La settimana sportiva: l’analisi di Bari – Cagliari

C’è niente da fare. E’ più forte di loro. Ormai è un dato di fatto incontrovertibile.
Il Bari ogni volta che è chiamato a fare il salto di qualità, ogni volta che c’è l’occasione per dare la svolta al campionato, viene meno. E’ proprio nelle sue corde il non potercela e dovercela fare. Lo ha dimostrato quest’anno, lo ha dimostrato quasi sempre nella sua ultracentenaria storia. E chissà per quale motivo. Eppure sabato non c’era il pienone, non c’erano i 30-40-50 mila al San Nicola e tutto lasciava presagire che, forse, l’eccezione ci sarebbe stata. Il pubblico, quello che viene occasionalmente nelle gare di cartello, forse, ha compreso bene che la squadra, in questo tipo di sfide, viene meno, non risponde ‘presente’, non conferma le aspettative e, giustamente, ha evitato di venire allo stadio. Perché è così, inutile girarci attorno. E chi afferma il contrario sbaglia ed è in malafede perché l’evidenza non si può negare.

Tuttavia credo che questo pareggio acciuffato nei minuti di recupero equivalga ad una vera vittoria. E si, perché intanto non stacca la spina dell’alimentazione delle speranze, e poi tiene ad immutata distanza il Cagliari che, vincendo, avrebbe potuto pericolosamente avvicinarsi al Bari.

Poi c’era il non secondario fatto che la squadra di Mignani stava per risolvere la mini crisi sarda, incapace di far punti fuori casa, o quanto meno, incapace di farne con continuità e per poco non c’è riuscita. Del resto si sa che il Bari è specializzato nel risolvere la crisi agli avversari e agli attaccanti da troppo tempo all’asciutto. Senza ricordare i casi degli ultimi 60 anni (ovvero da quando posso rispondere), vi ricordate di cosa fu capace il Bari lo scorso anno a Francavilla Fontana quando la squadra di casa giocò senza 14 titolari, senza allenatore e senza un paio di dirigenti, tra infortunati e squalificati, quando tutti si aspettavano una vittoria facile? Devo andare oltre? Vi devo ricordare che perse malamente? E sì, perché il Bari è questo, prendere o lasciare. Tanti i dolori e poche le gioie. Non sarebbe il Bari altrimenti. E forse proprio per questo si ama.

Peccato perché la vittoria sabato avrebbe avuto un significato importante dati i risultati favorevoli della giornata di campionato con la sconfitta della Reggina, il pari del Sudtirol, la sconfitta del Parma, il pari del Palermo. Peccato perché una vittoria avrebbe dato un segnale ben preciso a tutti: “noi siamo qui e lottiamo per il secondo posto. Genoa avvisato.”

Ma non è andata così. Del resto la gara di ieri, ma in generale l’andamento della squadra, ha messo in luce i soliti limiti e i difetti già riscontrati in precedenti partite, per vincere e per dar fastidio al Genoa occorrono prestazioni diverse, occorre vincere nelle gare clou qualche volta, insomma, non basta vincere occasionalmente o in modo striminzito come accaduto col Cosenza. E forse è proprio in questa gare che fuoriesce lo status di neopromossa, inesperta, nonostante la tanta qualità nella rosa, incapace di diventare grande. Occorre forse tempo.

In questa squadra continuano gli errori-orrori in difesa. Non è possibile che da inizio stagione, si becchino gol su cross e su corner. Inutile evitare i nomi, è facile individuarli: da Di Cesare e Vicari ci si aspetta molto di più, non è possibile che nessuno di loro salti ed anticipi l’attaccante che puntualmente colpisce di testa e fa gol. No, non è possibile. Non sono mica due sbarbatelli quelli li, sono due giocatori d’esperienza. Peccato perché poi tutto il lavoro positivo e propositivo viene vanificato da ingenuità come quelle. Perché prendere gol ci sta, ma se si continuano a beccare gol come quelli di Lapadula, state pur certi, che non si va lontano nonostante il terzo posto. Ci si accontenterà, speriamo, di un posto nei playoff e forse nemmeno come terze e quarte.

Prendere un gol ci sta, prenderne uno al primo minuto pure. Quello che non ci sta per una squadra terza in classifica (mica la quartultima o l’ultima) che, vista la posizione in classifica, si propone come aspirante alla promozione, è non riuscire a pareggiare nel corso della gara, non ci sta la mancata reazione, non ci sta non creare occasioni da gol, non ci sta non riuscire a scardinare muri eretti dagli avversari con gente del calibro di Maiello, Cheddira, Benali, Maita, Botta. No. Perché il Bari di ieri, inutile nasconderlo, non ha creato un bel nulla dal punto di vista di occasioni da rete se non un paio che non hanno fatto balzare i tifosi dal proprio seggiolino. Un colpo di testa di Cheddira, (sempre più ombra di se stesso nel corso delle ultime partite, salvo poi segnare un gol e zittire tutti), terminato alto un po’ sulla falsa riga del gol contro il Cosenza e poi praticamente nulla. Esposito anch’egli lontano parente di quello visto fino adesso, forse una giornata storia e ci sta, ma stranamente l’ho visto andare a battere i corner (ma lui, attaccante, non dovrebbe stare in area di rigore? Non dovrebbero batterli Maita, Benali, i terzini o Maiello i corner?).

L’espulsione di Lapadula ha creato aspettative, ha aperto le speranze per una rimonta insperata. E sì, perché in tanti, per non dire tutti, considerato anche che, dal momento dell’espulsione, mancavano ancora 35 minuti abbondanti alla fine, hanno pensato che il pareggio potesse essere cosa fatta e, chissà, anche il gol vittoria. Ed invece il Cagliari ha alzato il suo bel muro già innalzato nel primo tempo, ha fatto barricate, anzi, ha imbrigliato ancor di più i baresi che non sono riusciti a rendersi mai pericolosi. Del resto le squadre di Ranieri son così: poco spettacolo, gioco all’italiana, difesa e contropiede, uno schema che sarà pure anticalcio, ma che ha sortito risultati tra vittorie di campionato (una in Inghilterra), salvezze e piazzamenti decorosi. E ieri il Cagliari ha giocato proprio alla Ranieri, allenatore applaudito anche dallo sportivissimo pubblico barese.

E’ mancata personalità, molti gli errori, qualcosa di più si è intravisto nel secondo tempo quando si è accesa la luce dopo il torpore del primo tempo, ma non più di tanto. Poi la volontà, il cuore, la voglia matta di non alzare bandiera bianca ha avuto la meglio con quell’azione arrembante del 94′ con Di Cesare che da capitano ha preso la palla, poi Morachioli (ottimo il giocatore, una speranza in più) ha provveduto a gestire il pallone finché non è arrivato al super Maiello (ieri incredibile) che ha fatto il resto. O meglio, il resto lo ha fatto quel giovanotto che risponde al nome di Mirco Antenucci che da grande giocatore ha dimostrato la freddezza tipica del campione realizzando il rigore, un rigore che altri avrebbero difficilmente realizzato, considerato il momento e la posta in palio.

Ora occorre non abbassare la guardia, occorre crederci fino in fondo, cercando di limitare i danni, cercando di porre rimedio alle amnesie difensive che, diciamocelo, ci saranno sempre (è difficile che si possano correggere strada facendo) segnando sempre un gol in più degli altri o, quanto meno, segnandone uno per pareggiare e bilanciare la gara semmai si dovesse essere nella condizione di essere sotto di un gol. A Brescia, per il Bari “parrà la sua nobilitate”. La gara è assolutamente alla sua portata. A patto che scenda in campo concentrata, con umiltà e con la consapevolezza di non andar lì a fare una passeggiata vista la differenza tecnica e di classifica tra le due squadre. E soprattutto che non le venga in mente di andare a risolvergli la crisi. Per favore.

Massimo Longo

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