Un concept in cui la vera destinazione è il viaggio: così si dipana “Flying in a box” del chitarrista Enrico Bracco per A.Ma. Records

Quante volte ci siamo trovati a fare pensieri lontani, magari alla guida della macchina. Il solito tratto di strada diventa un viaggio in cui i pensieri sono nuvole più o meno rapide, più o meno pesanti, seduti sulle quali talora giungiamo a decisioni importanti, o a piccole risoluzioni, sogniamo ad occhi aperti o ancora semplicemente ci distraiamo dal traffico, e a destinazione spesso ci convinciamo di essere stati chissà dove.

E’ qui che si infila “Flying in a box”, nuovo disco della premiata casa discografica A.Ma Records che continua a scommettere sulla chitarra, e lo fa con Enrico Bracco, romano, affiancato da Daniele Tittarelli al sax alto, Enrico Morello alla batteria (Morello e Tittarelli, ottimi anche in quest’album, li abbiamo visti di recente al festival “Musiche Corsare” dell’associazione “Nel Gioco del Jazz”), Pietro Lussu al pianoforte e Giuseppe Romagnoli al contrabbasso.

Un disco improntato all’italianità nel senso jazzistico del termine, con sonorità solide e ampie. La title track, infatti è sorridente senza mancare di accenti sornioni e carica di tradizionalità nel senso buono del termine, rassicurante e di sensazioni semplici. Come l’italianità, anzi come la romanità.

Il debutto del viaggio è con “Flow”, quella nuvoletta che inizia a picchiettare la testa, un pensiero che ci rapisce la mente e ci porta a divagare con lei, partendo con una batteria impertinente e terminando con un sax che, come la volpe col gatto, accompagna il distacco della mente. “Unresolved”, seconda traccia, insinua il dubbio delle cose da dire, di quelle da non dire, e di quelle che non vanno neppure pensate, sulla base delle quali si sono costituite intere religioni, guerre e tifoserie. Finalmente la chitarra di Bracco emerge imperiosa, con un bel fraseggio e un interplay molto interessante. “Little Stone”, forse un sasso nello stagno, un giro di batteria concentrico ma non troppo, su cui si inanellano i disegni armonici della formazione di cui fornisce ottima sintesi l’assolo di Romagnoli nel posto che nella canzone si dedica al bridge. “Urge” è forse la traccia in cui la chitarra espatria, per raggiungere una dimensione più europea, seguita da un pianoforte brillante e poi dal resto del collettivo. “Cold” al contrario calma e reclama il pensiero alla ragione, con dimensioni molto rarefatte, quasi ambient, del sax, della batteria, del sax, dei riverberi in generale. “Proved Honesty” spinge alla consapevolezza con l’aiuto della musica, un bilanciamento tra le atmosfere più fini e quelle più liquide dell’intero concept.

Il finale? “The same way”, perché possiamo sì divagare, cercare nuove soluzioni, ma finiremo per fare le cose a modo nostro. Nella stessa identica maniera cui siamo abituati. E così lo fa il pezzo, beffardo, con la stessa batteria divertita che ha iniziato, con una chitarra quasi esclamativa e apologetica, un piano dalle figure segmentate, un sax argomentativo.
Poco importa aver fatto, l’importante è averci pensato. L’importante è aver volato.

Beatrice Zippo

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