molti gatti che, senza mai oltrepassare il ponte/muro di Berlino, scrutavano insolenti i suoi cani (l’ultimo dei quali – non a caso di nome fa “Scampato” – è quello che adesso ci fa compagnia, in un grigio e peloso tripudio di dread).

Morto Gianaccia, dopo un breve peregrinare, i gatti hanno vinto le ultime resistenze e deciso di farsi adottare da Giovanni. Spesso si piazzano dietro le finestre a reclamare cibo. Tranne uno, cattivissimo (lo ha chiamato Putin), che si aggira nei boschi, dove lo incontra di frequente, pressochè sempre malconcio.

Mi parla degli acciacchi di un quasi settantenne; della fortuna di avere, tra chi se ne prende cura, un fan dei CCCP; della difficoltà a concentrare spesa e commissioni varie nei pochi giorni in cui ha il supporto della badante; della crescente fatica che fa a prendere l’auto per raggiungere Reggio Emilia, lui che ha sempre amato guidare.

Eppure non vorrebbe essere in nessun altro posto che qui. Che sia un luogo reale o meno, il ritorno a casa è questione che – prima o poi – riguarda molti tra noi. Accade che possa generare pace interiore e armonia tutt’intorno: “Anche se una casa è a rischio crollo, quell’armonia saprà tenerla su”, mi dice.

Durante una recente ristrutturazione di un’ala dello stabile, i muratori hanno scoperto diversi archi stratificati, riassunto materiale della storia di generazioni in successione. Mi racconta che spesso la sera, mentre fuma l’ennesima sigaretta, si ferma a osservare quell’angolo, rapito dai decenni che lo hanno preceduto.

Le parole di “Non invano” prendono forma. “E’ il mistero del vivere ad attrarre ogni mio interesse, vi trova giustificazione o motivo di consolazione. E’ una necessità carnale e materica riflessa nel paesaggio, assemblata nelle architetture rurali, civile, religiose”.

Cerreto Alpi 2023

Con quelle, prende forma anche il mio grazie. Provo a spiegarlo. Parte dalla scoperta del punk di “Affinità divergenze”, dall’Ortodossia di margini musicali che accoglievano sconfitti e dimenticati, facendoli sentire meno soli. Da quei margini sono poi partiti faticosi percorsi personali, lontani dai banchetti più affollati e dai mercati abbaglianti di offerte, omaggi e saldi. “Palpitazione tenue”. Adesso sono diventati margini geografici che ritrovano nel loro isolamento spopolato la carica spirituale che alimentava la disperata potenza del punk e che permette ancora, a certe latitudini, di riconoscersi, comprendere, distinguere, scegliere, mutare indirizzi e intendimenti esistenziali.

Il punk/hardcore italiano non è una storia da imitare – semplicemente perché irripetibile – ma serve a persuaderci che in fondo, forse, è ancora possibile inventare mondi nuovi. “Noi siamo degli acini maturi ma piccoli in un grappolo di uva puttanella” scriveva Rocco Scotellaro.

E’ tempo di andare. Un ultimo sguardo a quegli scaffali fitti e imbarcati: noto, poggiato sulla quarta di copertina, “Collezione di attimi”, il libro fotografico sui Negazione. Un altro cerchio che si chiude.

Giovanni mi accompagna all’auto. “Fai buon viaggio, Vanni”. L’abbraccio è lungo e forte e il viaggio, più che buono, da 34 anni è consapevole, incantevole e permeabile anche grazie alla fortuna di averlo incontrato.

Metto in moto, ringrazio idealmente e “a cuor contento” Erika per la pazienza benevola e il tempo che mi ha sempre dedicato, allargo lo sguardo sull’orizzonte mentre scendo dal paese. Citazionismi strumentali e giudizi sommari, insieme a molto altro, scivolano lungo questi 960 metri sul livello del mare, inghiottiti da una luce gentile che si fa spazio fuori e dentro me.

TORINO, gennaio 2023.

Non è tanto “normale” farsi 10 ore di treno (quasi 11, considerando il ritardo accumulato…) per un release party. No, non lo è, infatti. E’ semplicemente necessario, quando senti il dovere di dire “grazie” a band che, con la loro storia (e quindi il loro esempio) e le loro canzoni, ti hanno cambiato la vita.

Tutto sembra incastrarsi alla perfezione, sin dall’arrivo alla stazione di Porta Nuova, scintilla per la mia memoria che torna subito alla primavera del 1999, quando per la prima volta sono venuto a Torino per incontrare Tax, in via Ormea, dopo un appuntamento preso per telefono (fisso, niente cellulari allora) e cabine e dopo scambi di lettere, con lui, Marco e Zazzo, e pacchi postali che contenevano magliette, poster, fotografie, musicassette e prodotti pugliesi.

Quante domande sui Negazione gli feci! Per questioni anagrafiche li ho conosciuti soltanto due anni prima dello scioglimento. Quanta pazienza ebbe, Tax, nel rispondere a tutto. Mi invitò alle prove degli Angeli ma l’ultimo treno per tornare a casa non me lo consentì. Enorme rimpianto.

Tutto sembra incastrarsi alla perfezione, dicevo. Il titolare del B&B “Piazza Vittorio” dove alloggerò stasera di cognome fa Donvito e scopro essere originario di Gioia del Colle, il paese dove sono nato e dove – dopo diversi trasferimenti e traslochi – abito. Ha un cugino gioiese, Vincenzo Tangorra, che suona la chitarra in una band, i WISE. Lo conosco, in fondo qualcuno una ventina di anni fa ha definito in maniera giocosa Gioia del Colle la “Seattle del Sud Italia”, tanto che qui è nato il progetto “Rockerella”, un festival, una compilation presente su SoundCloud e un documentario in DVD che ne racconta la storia musicale dagli anni ‘50 ai giorni nostri, poi riversato su YouTube.

E quanta Puglia c’è nei Negazione, da nord (Foggia) a sud (Taranto)! E di cosa si poteva parlare con Alberto dei Kina, al mio arrivo al Blah Blah? Dei Kina in Puglia, de La Giungla di Bari, dei tantissimi “Nicola” conosciuti (potrebbero bastare i Chain Reaction…).

Tutto sembra incastrarsi alla perfezione, ripeto. Proprio a La Giungla, nella primavera del 1984, hanno suonato i Negazione con Michele D’Alessio alla batteria e stasera al Blah Blah quel Michele è dj Barox. Farà ballare tutti i presenti, surfando magistralmente tra punk/hardcore, new wave, electro synth pop, come fa da anni nei migliori club d’Europa.

Bari 2008

Il primo incontro, però, poco dopo aver varcato l’ingresso del civico 21 in via Po, è con Tax. “Sono venuto qui in treno per dirti grazie”. Segue un abbraccio che vale più di 1000 parole e poi la ricomposizione di una serie di ricordi “dopo tanti anni ancora”, come mi scrive sul libro fotografico “Collezione di attimi” che ho con me.

A questo punto, dopo una birra ritemprante, penso che farebbe piacere alla mia amica Anna ricevere un messaggio da Sergio dei Kina. In fondo con lei ci siamo conosciuti anche grazie al punk/hardcore degli anni ‘80 e la nostra band, C.F.F. e il Nomade Venerabile – seppur figlia del decennio successivo – ne ha visti di furgoni, chilometri, alloggi di “emergenza”, centri sociali, festival e music club… Recentemente abbiamo ricevuto un commento a un nostro video su YouTube che ci ha molto colpito perché, ogni volta che ci rendiamo conto che la nostra musica è capace di entrare nelle vite altrui e di contribuire a riconoscerci e sentirci meno soli, comprendiamo che i nostri margini sono in realtà il centro più fragile e vitale dei percorsi che abbiamo scelto di tracciare su questa terra. “Margini”, come il titolo del bellissimo film di Niccolò Falsetti uscito lo scorso anno, con la colonna sonora, tra gli altri, proprio di Negazione e Kina.

Ma torniamo al Blah Blah. Cerco Sergio. Lui, gentilissimo, si rende subito disponibile e le mandiamo un videomessaggio di sorrisi e saluti. Poi mi informa che sono in corso una serie di contatti che probabilmente consentiranno nuove proiezioni “meridionali” del DVD “Se ho vinto se ho perso”.

Torino 2023

Il banchetto dei vinili ristampati della Spittle Records è ricco, colorato e affollato, ci sono pure libri sulla storia del punk, sulla new wave, sui mods, sul Virus, quello fotografico sui Negazione…

Dice bene Massimo Roccaforte della Goodfellas Edizioni: “queste ristampe costituiscono un’operazione anche di natura culturale, perché si tratta di materiale assolutamente vivo e necessario”.

Di lì a poco ha inizio il dj set della Tadca Records, precisamente con “Niente per me” degli Angeli. Ci sono tanti brani di Negazione e Kina, in scaletta, e tutto prende le sembianze di una sorta di isola felice senza spazio e senza tempo. Un’isola che più di trent’anni fa era in realtà un immenso arcipelago fiammeggiante di energia straordinaria – ben descritto e raccontato nei libri di Philopat e Senesi e nel DVD di lovehate80.it – in cui accadevano cose analoghe in luoghi lontani e diversi pur in assenza di contatti facili e consolidati, in cui si costruiva un sistema di autogestione, autoproduzione, distribuzione, informazione così potente e trascinante da sottrarsi all’inesorabile inghiottitoio della storia, come quelle stelle che continuiamo a veder brillare, anche se non ci sono più.

Torino 2023

Si avvicina Tax, mi invita a cenare con lui, la sua compagna Graziella, Sergio e Alberto dei Kina e Sergio Gambino de La Colonna Sonora. Mentre mi avvio al tavolo quelle lunghe ore di treno si trasformano nel volo di Atreiu sul cane-drago Falkor (al di là di ogni insopportabile politica appropriazione indebita…).

Ascoltare Sergio Gambino, il suo entusiasmo torrenziale, la sua competenza aperta e costruttiva, non può non farmi venire in mente – considerato lo sconfortante scenario attuale – le parole di Battiato in “Up patriots to arms”: “mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura”.

Sergio dei Kina mi dice che abita a Charvensod, un piccolo borgo nei pressi di Aosta. Colgo l’occasione per illustrargli un’idea che mi sono fatto in questi ultimi anni, a proposito dell’analogia tra punk e cammini. Il punk/hardcore italiano degli anni Ottanta era la musica dei margini, degli sconfitti, dei dimenticati. Credo che oggi non ci sia nulla di più punk che attraversare certi margini geografici. Hanno la stessa carica spirituale, analogo senso di appartenenza e un’energia vitale in grado di cambiare l’esistenza.

Mi ascolta attento, mi sorride. E’ inevitabile tornare a quelle parole: “So ancora guardare in alto e perdermi nel cielo, mentre vibro assieme ad un torrente”.

Torino 2023

La cena prosegue e Tax mi dà una notizia che mi riempie il cuore di gioia. Il libro a cui Marco stava lavorando verrà pubblicato. Non si conoscono i tempi precisi ma lui e Zazzo hanno fatto tutto il necessario perché sia cosa certa. Conterrà, tra l’altro, la parte in cui viene descritto il ritorno alle persone e ai luoghi frequentati negli anni ‘80, raccontati per come sono – diventati o rimasti – oggi (idea che era alla base anche di un documentario, prima che Marco ci lasciasse).

L’ultima volta che l’ho visto è stato nel maggio 2008, a Bari, in occasione della “Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo”. Ero andato lì per un altro “grazie”.

Negli ultimi mesi del 2001, infatti, Marco mi aveva scritto che i Negazione stavano chiedendo e mettendo insieme alcune frasi da inserire nel libretto del cd-raccolta “Tutti pazzi 1983 – 1992” di imminente pubblicazione. Mi precisava che avevano già aderito al suo invito i Raw Power, i Ritmo Tribale, i Kina, i Casino Royale, i Persiana Jones, Alberto Campo, Cristina del Virus e altri… gli sarebbe piaciuto ricevere qualche riga da parte mia e così feci, tanto felice e onorato, quanto privo di particolari aspettative, considerati i nomi citati.

Di lì a poco venni ricoverato in ospedale per un piccolo intervento. Tra le prime cose a cui pensai, una volta dimesso, fu correre ad acquistare quel cd. Nel libretto c’era anche la mia frase! Evidentemente non conoscevo Marco fino in fondo. Col tempo ho avuto modo di apprezzare appieno la sua capacità di ascolto, il suo rispetto per l’autenticità delle passioni disinteressate, la vitalità pura e coinvolgente di ogni suo gesto e sorriso.

Dopo aver salutato tutti al Blah Blah, compreso Maximino arrivato più tardi e a me caro non solo perché ultimo batterista dei Negazione ma anche perché parte fondamentale della storia di un’altra band che ho amato moltissimo, gli Angeli, mi sono incamminato verso il B&B.

In questa tarda sera di gennaio, a Torino, attraversando i portici di piazza Vittorio, ripenso a quella canzone che diceva “la nostra vita è un giorno d’inverno col sole, orizzonti di vento e notti di stelle”…

N.B. Il racconto di Torino è stato pubblicato in prima battuta a gennaio sulla pagina Facebook “The Undergrounder” da Marina Sersanti, che ringrazio ancora per l’attenzione, per le parole introduttive scritte in quella occasione, per la condivisione.

Vanni La Guardia
Foto di Vanni La Guardia

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