Le architetture musicali tra passato e presente del duo di chitarre Anglani-Vierucci conquistano il pubblico di Noci

Cosa hanno in comune la musica colta di Bach e Scarlatti e la popular music dei Dire Straits e Beatles?
Per la tendenza conservatrice, che relega la musica classica a puro intrattenimento museale, niente. Vi è tra loro una distanza sociale, culturale, geografica.
Eppure nei tempi e nei diversi luoghi del pianeta, la musica, questo linguaggio universale, è sempre stata generativa. Ha camminato sulle spalle dei giganti, ha raccontato la natura, l’amore, i bisogni, i lamenti e nelle mani dei talenti si è trasformata in capolavoro.

All’interno del programma degli spettacoli della rassegna Letteraria “Chiostri e Inchiostri” che si è svolta nei giorni scorsi a Noci, ho partecipato all’interessantissimo concerto del duo di chitarre Anglani-Vierucci.
Amici sin dalla scuola materna, i due musicisti intraprendono percorsi musicali molto diversi ma paralleli.

Filippo Anglani, dopo gli studi di chitarra classica al Conservatorio di Monopoli pensa bene di laurearsi in ingegneria meccanica ed intraprende un percorso professionale nel settore dell’industria Aeronautica, ma questo non gli impedisce di continuare a suonare e studiare;
perfezionatosi con il suo grande amico e maestro Domenico Del Giudice (e si sente), si presenta con un ottimo tocco e un suono deciso, potente e dinamico, ed è dotato di una cultura musicale vastissima, destreggiandosi altrettanto bene fra chitarra classica, jazz, metal, progressive, classic rock e funky.
Marcello Vierucci comincia a suonare la chitarra da giovanissimo ed è da sempre appassionato del cantautorato inglese e americano degli anni 70 e 80. Dopo gli studi universitari in Lingue, intraprende una carriera professionale nel settore delle Assicurazioni. La musica però rappresenta – anche per lui – il vero filo conduttore dell’esistenza.

I due si sono ritrovati recentemente con una idea in testa: qual è la vera definizione di “buona musica”? O meglio, il canone estetico, melodico e armonico di un brano musicale può avere un valore universale?
Attraversando i secoli con le composizioni dei più grandi autori, non erano forse Bach, Scarlatti, Barrios e Villalobos delle icone musicali come lo sono state poi i Beatles, i Dire Straits, gli Eagles e gli America?

Per fornire una risposta a questa intrigante domanda senza banalizzarla, i due hanno deciso di preparare un programma di concerto “trasversale” che si muove attraverso gli stili, le epoche, gli autori e le musiche, presentandolo in anteprima proprio a Noci. L’ordine cronologico della scrittura dei brani viene quindi stravolto: avvalendosi di armonie note e ardite, valorizzate dalla potenza espressiva delle due chitarre – classica e acustica – Filippo e Marcello ci hanno regalato un ascolto romantico, vivace e anche innovativo.
Ad accompagnarli in questo concerto, stralci di un libro che aiuta a capire quanto la musica sia materia fluida attraverso la
figura di un noto compositore (Antonio Vivaldi, che però non viene mai nominato) che fu precursore di cambiamenti ma poco apprezzato nel suo periodo storico. La sua musica, innovativa ed inusuale, anticipava i tempi e rompeva i canoni classici.
Attraverso questo testo si comprende la portata dell’impeto generativo che ha spinto molti compositori a rompere gli argini dei vecchi canoni per innovare.

È impossibile fermare la musica.
É l’assunto di questa performance.
Tre percorsi di ascolto, quindi, nel concerto: musica colta, musica contemporanea e parole narrate che raccontano la potenza della musica, tratte dal romanzo “Stabat Mater” di Tiziano Scarpa.

Il primo brano è suonato da Filippo solo ed è Valseana del chitarrista e compositore brasiliano contemporaneo Sergio Assad: un piccolo capolavoro di dolcezza ed eleganza. Segue quasi subito Private Investigations dei Dire Straits suonato in coppia, con cui gli spettatori sono catapultati verso un universo sonoro diverso, ma non dissonante.
Neanche il tempo di prendere fiato e parte Time/Breathe (reprise) dei Pink Floyd, con le due chitarre che si intrecciano mirabilmente. A questo punto Marcello esegue da solo Blackbird dei Beatles: ed è di nuovo poesia.
Il viaggio sonoro prosegue con la (difficilissima) Sonata K213 di Domenico Scarlatti trascritta per chitarra da Domenico Del Giudice, eseguita da Filippo senza amplificazione, con la piazza che, improvvisamente, si fa muta e tutti ascoltano il suono naturale della chitarra classica proiettata sonoramente verso di loro. Scarlatti lascia senza parole per la bellezza del brano ed ecco che compaiono gli Eagles con “I can’t tell you why” suonato nuovamente in coppia.
Si ascoltano le parole del libro che si alternano ai brani, il testo letterario si inserisce elegantemente fra le note ed ecco che Marcello imbraccia la chitarra acustica e la armonica per suonare Heart of Gold di Neil Young. Filippo raccoglie la sfida e ci propone a seguire La Catedral del sudamericano Agustin Barrios, uno dei capolavori della chitarra classica moderna diventato il vero banco di prova di ogni concertista classico che si rispetti. Marcello risponde con la delicata You’ve got a friend di Carole King portata al successo da James Taylor che emoziona il pubblico.

Sull’onda romantica del brano precedente, Filippo ci incanta con Sonho De Magia del brasiliano Joao Teixeira Guimaraes, altro brano struggente suonato perfettamente. Marcello prosegue con la bellezza di Out on the Weekend, sempre di Neil Young, con chitarra acustica e armonica.
Ci avviciniamo alla fine del concerto e Filippo ci presenta il Preludio dall’opera
BW998
di Johann Sebastian Bach, con il suono profondo della sesta corda in re della chitarra classica che ci avvolge e ci conquista: un brano veramente impegnativo, bellissimo!
I due chiudono la serata a sorpresa con Ventura Highway degli America, suonata insieme con un perfetto intreccio che ben omaggia il gruppo americano.

Esiste quindi davvero solo la buona musica?
Per chi ha gusto, sensibilità e orecchie per ascoltare, certamente sì.

Dora Intini

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