L’“Omaggio a Enrico Caruso” di Danilo Rea, Barbara Bovoli ed Alessandra Pizzi risuonerà nella Cattedrale di Molfetta per la Fondazione Musicale Valente

Sarà la suggestiva cornice della Cattedrale di Molfetta ad ospitare martedì 21 dicembre alle ore 21.00 l’attesissimo evento della Fondazione Musicale Valente (www.fondazionemusicalevalente.it) “Omaggio a Enrico Caruso“, lo straordinario viaggio tra celebri arie di grandi opere liriche con cui Danilo Rea, uno dei pianisti più creativi della scena jazzistica nazionale e internazionale, da sempre appassionato dell’improvvisazione, rende omaggio, con la partecipazione dell’attrice Barbara Bovoli, in veste di voce narrante, e la drammaturgia di Alessandra Pizzi, ad uno tra i più grandi tenori di tutti i tempi nel centesimo anniversario della sua scomparsa (info e prenotazioni: 080 9900206 – ticketonline sul marketplace della “Fondazione Valente” https://think1.sumup.link/ o nei punti vendita: InfoPoint via Piazza 27 (centro storico); Bar IT Corso Umberto 2; Bar Giza via Giovinazzo; Queens Caffè Bistrot via Fremantle 19).

L’anima jazz di Danilo Rea si intreccia con la ricerca e la passione, incessanti, e nell’occasione la sua musica tratteggerà episodi e aneddoti della vita di Enrico Caruso, raccontati da Doroty Park, la moglie americana che sposò il tenore: musica e traccia narrativa ricostruiscono il filo biografico dell’uomo e dell’artista che più di ogni altro ha rappresentato la musica italiana nel mondo. Dal suo arrivo a New York, in quel tempio della musica che era il Metropolitan, sino al rientro a Sorrento, prima della sua morte. Virtuosismi musicali e racconti segnano così il profilo di uno spettacolo che si propone come un tributo alla grande musica d’autore, alla grande tradizione musicale italiana e internazionale, alla magnificenza dell’arte, omaggiando una delle icone più riconoscibili, quel tenore napoletano che divenne più famoso di Roosevelt, a cui Dalla dedicò una canzone che porta il suo nome e che, a distanza di oltre trenta anni dalla pubblicazione, resta tra le canzoni italiane più famose nel mondo.

«Una popstar ante litteram – ha detto Danilo Rea – nel modo in cui ha vissuto e attraversato il suo lavoro, tra produzioni discografiche, registrazioni e una vita senza troppe regole. Quando ha smesso di sentire da un orecchio, ha messo ancora più alla prova la sua voce, dunque un uomo che ha fatto della sofferenza la propria forza grazie alla coscienza del talento. Ha saputo essere personaggio, un grande comunicatore che ha unito mondi e appassionati cantando a modo suo, a volte a dispetto dei puristi, spaziando con eclettismo tra forme e linguaggi musicali».

Caruso risuona ancora con la sua smisurata personalità. La carriera, i trionfi, i palcoscenici, le ovazioni, il talento che sfida la modernità, non sono che un pretesto che lo spettacolo utilizza per tratteggiare il personaggio, la sua dimensione che travalica il tempo. L’arte di Caruso è conservata nelle incisioni di vecchi vinili, che girano ancora sui piatti dei grammofoni da collezione, eppure l’evoluzione della tecnologia non ha scalfito l’integrità dello scenario artistico di quelle opere senza tempo. Una grande eredità cui Danilo Rea attinge con tutta la sua anima jazz per rileggere in divenire il genio e il divo.

Sullo sfondo l’innovatore, celebrato e rappresentato in ogni forma possibile, un mito che ha saputo intercettare i prodromi della tecnologia per diffondere la sua arte ponendosi come “modello di riscatto sociale”. «Il mondo della cultura – ha aggiunto Rea – a volte pone ostacoli al di fuori di certa ortodossia tradizionale segnando un discrimine tra corretto e non corretto. Credo che all’epoca Caruso sia stato amato più dal pubblico e dai musicisti che dalla stessa critica».

Lo spettacolo di Danilo Rea porta la firma di Alessandra Pizzi, dall’ideazione alla drammaturgia: «L’idea mi è venuta in mente leggendo uno dei tanti episodi sulla vita di Caruso che nel 1903, contravvenendo al rigore dell’epoca e al giudizio della critica, fu tra i primi artisti, in assoluto il primo interprete lirico, a “consegnare” la sua voce alla modernità incidendo il primo disco in vinile. Mi sembrava un pretesto imperdibile per raccontare l’importanza dell’avvento della tecnologia applicata alla musica e l’importanza che ha avuto nella sua divulgazione. Cosa sarebbe stato della musica se non ci fossero stati i dischi? E quali e quanti artisti oggi ricorderemmo? Da qui l’idea di chiedere a Danilo Rea di raccontarci, attraverso la sua arte, quello che conosciamo e riconosciamo di un’opera e la sua capacità di evocare emozioni ben oltre l’esecuzione da maniera. Perché se i metodi di riproduzione e di fruizione cambiano, allora l’arte in sé si evolve conservando, come in uno scrigno segreto, il valore del messaggio».

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