Kolja Blacher, Christoph Streuli, Christopf Von der Nahmer, Kyoungmin Park, Claudio Bohorquez e Sunwook Kim regalano al pubblico della Fondazione Petruzzelli un concerto unico ed irripetibile

La Rassegna Concertistica 2023 del Teatro Petruzzelli, con i talentuosi Maestri di nota fama internazionale Kolja Blacher (violino), Christoph Streuli (violino), Christopf Von der Nahmer (violino), Kyoungmin Park (viola), Claudio Bohorquez (violoncello) e Sunwook Kim (pianoforte), ha di fatto regalato al pubblico barese un concerto unico che raramente si potrà riascoltare nella sua fortunata e prestigiosissima combinazione.

Con capacità indubbiamente fuori dal comune, cristallizzate in ciascuno dei loro nutriti curriculum artistici, i maestri hanno fatto vibrare non solo le corde dei loro strumenti ma altresì quelle dell’anima di ciascun spettatore. La potenza del dialogo musicale, intessuto dai cinque cordofoni e dall’unico pianista, ha reso ancor più accogliente – quasi infuocata – l’atmosfera del politeama barese, testimone di un’esecuzione resa con fervida passione ed una disarmante semplicità.

Ogni nota che ha preso forma dai preziosi strumenti si è librata nell’aria come fosse poesia, orchestrando ora rime baciate – allorquando in sincronia i virtuosi interpretano lo spartito – ora rime alternate – allorquando i violini, la viola ed il violoncello alternano fraseggi musicali – tra le quali il magico pianoforte ha danzato con sapiente equilibrio.

I due capolavori della musica da camera selezionati, il “Concerto in Re maggiore, op.21, di Ernest Chausson” ed il “Quintetto in fa minore, op.34, di Johannes Brahms”, hanno in comune, in prima battuta, il pregio di consentire ai sei strumenti di dialogare con una modalità tutta particolare – che gli esperti definiscono “carattere concertante” – giacché nessuno di loro diventa mai protagonista in senso assoluto, sebbene ciò non impedisca a ciascuno di mettere, al contempo, in luce i propri virtuosismi.

I primi quattro movimenti – Décidé, Sicilienne: Pas vite, Grave e Finale Très animé – frutto del genio creativo del giovane francese, giunto relativamente tardi allo studio del pianoforte (pressocchè quindicenne), quasi risentono del tormentato impegno del compositore, mai pago dei riconoscimenti provenienti sia dai suoi illustri maestri che dai suoi amici compositori ( “La musica non mi dà pace; semmai il contrario.”).

Questa sua ingiustificata, a parer nostro, critica verso il suo stesso lavoro, sembra venir fuori dalle variazioni musicali in cui si alternano momenti di intensa liricità a quelli in cui è evidente un accumulo di tensione emotiva; il pathos che si impossessa degli spettatori porta con sé romanticismo e inquietudine al tempo stesso.

In particolar modo, nel secondo movimento “Sicilienne” è quello in cui Chausson rappresenta il suo momento di pacificazione; al violino affida la sua melanconia che lascia però il passo ad un finale travolgente di grande intensità che quasi ci consegna la falsa immagine di essere al cospetto di un’orchestra anziché di un portentoso sestetto.

In effetti, chi si trova al di qua del palco non riesce a scegliere uno solo dei Maestri su cui posare i propri occhi; ciascuno di loro si rende protagonista di virtuosismi tali che si ha l’impressione che pongano in essere un affascinante gioco, fatto di generosi lanci e riprese, quasi a “palleggiare” le proprie capacità, sebbene i loro sguardi siano quasi sempre rivolti allo spartito. A dirla tutta, le spontanee espressioni – a tratti buffe – assunte spesso dal Maestro Streuli, sembrano sottolineare, di volta in volta, le diverse modulazioni musicali al pari con gli evidenti sentimenti dal medesimo provati.

La nostra attenzione viene altresì rapita dalla magia e dalla maestria del talentuoso Maestro Kim che, con il suo pianoforte, guida i cordofoni, li mette in luce e a volte si “sordina”; si esprime con tale intensità che le partiture ci restituiscono un sentimento di commozione.

Il primo tempo si conclude con un’ovazione che quasi impedisce l’uscita di scena dei Maestri, sono chiamati più volte all’inchino per raccogliere il giusto tributo ed il desiderio dello spettatore di non interrompere il flusso emotivo che ha lo ha investito.

Con il secondo tempo perdiamo il prezioso apporto del Maestro Christoph Von Der Nahmer, poiché l’op.34, per pianoforte ed archi in fa minore di Johannes Brahams, prevede un Quintetto.

Questa composizione, suddivisa in quattro movimenti, vede la stesura finale dopo anni di rimaneggiamenti, quattro per la precisione, quando, i suoi “critici più attenti”, la moglie Clara e l’amico di sempre, il direttore d’orchestra Hermann Levi, condividendo unanimemente il loro entusiasmo, suggellano di fatto la stesura definitiva. Tenere sono le parole della sua compagna di vita :“Non so come dirti con calma la gioia che mi ha dato il tuo quintetto! L’ho suonato più volte e ne ho perso il cuore!..”, come quelle con le quali, Levi, suo consigliere da sempre, affida ad una lettera entusiastica: “Il Quintetto è bello oltre ogni dire…un capolavoro della musica da camera...”.

Il pubblico, anche oggi, non può che far sue, condividendole, quelle parole, anche ed in virtù dell’esecuzione che ne ha fatto il magico quintetto, in cui è evidente una più costante presenza del pianoforte che in questa fa sfoggio di altri e ben diversi virtuosismi.

Alla fine del concerto, che tutti cercano di prolungare applaudendo a più non posso o lusigando a gran voce le qualità di tutti, anche dopo il bis, cui tutto il sestetto non si è potuto sottrarre, si avverte nell’immediatezza un senso di vuoto, quasi non si possa immaginare esecuzione migliore.

Gemma Viti

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.