L’analisi sportiva: il Napoli ricomincia da tre!

La prima cosa che mi viene in mente è la canzone napoletana “’Na sera ‘e maggio”, visto e considerato che siamo a maggio. Peccato però che il significato della canzone esula dalla felicità partenopea in quanto il testo parla di un amore finito tra due amanti capitato proprio di maggio. Ed invece a Napoli non c’è nessun addio, anzi. Però per me, amante della musica, era inevitabile pensarla.

La mia grande affezione verso Napoli mi ha permesso di addentrarmi in un mondo fantastico, in una terra impregnata di umanità e di geniale ironia con la quale si affronta la vita tanto nei suoi aspetti lieti, quanto in quelli difficili. Napoli merita questo grande successo. Lo dico da una posizione distante dalle fedi calcistiche forti, quelle integraliste, quelle dei gemellaggi. Il loro scudetto è un fenomeno sociale prima che sportivo. Un momento che unisce la città più felice del Pianeta, con il tasso di depressione più basso del mondo. Sapete perché? Perché lì il popolo è padrone di se stesso.

Non chiamiamolo però, come si confà in questi casi, sin dai tempi della Cassa del Mezzogiorno (ma anche prima), “il riscatto del sud, il riscatto di Napoli”, No, per favore. Napoli è e sarà sempre la stessa, con la sua brillantezza, la sua spontaneità, la sua storia, la sua luce, col suo set cinematografico naturale, con le sue immagini scolpite e stampate dappertutto, ma anche con le sue note contraddizioni. E sempre sarà così nel bene e nel male. E non sarà uno scudetto a farla cambiare. Del resto, nemmeno i due scudetti griffati Maradona riuscirono a cambiarla. La camorra c’era, c’è e ci sarà sempre, giusto per andare al centro del problema. Gli scippi pure (come a Bari e come in Italia). Scampia sarà sempre lì, addentrarsi negli straordinari quartieri spagnoli incuterà sempre qualche ragionevole timore, e prima di entrarvi sarà bene pensarci dieci volte. Nulla cambierà. Dunque nessun riscatto.

Oggi è un giorno di felicità, di trionfo, di una comunità che festeggia uno scudetto atteso da 33 anni e noi, almeno io, ne siamo felici. E basta pure con questa storiella che è una città del sud a vincerlo e per questo dovremmo essere tutti entusiasti. Ha vinto il Napoli, ha vinto Napoli e basta. Napoli è Italia per la gente con cervello, Napoli è “Sud” per i leghisti ed io non sono leghista così come non lo è la stragrande maggioranza degli italiani. Va bene così.

Quelle immagini di una “Dacia Arena” tutta azzurra, di uno stadio “Maradona” con 70mila tifosi senza una gara da giocare a cantare “Napul ‘è” con struggente sentimento, con Piazza del Plebiscito piena fino all’ultimo centimetro quadrato e tante altre piazze pienissime, coi locali ristoratori anche pieni, non possono lasciare indifferenti. E poi inevitabili sono le associazioni a Totò, ad Eduardo, a Massimo Troisi, Luciano De Crescenzo, a Pino Daniele.

Piuttosto punterei l’indice verso un successo aziendalistico da parte di una famiglia imprenditoriale di grande spessore, ma proprio grande, che parlando poco e lavorando assai, è riuscita nel corso degli anni a preparare il terreno ad obiettivi prestigiosi dopo aver raccolto, come accaduto col Bari, le ceneri del Napoli dalla serie C2 per poi farle vincere lo scudetto anche se son passati diversi anni che però sono stati abbondantemente soppiantati da partecipazioni alla Champions da dove hanno ottenuto tante decine di milioni (val la pena precisarlo) e ad altre competizioni europee, senza dimenticare che è riuscita ad arrivare pressoché ogni anno tra le prime quattro. Se poi pensiamo che in A ci sono state squadre che barando e imbrogliando si son fatte strada per raggiungere lo scudetto, riuscendovi, allora si comprenderà bene che il Napoli potremmo, di diritto, annoverarlo tra le prime due-tre quasi ogni anno. Ad esserci noi al posto loro…

Un modello di azienda di tutto spessore, dicevo, che nessuno può contestargli e men che meno si dovrebbe provare indifferenza perché chi si mostra indifferente, o chi li critica, è in malafede pur essendo nel diritto di tacere e di criticare, ma ogni tanto, da parte degli integralisti tifosi baresi a cui le vicende del Napoli interessano poco, sarebbe cosa buona e giusta che escano dal covo per lanciare un applauso. Ma sono sicuro che non lo farà nessuno, troppo orgogliosi, troppo prigionieri della loro antinapoletanità senza dimenticare la loro avversione verso i De Laurentiis in quanto scarsi dispensatori di privilegi, di biglietti, di favori, di notizie in anteprima sbattute nei social così da sembrare “figo” davanti agli occhi dei tifosi goggioni, per i quali si sentono nel diritto di non sprecare nemmeno una parola di elogio Troppo orgogliosi per farlo. Lo so bene.

Don Aurelio è riuscito nell’impresa di riportare il Napoli in vetta all’Italia calcistica dopo 33 anni, senza Maradona e senza Alemao e, ora che mi ricordo, senza nemmeno Careca ma con calciatori umili, senza prime donne debitamente mandate via anno dopo anno: penso ad Higuain, a Mertens, a Insigne, a Koulibaly, a Cavani, ad Hamsik che forse non garantivano la composizione del “gruppo” fondamentale ma che, quanto meno, riuscivano ad arrivare e ad andare avanti in Champions dove, si sa, le prime donne sono essenziali, ma per vincere lo scudetto si è accorto che ci voleva altro, e così Don Aurelio ha avuto il coraggio di dar fiducia ad Osimhen, un ragazzino preso non si sa bene da dove, timido quanto ambizioso, infortunatosi, e poi con coraggio gettato in campo da titolare da uno Spalletti che non ha raccolto quel che ha seminato nel corso della sua carriera, e finalmente anche lui raccoglie quel che si è meritato.

Dicevo di Osimhen, per nulla prima donna, che ha fatto quel che ha fatto. Poi è riuscito a prendere (naturalmente grazie agli uomini giusti, penso a Giuntoli ma non solo a lui) uno sconosciuto Kim Min-jae da una delle due Coree e che ha contribuito notevolmente alla conquista dello scudetto, andando a pescare uno sconosciuto Kvaratskhelia mantenendo Di Lorenzo, Anguissa e Lobotka, dando fiducia al brizzolato Mario Rui, insomma il giusto mix di giocatori di esperienza e di giovani di prima scelta. Il tutto senza svenarsi, spendendo poco nonostante la notevole disponibilità economica della Filmauro che pure, come tutte le aziende europee, ha avuto il suo momento di crisi a causa della situazione economica e a causa del covid, dimostrando che non sono i soldi ad essere decisivi per i traguardi, ma le idee, gli uomini brillanti, le scelte coraggiose. E lo scudetto è solo l’inizio, non un arrivo, fidatevi.

I tifosi del Bari dovrebbero prendere esempio da questo evento tanto vicino a noi nelle sfaccettature per capire, una volta per tutte, di cosa sono capaci di i De Laurentiis che hanno preso il Bari dalle ceneri, hanno vinto il campionato di serie D al primo anno, poi sono arrivati in finale playoff al secondo, perdendola per una discutibile decisione della lega e del suo fottutissimo algoritmo, e poi anche per una scellerata decisione dell’arbitro di Reggiana Bari che annullò un gol valido ad Antenucci e non so come sarebbe andata a finire se l’avesse convalidato, dunque non si può parlare di anno sbagliato, ne hanno sbagliato uno pur portandolo ai playoff gettati fuori da una Feralpi Salò che già covava intenzioni di un certo prestigio, perché si sono affidati a un DS incapace che, con i suoi “centurioni” (penso a Lollo, Sabbione, Sarzi Puttini e Ciofani) sta per far retrocedere in D anche la Triestina (e ci sta sbagliare un anno), poi son riusciti a vincere il campionato di C il terzo anno, ed infine han portato il Bari da neopromossa al terzo posto in B, con tutti i suoi privilegi, con qualche flebile, timida, speranza di agguantare il secondo (ma è bene non cullarsi troppo e guardare in faccia la realtà). il tutto senza svenarsi, ma spendendo il necessario, senza quella spilorceria tipica di precedenti gestioni, con i bilanci sani, puliti, coi versamenti Inps e Ritenute d’acconto e gli stipendi versati nei tempi senza imbrogli, appetibili ai compratori. E cosa volevamo di più da questa famiglia? No, ditemelo, magari mi sfugge qualcosa. E chi tace è un vedovello di quanti hanno fatto fallire il Bari per ben tre volte. A volte proprio non capisco, davvero. E si badi bene che io non ho alcun privilegio dalla società, se non una cordiale ed educata indifferenza. A parlare è il cuore, non la professione.

Io capisco che, come ho scritto prima, ci sono quelli che non sopportano i De Laurentiis per i motivi suddetti, così come capisco i tifosi delle strisciate, baresi, che non li sopportano perché presidente del Napoli e, quindi, di una diretta concorrente e, forse, perché hanno pure il vago timore di vedersi il Bari in A a dare fastidio alle loro squadre strisciate viste le ampie possibilità economiche, però, come ho detto prima, un’uscita dal guscio per un applauso o per una parola di elogio a questa famiglia, che può risultare antipatica o meno, la possono pure fare. Ma non lo faranno mai. Eppure la realtà societaria, aziendalistica, sportiva e di risultati è evidente, mica stiamo parlando di mere considerazioni opinabili. Qua parliamo di evidenza, di realtà.

Ora i De Laurentiis lasceranno il Bari, lo venderanno, ed io, da tifoso, me ne dispiacerò tantissimo perché davvero non so chi potrà raggiungere gli stessi obiettivi, chi potrà gestire oculatamente la società come hanno fatto loro. Davvero non lo so, e dei fondi esteri, degli arabi, dei cinesi, degli asiatici abili a comprare e poi scappare di notte, e men che meno degli imprenditori locali che, come per i Matarrese, cercano nel calcio le chiavi per accedere al “Palazzo” della politica e degli affari relegando la squadra, e quindi i tifosi, in un secondo piano andando avanti senza coraggio e senza capacità di investimento, non mi fido. Si, penso anche che con i De Laurentiis si sarebbe potuto pensare anche ad uno scudetto e a partecipazioni in competizioni europee, magari lo scudetto tra una decina d’anni. Si, l’ho pensato. Lo confesso.

Amante dei cantautori da 60 anni, mi torna in mente una celebre canzone di Gino Paoli, “Ti lascio una canzone”, e si, perché io non so chi verrà dopo De Laurentiis, sia al Napoli, sia al Bari, ma di sicuro è quanto mai appropriato il passaggio “ti lascio una canzone per coprirti quando hai freddo, ti lascio una canzone da mangiare quando hai fame, ti lascio una canzone a chi tu amerai dopo di me…”. Perché le industrie, sane, sanissime, che hanno tra le mani i De Laurentiis, sono industrie appetibili al mercato mondiale e che fanno gola a tutti, ma proprio a tutti. Speriamo solo, guardando nel mio orticello senza arrivare sulle falde del Vesuvio, che il Bari capiti nelle mani di gente di egual misura e che eviti di affidarsi alle poco sapienti mani locali abili nel portar borse, a mettersi come zerbini pur di estorcere un lavoro, una consulenza estera, a salire sul carro facendo, inevitabilmente, proliferare il clientelismo, vera e propria piaga sociale, sia nella società che nel calcio nostro che tanto male ha fatto. E i tre fallimenti ne sono una prova inconfutabile.

Facciamo ancora la lotta ai De Laurentiis che pure possono sbagliare o avere comportamenti o atteggiamenti, come dire, discutibili? Prego, fatela pure. Io preferisco descrivere la realtà dei fatti e poco mi importa se qualcuno mi affibbia l’etichetta di filo-societario. Evidentemente non hanno capito niente.

Massimo Longo

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