La Mahler Chamber Orhestra e Pekka Kuusisto stupiscono e conquistano il pubblico della Stagione concertistica del Teatro Petruzzelli

Il profetico invito del Cirano Post a non lasciarsi sfuggire, nell’ambito della Stagione concertistica 2022-2023 della Fondazione del Teatro Petruzzelli, “l’imperdibile musica senza confini della Mahler Chamber Orhestra e del violinista Pekka Kuusisto”, non ha affatto deluso le aspettative di chi ha voluto godere di un concerto del tutto particolare in una piacevole serata di Primavera.

L’Ensemble, composto da 27 musicisti provenienti da altrettante differenti nazionalità, ormai noto in tutto il mondo per l’instancabile voglia di condividere le sue sperimentazioni musicali con il nutrito pubblico, ci ha da subito coinvolti nell’esecuzione della sinfonia di Charles Ives dal titolo “The Unanswered Question” (letteralmente: “La domanda senza risposta“). L’originale esecuzione ci coglie di sorpresa, in prima battuta perché sul palco non giunge alcuno a dirigere questi meravigliosi maestri e, poi, perché, a differenza di quanto sovente avviene durante i concerti, il palco viene privato di tutte le sue luci. Dopo qualche secondo di messa a fuoco, non solo visiva, vediamo rompere quella imprevedibile oscurità da piccole e bianche lucine led che capiamo illuminare (ma quanto?) i leggii. La musica sorge impercettibile, bassissima tanto da piegarci ad un contegno di religioso silenzio; per diversi minuti veniamo rapiti dall’incedere lento ed ossessivo degli archi che sembra vogliano indurci a riflessioni meditative. Abbiamo la percettibile sensazione che il tempo scorra con la medesima monotona cadenza temporale quando la nostra ipnosi musicale viene interrotta a tratti da flauti traversi che – allocati in un palco in second’ordine – quasi ci riportano alla realtà frenetica e disordinata tipica dei nostri centri urbani, ed a tratti da una tromba che echeggia dal loggione. Con la medesima intonazione, sembra ci ponga, a loop, l’inevitabile domanda sul senso della nostra esistenza che, ineludibilmente, rimane, appunto, senza risposta. E, forse, il buio creato ad hoc non è un caso, ma un chiaro riferimento alla nostra incapacità di guardare oltre.

La prima tranche del concerto prosegue con l’esecuzione del “Sogno di una notte di mezza estate, suite per orchestra op.16” di Felix Mendelssohn Bartholdy del quale vengono eseguiti solo (ahimè) quattro movimenti su undici: l’Ouverture (I) – allegro di molto – lo Scherzo (II) – allegro vivace – l’Intermezzo (V) – allegro appassionato e Notturno (VI) – con moto tranquillo – ancora senza alcun Direttore! Il titolo di questa composizione non è un caso in quanto Mendelssohn, amburghese di nascita ma di origine ebraica, era un appassionato lettore di Shakespeare tanto da ispirargli, a soli diciassette anni la composizione dell’Ouverture, poi ripresa e completata con le musiche di scena dell’omonima commedia su commissione del Re di Prussia Federico Guglielmo IV, diversi anni dopo. Le tre storie d’amore che si intrecciano nel tessuto della famosissima opera letteraria, vengono musicalmente rappresentate con impeto e passione dall’ensemble che perfettamente si autogestisce continuando a destare il nostro stupore, sicuramente perché semplici appassionati non abituati ad una mancanza così imprescindibile. Il primo violino concertatore, Meesun Susan Hong Coleman, attira oltremodo la nostra attenzione. In tale veste è lei a dare l’incipit all’intonazione iniziale di tutti gli strumenti ad ognuna delle tre esecuzioni, onorando il suo ruolo di leader non solo della sezione degli archi, ma di tutta l’orchestra, ma sono le sue movenze a rapirci poiché con le stesse sottolinea ogni intensità sonora e la gradazione richiesta dalla partitura, così in alto come in basso. In altri tempi ci si sarebbe subito riferiti a lei come una persona posseduta dal demonio (in uno col suo essere donna), ma per fortuna oggi quel moto non si può che associare al sacro fuoco della passione che viene fuori prepotentemente e che a noi sicuramente piace assai. D’altra parte il curriculum è talmente ricco di successi raggiunti sin dalla tenerà età che, unitamente al violino Matteo Goffriller del 1700 che imbraccia, non può che renderci udenti fortunati oltreché
orgogliosi, in quanto lo strumento in questione ha un “papà” liutaio italiano, di Bressanone per l’esattezza, e caratterizzato, per i curiosi come chi scrive, da un fondo spesso di un solo pezzo di acero, da una voluta grande e ben scolpita e da una vernice che varia tra un bel rosso ciliegia e un giallo ambrato trasparente che, anche per tale ragione, rende il nostro connazionale il capostipite della scuola veneta degli strumenti ad arco.

Il secondo tempo è interamente dedicato a colui che è stato definito il massimo genio della storia della musica, benché l’ipoacusia lo abbia colpito prima del compimento dei trent’anni, circostanza che però non gli ha impedito di continuare a comporre ed a dirigere orchestre, lasciandoci una produzione di straordinaria bellezza espressiva: Ludvwig van Beethoven.
Per l’esecuzione di questo Concerto per violino ed orchestra, in Re maggiore, op. 61, il più amato dai pubblici di tutto il mondo, L’Orchestra si arricchisce della presenza del solista Pekka Kuusisto che giunge sul palco non solo con il suo prezioso violino, ma armato di un sorriso che si irradia per tutto il teatro. Sin dalle prime battute, si ha la percezione di essere al cospetto di un interprete molto originale e generoso. Dialoga (musicalmente), il maestro, con i suoi colleghi, anche troppo se si pensa alle volte in cui dà le spalle alla platea, ma questo non reca disturbo poiché alla prima occasione, con la leggerezza propria dei grandi si spende in espressioni accattivanti mentre arpeggia, trilla, pizzica con le dita il suo violino. Riempie la scena, la doma con la complicità di un ensemble che festosamente ed a fasi alterne, abilmente giocando, gli regala spazio per poi riprenderselo, complice una composizione un po’ lontana da quelle spiccatamente rabbiose e più note di Beethoven. L’apprezzamento visibile del nutrito pubblico presente in sala, al termine del concerto, è tale da convincere il Maetro Kuusisto. non prima di aver scherzosamente dialogato con la platea, ad eseguire un bis in assolo.

Ricercando la ragione alla base del successo della Mahler Chamber Orchestra, diversa da quella che si palesa nel nostro piccolo spazio temporale che pure è di tutto rispetto, apprendiamo che la filosofia che muove e che ispira tutto i suoi membri, è quella denominata “the sound of listening” – che potremmo definire il potere trasformativo dell’ascolto – creata dal suo noto mentore nonché fondatore, Claudio Abbado, 25 anni or sono, che sprona tutti i componenti a creare spettacoli ammalianti avvalendosi di preziose e stabili collaborazioni, come quella con il Maestro Kuusisto, dalle quali trarre visionari spunti musicali. Se così è, l’obiettivo, quanto meno per l’evento del Teatro Petruzzelli, riteniamo sia stato stato sicuramente centrato.

Gemma Viti

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