La viola di Antoine Tamestit, in concerto con l’Orchestra ed il Coro del Teatro Petruzzelli diretti da Giacomo Sagripanti, incanta il pubblico del politeama barese

La Stagione Concertistica 2023 della Fondazione del Petruzzelli ha portato sul palco del Teatro barese Antoine Tamestit, violista francese di riconosciuta fama internazionale, diretto, unitamente all’Orchestra e al Coro del Teatro, dal direttore Giacomo Sagripanti.

Sin dall’esecuzione delle prime note che prendono forma dallo splendido Stradivari del 1672, si è avvertita quella bellissima sensazione di essere fortunati destinatari di un’esecuzione unica, magica e profondamente ricca di forme musicali. E questa prima impressione rimane un filo conduttore in tutti e quattro i movimenti della sinfonia per viola concertante e orchestra dell’Op.61 di “Harold en Italie “, creatura di genere particolare di Hector Berlioz. La letteratura musicale, infatti, ci insegna che le sue sinfonie siano “non conformi alla tradizione”, in quanto sono il risultato di un genere che si nutre dalla sinfonia e dall’opera insieme cui lo stesso compositore conferì l’espressione: “sinfonia drammatica”. Fu il maestro Niccolò Paganini a commissionarla, certo che il compositore francese – inizialmente scettico – sarebbe riuscito ad esaltare i suoi riconosciuti virtuosismi dando vita ad una sinfonia con assolo per viola; le aspettative, però, furono presto disattese poiché Berlioz, seguendo la sua ispirazione e creatività, inserì delle lunghe pause molto poco gradite al “violinista del diavolo” tanto che quest’ultimo si rifiutò di eseguirla.

La storia immaginifica di “Aroldo in montagna”, che man mano si realizza grazie anche all’accompagnamento dell’Orchestra del teatro Petruzzelli, magistralmente diretta dal maestro Giacomo Sagripanti, nasce lentamente in un’atmosfera misteriosa che ci rende visibili le “scene di melanconia, felicità e gioia” in cui ci coinvolge la “Marche de pèlerin chantant la prière du soir” (la marcia dei pellegrini che cantano la preghiera della sera) al rientro da una delle tante faticose giornate di lavoro. I suggestivi rintocchi delle campane – che rievocano un’atmosfera notturna – si dileguano lentamente per dare l’incipit alla “viola” – ovvero alla voce del protagonista – che narra, con una delicatezza ineguagliabile, del suo dolce risveglio al canto appassionato che un ragazzo intona sotto la finestra della sua amata – Serenade d’un montagnard des Abruzzes à sa maitresse -. Il maestro Tamestit gioca sapientemente con l’orchestra ingaggiando con la stessa un dialogo continuo grazie alla sua capacità comunicativa che non si interrompe nemmeno quando suona ad occhi chiusi (cosa che fa per la gran parte dell’esecuzione). Si muove con riservato garbo sul palco, si rivolge continuamente agli orchestrali ed al suo Direttore, quasi a volerli ringraziare per l’intesa armonica, imbraccia la preziosa viola con morbidezza e lascia che sia il cuore a comunicare con lei e ad interpretare quella dolce melodia della serenata che si intreccia al ritmo dell’orchestra con la quale crea una danza musicale senza pari.

La chiusura della sinfonia viene affidata all’“Orgia dei briganti. Ricordi di scene precedenti”, in cui il ritmo “allegro frenetico”, che conclude la storia di Harold, ci restituisce alternativamente immagini che rievocano ora la marcia dei briganti, che si lasciano andare a festeggiamenti di varia natura, ora alla malinconia del protagonista la cui triste sorte viene resa da un travolgente finale che lancia gli spettatori in un immediato e caloroso applauso che non lascia indifferente il Maestro. Senza troppo farsi attendere, infatti, diversamente da ciò che ci si aspetta da un artista della sua grandezza, il talentuoso ed altrettanto generoso Tamestit si concede in due assoli interpretando il noto “Preludio” di J.S. Bach, dalla Suite in sol maggiore, ed il “Capriccio per solo viola” (Hommage à Paganini), di Henri Vieuxtemps con i quali si congeda definitivamente dalla platea che gli tributa una ancor più lunga ovazione.

Con Il Canto di Orlando per coro misto ed orchestra di Paolo Arcà, si cambia atmosfera ma in egual modo è la musica a narrarci la storia ispirata a tre episodi dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Lo stile che firma questo sapiente lavoro, al principio spiazza per modalità narrative, sentimento che però abbandona la mente ed il cuore dello spettatore dopo pochi minuti allorquando si rende conto di essere al cospetto di una composizione nuova, accattivante e travolgente, che ci conduce accuratamente con sé tra i protagonisti del primo movimento (allegro impetuoso) ove Orlando, tra le onde del mare, ingaggia una sfida con il mostro – l’Orca di Ebuda – …“Muggiar sente in questo la marina e rimbombar le selve e le caverne; gonfiarsi l’onde; et ecco il mostro appare, che sotto il petto ha quasi ascoso il mare…” che riesce a sconfiggere… “Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia, e mostra i fianchi e le scagliose schene…”.

Il Coro del Petruzzelli – diretto dal Maestro Fabrizio Cassi – è un valore aggiunto all’orchestra, non si risparmia, diventa strumento per esprimere i diversi sentimenti dell’animo umano che – nell’Orlando – spaziano dall’amore per la sua Angelica alla pazzia ed al dolore alla scoperta del di lei tradimento con Medoro, cui dona il suo cuore, scelta che scatena – musicalmente – la sua incontenibile furia.

Il turbinio di emozioni che ha coinvolto il pubblico, ha lasciato in ognuno la sensazione che il tempo sia volato come un battito di ciglia. Non ci si rende conto che si è giunti al terzo tempo in cui la Sinfonia n.9, in Mi bemolle, op.70 di Dmitrij Šostakovič, chiude, brevemente (seppur sviluppato in cinque movimenti), un bellissimo concerto, nel quale le anime udenti sono state attinte da musica di alto livello. Vieppiù ove quest’ultimo lavoro abbia sorpreso per la sua inaspettata diversità dalle precedenti produzioni del compositore russo per essere amabilmente vivace, gioioso ed a tratti ironico o, per meglio definirlo con le parole di Gavril Popov :“Trasparente. Molta luce e aria. Una sinfonia meravigliosa. Il finale è splendido nella sua gioia di vivere, allegria, brillanezza e piccantezza”.

Si abbandona il teatro, però, con un solo ed unico anelito: che questo genere di musica riesca, prima o poi, a condurre tra le fila di un pubblico adulto anche le nuove generazioni, immerse, ahimè, in sonorità di sicura diversa qualità.

Gemma Viti

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