La settimana sportiva: l’analisi di Ascoli – Bari

Domenica mattina, mentre camminavo ramingo per il centro di Ascoli, una delle più belle città d’Italia, e mentre percorrevo una straordinaria Piazza del Popolo e il tracciato del set cinematografico di “Alfredo Alfredo” con Dustin Hoffman e Stefania Sandrelli, qui girato, mentre sorseggiavo un caffè con l’anisetta nel celebre caffè storico “Meletti”, e mentre, all’ora di pranzo, assaggiavo un Rosso Piceno Superiore “Marinus” accompagnato dalle celebri olive ascolane, riflettevo sul fatto che, forse, un pareggio qui sarebbe stato un ottimo risultato, insomma non pensavo si potesse vincere in uno stadio da sempre ostico, difficile da espugnare. Mi sbagliavo, come tante volte capita nella vita.

Ormai lo spartito è lo stesso. Il Bari è una squadra che, bene o male, subisce il gioco avversario, limita i danni al minimo, nel senso che le occasioni da rete vere e proprie da parte degli avversari si possono contare sulla punta di un dito solo (manco su quelle di una mano), addirittura anche il punto dolens del rinvio di testa in occasione dei cross da parte dei centrali sembra un brutto ricordo (Zuzek domenica ha giocato una grande partita), e poi come il gatto fa col topo o, se preferite, come lo scorpione, in qualche modo, colpisce e affonda l’avversario nelle classiche partite sporche, quelle dove mani e piedi escono zuppe di sudore e fango però vittoriose, le vittorie dei grandi perché vincere certe gare danno più gusto rispetto a quelle vinte per 4-0 o per 6-2, sono vittorie che dimostrano la forza e il carattere dei ragazzi di Mignani.

Ci sono annate che nascono sotto stelle benevole, altre che nascono sotto una cattiva stella, e quest’anno sembra che al Bari vada tutto bene, ma proprio tutto. Certo, audantes fortuna iuvat, nel senso che la fortuna, nell’aiutare gli audaci, i ragazzi se la vanno a cercare, mica piomba dal cielo all’improvviso. E domenica ancora una volta abbiamo assistito al solito ritornello. Un rigore concesso poi revocato, un’espulsione ingenua da parte di Falasco che poi ha chiesto scusa ai tifosi mentre abbandonava il campo consapevole di averla fatta grossa, un rigore concesso al Bari al 49′ del primo tempo (mica al 25′), ovvero quando la prima tranche gara sarebbe dovuta già finire da un bel pezzo, quindi quel tuffo di Dionisi al 94′ che ha fatto tremare tutti, me incluso in tribuna stampa, perché da quella distanza è difficile farsi un’idea, tuffo per fortuna visto bene dall’arbitro (però, dico io, se si è tuffato, se ha simulato, perché non lo ha ammonito? I misteri del calcio). Insomma tante componenti per le quali si può tranquillamente dire che il Bari sta raccogliendo fin troppo rispetto a quanto profuso nel corso delle gare. Così è stato fino adesso, meno che in certe gare (poche per la verità) dove ha letteralmente dominato l’avversario.

Bari pratico, essenziale, cinico, Bari epicureo, oserei dire, ovvero quello della celebre filosofia di Epicuro che prevedeva l’ottenimento del massimo risultato col minimo sforzo, perché, inutile nasconderlo, è così che sta andando fino adesso. Non ricordo di un Bari brillante e caterpillar per 100 minuti (ma anche per 50) nel corso del campionato visto finora, meno che nelle vittorie squillanti dei 4-0 e del 6-2, fateci caso. Ma, ripeto, non vuole essere una “diminutio”, anzi, è un titolo di merito per una squadra che ha capito come si vince una gara, gestendo le forze, mantenendo un assetto sportivo fondamentale da cui, poi, scaturisce la vittoria. Sono poche le squadre che si comportano così. Un merito senz’altro. Il Genoa, ad esempio, spinge l’avversario per tutti i 90 minuti ottenendo un gol striminzito, il Bari non spinge l’avversario nella propria metà campo ma riesce lo stesso a fare il golletto vincente. Il Frosinone ne fa tre-quattro giocando in un altro modo e vince lo stesso ma non vince come il Bari. Queste le differenze. E vincere così, come ho detto prima, ha il sapore di serie A. Questo Bari, l’ho già detto una volta, assomiglia molto a quello di Antonio Conte, quanto meno nei risultati, forse nel gioco è leggermente diverso, all’epoca c’erano Guberti e Kamata devastanti sulle fasce, il modulo era diverso, oggi le “ali” destre e sinistre non sono previste, le sgroppate partono dai terzini e qualche volta va bene, altre va male. Ma è normale, i terzini non sono i deputati a saltare l’uomo, fare 50 metri e poi crossare, qualche volta lo fanno, con buoni risultati, altre volte preferiscono rimanere dietro a difendere perché, in fondo, sono difensori, mica ali.

Però nonostante tutto ho visto un Bari brillante, vivo, attivo, mai passivo, l’Ascoli ha fatto un tiro in porta nel primo tempo (grande parata di Caprile), altri tre son finiti alle stelle, nel secondo tempo, pur pressando, non ho contato un tiro solo in porta verso il portiere del Bari.

Nel post partita n sala stampa, qualche collega ascolano, davanti a Breda che è stato abbastanza obiettivo ammettendo i meriti del Bari, ha fatto domande che mi hanno lasciato basito. Domandavano, pressoché all’unisono, “come mai con una grande prestazione, la migliore di quest’anno, avete perso?” Mio Dio, mi son detto. Ma con tutto il rispetto per l’Ascoli a cui auguro le migliori fortune, come si fa a dire che questa sia stata la migliore prestazione dei bianconeri? Un solo tiro in porta, si, grande pressione ma infruttuosa, si, d’accordo, sette corner a zero, ma poi? Che ha fatto l’Ascoli per fregiarsi del titolo di “migliore prestazione del campionato finora”? Mi son detto, figuriamoci come ha giocato fino adesso! Io capisco il sentimento di frustrazione, ma forse sarebbe il caso di essere più obiettivi nelle disamine.

Dicevo di un Bari ormai ambizioso che non si nasconde più con cinque vittorie in sei gare: la volata è lanciata. Un gruppo, questo, che sa quel che vuole, che sa bene cosa ottenere da una partita, che sa bene quando c’è da affondare e colpire e che sa come gestire una partita anche col tiki-taka o con l’irritante giro-palla quando è necessario.

Però non posso mettere la polvere sotto il tappeto, non è da me, sapete bene che tendo sempre ad essere obiettivo, talvolta ci riesco, forse altre volte no, e non posso fare a meno di dire che in campo si continuano a commettere tanti errori, troppi per una squadra al secondo posto. Cheddira da tempo non ne azzecca più una, sbaglia pressoché tutti i controlli di palla regalando il pallone pericolosamente agli avversari, poi adesso comincia anche a sbagliare gol facili, cosa che non accadeva fino a un paio di mesi fa (eccezione il gol di Ferrara); con Schiedler siamo alle solite, grande impegno, solite palle perse nel controllo e poi errori clamorosi nel far gol facili facili. E questo non deve accadere, bisogna chiuderle certe partite, perché le condizioni ci sono, non ci fossero potremmo capirlo, ma le occasioni si confezionano regolarmente, occorre solo spingerla dentro soprattutto quando le opportunità sono da coefficiente facile. Non si può non far gol come si è riusciti nel non farli domenica. Forse io, che sono ciuccissimo, sarei stato capace di metterla dentro. E no. Non si può. Perché poi non sempre può andarci bene, ci sono sempre gli avversari che, colpiti al cuore, con un senso di frustrazione, possono farci male così da compromettere quanto di buono costruito con saggezza e con carattere. E l’ultima partita non è stato il primo caso, piuttosto è stato l’ennesimo. Certo, siamo lì al secondo posto, forse torneremo al terzo dopo la prevedibile vittoria del Genoa, però l’evidenza non si può nascondere.

Infine due parole su Mignani. Ancora una volta ha dimostrato di saperci fare, di saper gestire lo spogliatoio e la rosa. Decidere chi mandare in campo per tre gare in sette giorni non era facile per nessuno, e lui è stato capace di mandare in campo giocatori tra la diffidenza di tanti che poi lo hanno ripagato alla grande, sia quelli dal primo minuto, sia quelli subentrati, ottenendo nove punti in tre partite e zero gol subiti. Se a questo ci aggiungiamo che ne ha vinte cinque in sei gare, cosa diavolo andiamo cercando da lui ancora? Applaudiamolo e basta. Poi, certo, tutti sbagliano, anche lui, ma cerchiamo di avere il buon gusto di evitare critiche verso l’allenatore. Sarebbero inopportune.

Bellissimo il finale della partita ad Ascoli: tifosi ascolani e baresi a cantare insieme “I giardini di Marzo” di Lucio Battisti, un modo come un altro per fare gli auguri di compleanno al grande cantautore (ne avrebbe compiuti 80 proprio domenica) e suggellare il rispetto ed una vaga amicizia tra le due tifoserie.

Massimo Longo  

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