Il canto d’amore tra il pianoforte ed il violino dei fratelli armeni Lusine e Sergey Khachatryan conquista il pubblico della Fondazione Petruzzelli

Photo: Marco Borggreve

Il programma della Rassegna concertistica del Teatro Petruzzelli 2023 ci ha riservato la preziosa presenza di due musicisti di fama mondiale, ovvero i fratelli armeni Lusine e Sergey Khachatryan che, rispettivamente al pianoforte ed al violino, hanno messo in luce, con notevoli abilità tecniche, le loro doti, ereditate sicuramente dai genitori, pianisti professionisti.

Il virtuosismo violinistico richiesto dalla celeberrima Chaconne (Ciaccona), ultima delle quattro danze racchiuse nella Partita n.2, in re minore, per violino solo, BWV 1004 di Johannes Sebastian Bach, porta Sergey ad essere inizialmente solo sul palco, con il suo mirabile strumento, uno “Ysaye” Guarnieri del Gesù 1740, per gentile concessione della Nippon Music Foundation.
L’ardito spartito scelto, frutto del genio compositivo del poliedrico tedesco, mette a dura prova tutti coloro che si cimentano nella sua esecuzione per via delle difficoltà legate al preciso disegno musicale dell’autore volto a riassumere un gruppo di strumenti nell’unico e solo violino, strumento che Bach conosceva perfettamente per averlo studiato sin da giovane, e con ottimi risultati, prima di diventare clavicembalista.

Al termine dell’esecuzione, accolta con vivo apprezzamento dal pubblico che, anche in questa occasione è accorso numeroso, il concerto prosegue con il prezioso apporto della “poetessa del pianoforte”, così ribattezzata per via delle sue propensioni artistiche che cerca di fondere e far emergere durante le performances con il suo strumento.
In ogni singola nota espressa da entrambi vien fuori prepotentemente lo studio e la dedizione che li ha portati ad aggiudicarsi la notorietà nel loro ambito, che non può che essere apprezzato e riconosciuto; Lusine accompagna delicatamente ogni movimento con il suo corpo esile chiuso in un abito rigorosamente lungo nero, le sue mani, leggere, volteggiano con grazia prima di giungere sui tasti, quasi a voler conferire loro il potere di esprimere l’emozione che in quell’istante prova a trasferire sulla tastiera, riuscendoci. Sergey, in pantalone e camicia nera come da etichetta, imbraccia il suo violino rinunciando alla sedia per rimare quasi per tutto il tempo nello stesso spazio guadagnato ad inizio esibizione. Avendo avuto la fortunata possibilità di essere in platea, ad ascoltarli per la prima volta, però, ciò che mi giunge con sorpresa è un contegno parco di calore che, probabilmente ha origini nella lontana terra natale armena, poco mitigato dai paesi nei quali hanno approfondito i loro studi e dai quali hanno avuto notevoli e mirabili riconoscimenti.

Ma “dove c’è la musica non può esserci nulla di cattivo”, direbbe Miguel de Cervantes.
E così il programma si snoda attraverso la Sonata n.4 in la maggiore, op.162 di Franz Schubert, la Sonata n.3, in sol minore, L148, di Claude Debussy, e da ultimo attraverso la Sonata in si minore P110 di Ottorino Respighi, che accogliamo come omaggio di chiusura in questa tappa italiana.

Con Schubert, le cui composizioni vennero in gran parte pubblicate postume, esploriamo le mille sfaccettature dell’animo umano; in questa pagina ricca di virtuosismi, lo stesso compositore, giovane all’epoca della partitura, ci avverte di “intendere la musica, oltre che le note” , ed è ciò che i fratelli Khachatryan rendono all’unisono ripercorrendo la freschezza della sonata.
Con Debussy, universalmente considerato come uno dei massimi esponenti del simbolismo musicale, veniamo rapiti completamente dal secondo movimento , “l’intermède – Fantastique et lèger” (intermezzo fantastico e leggero), che fa librare i suoni del pianoforte e del violino sino a comporre una lirica poetica e suadente, forse influenzata dalla malattia che l’avrebbe portato di poi ad una morte prematura all’età di soli 56 anni, nonché dagli eventi della prima guerra mondiale che visse nell’ultimo periodo della sua vita.

Come detto, la seconda parte del programma prosegue e si conclude con l’esecuzione dei tre movimenti della Sonata in si minore, per violino e pianoforte, P110, di Ottorino Respighi, uno dei musicisti della “Generazione dell’Ottanta”, così chiamati per essere nati tutti nel penultimo decennio dell’Ottocento e che cercò di creare, insieme a noti musicologi dell’epoca, un genere musicale “colto” che fosse alternativo all’opera lirica, da loro affatto apprezzata, ed antagonista a quella estera.
Ciò che viene fuori nella Sonata è un percorso musicale mai ripetitivo che nasce con la voce del violino che sembra cantare un canto d’amore, accompagnato dal pianoforte che, apparentemente in secondo piano, sottolinea il lirismo dello spartito che muta, quasi improvvisamente, atmosfera per condurci nella drammaturgia del secondo movimento che sorprende per cambi di variazioni tecniche complesse e per giungere, infine, ad una suggestiva chiusura che ci stordisce per enfasi e monumentalità dell’esecuzione resa dai fratelli khachatryan senza sbavatura alcuna.

Ci auguriamo che il plauso corale loro riservato al termine del concerto sia arrivato con quel calore che contraddistingue il nostro Paese e che li aiuti a dispensare più sorrisi in cambio – in futuro – a chi, comunque, ha saputo apprezzare la loro arte.

Gemma Viti

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