Gautier Capuçon e Nikolai Lugansky generano bellezza con il loro recital per la Stagione Concertistica 2023 della Fondazione del Teatro Petruzzelli

Mentre la città è catturata dalla febbrile attesa dell’inaugurazione della Stagione d’Opera 2023 con “Il barbiere di Siviglia“, con un assalto al botteghino che ha fatto registrare il tutto esaurito per tutte le repliche del capolavoro rossiniano, la Fondazione del Teatro Petruzzelli continua a proporre straordinari appuntamenti nell’ambito della sua Stagione Concertistica 2023, tra cui non può non rientrare il recital proposto da due star di fama mondiale del calibro di Gautier Capuçon Nikolai Lugansky,

Capuçon e Lugansky giungono sul palco con falcate sicure, insieme, non uno prima dell’altro, in sintonia sin dai loro passi per raggiungere i propri sgabelli, e dopo aver il primo imbracciato il violoncello ed il secondo posato le sue mani sul pianoforte ed essersi scambiati uno sguardo di profonda intesa, dando così la sensazione che all’unisono abbiano pensato: “generiamo bellezza in questa fredda giornata invernale”, danno il via ad un’esecuzione dai ritmi diversamente strabilianti.

La scelta del repertorio interpretato nell’ambito della musica da camera “per violoncello e pianoforte” è senza dubbio accurato e rivolto ad una platea dall’orecchio musicale attento e vieppiù esperto.
La “Sonata n.1 in re minore” di Claude Debussy, nota per il primo titolo che lo stesso musicista le assegnò, “Pierrot irritato con la luna”, poi abbandonato dallo stesso e mutato in una suggestiva indicazione in calce allo spartito (“che il pianista non dimentichi mai che non deve combattere contro il violoncello ma accompagnarlo”), ci riporta ad atmosfere notturne, non sempre malinconiche in cui, in effetti, i virtuosismi dell’affascinante Capuçon prevalgono su quelli del pur magistrale pianista.

L’impressione di ritorno è che i due maestri dialoghino musicalmente con modalità incessanti, anche quando sollevano le mani dai rispettivi strumenti per immergersi emotivamente nella composizione successiva. Chiudono gli occhi e nel silenzio dell’attenta platea in trepidante attesa, quasi trattengono il respiro per poi espirare con impeto dando luogo alla nuova performance, di sapore quasi spagnoleggiante, in cui ci è facile immaginare un’atmosfera frizzante, resa leggera dal gioco che Capuçon ingaggia con il suo impalpabile archetto allorquando con maestria pizzica le corde del suo violoncello che mai abbandona, neanche tra il primo ed il secondo tempo.

L’esecuzione della “Sonata di re minore, op 40” di Dmitrij Sostakovic, è assai particolare e non è facilmente accostabile per un cultore medio della musica classica; richiede impegno che però viene al contempo ripagato dai virtuosismi che, soprattutto nella parte finale, oltre a sollevare gli animi, rendono instabili gli occhi che convulsamente si posano dapprima sulla tastiera, su cui volano incessantemente da una parte all’altra le mani di Lugansky, ed un secondo dopo sulle evoluzioni del violoncellista che, con altrettanto impegno fisico, ci conduce ad un “notevole” Crescendo che non può che sfociare in un meritato e scrosciante applauso.

Il secondo tempo è interamente dedicato a Sergej Rachmaninov, compositore tanto amato, da sempre, dal pubblico quanto temuto dai musicisti per le complessità sia strutturali che tecnico-musicali di cui sono infarcite le sue creature (i suoi accordi sono molto ampi, per esempio, cosa che richiederebbe mani grandi e che, di fatto, escluderebbe una buona parte di appassionati pianisti, siano essi dilettanti o professionisti).
La “Sonata in sol minore, op.19” è stranamente generosa con il violoncello che occupa un posto di tutto riguardo nel primo movimento; ma nel mentre ci chiediamo come ciò sia possibile, interviene perentoriamente il pianoforte che tra le mani di Lugansky diventa protagonista di eloquenti virtuosismi che richiedono sforzi tecnici titanici ma che giungono in platea in tutt’altra veste unitamente alla personale e meravigliosa interpretazione.
Ciò che pure piace è che i due giovani – solo anagraficamente – interpreti, al termine di ogni esecuzione, si alzano e, tenendosi sempre per mano, ringraziano più volte il pubblico, quasi a meravigliarsi del giusto riconoscimento che viene loro tributato; si scambiano visibilmente battute – e ci piacerebbe sapere in che lingua -, scherzano, ci fanno intendere che ciascuno amerebbe essere al posto dell’altro, tributandosi reciproca ammirazione e palpabile rispetto.

Si congedano con un generoso ed arcinoto bis estratto da “Carnaval des animaux” di Camille Saint-Saëns, che suggella nel pubblico l’immagine, ormai indelebile, di un archetto che accarezza le corde e che genera suoni decisi ed impalpabili al tempo stesso, e delle grandi e possenti mani che sanno dominare la tastiera con impeto e ineguagliabile tocco, non senza trascurare la beltà dei tratti somatici di questi interpreti che speriamo, tra i loro innumerevoli impegni, riescano a riproporre il sodalizio, per farci rivivere la bellezza della quale sono stati fautori ideali in questa occasione.

Gemma Viti
Foto di repertorio dal web

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