Scrivere la vita di chi scrive: l’intervista a Salvatore De Mola, lo sceneggiatore barese de “Il Commissario Montalbano”, “Storia di Nilde”, “Imma Tataranni – Sostituto Procuratore” e de “La stoffa dei sogni” con cui ha vinto il David di Donatello

È complicato vivere in un mondo in cui la visibilità e la superficie sono tutto.
È doppiamente complicato per chi, dotato di un carattere estremamente riservato, è spesso un ottimo osservatore dell’apparenza altrui, ma è fuori dall’effimero radar dei volti noti.
Per chi, come Salvatore De Mola, scrive per il cinema e la televisione, impèri del visibile, può essere un inferno, l’anonimato al di fuori degli addetti ai lavori, quando, invece, senza scrittura l’opera non può esistere.

Parlando di popolarità e di arte popolare, contravvenendo al dettame di Andy Warhol, secondo cui “Nel futuro, ognuno sarà famoso per 15 minuti”, Banksy ha affermato che “L’invisibilità è un superpotere”. L’invisibilità nulla ha a che vedere con l’oblio, con l’inconsistenza o con l’assenza, ma spesso conferisce il dono di poter delineare nitidamente i personaggi che si scrivono, senza la mediazione di un sé invadente.

È questo che Salvatore De Mola fa da quasi trent’anni.
Smarco subito la parte enciclopedica, il palmares stellare di De Mola, a partire da “Mio Cognato” (2003), celeberrimo film scritto con i fratelli Piva, interpretato da Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio, premio Solinas.
E poi, venti episodi su 37 de “Il Commissario Montalbano”, due stagioni de “I Cesaroni”, un’indimenticabile “Storia di Nilde” nel 2019, fino ad “Imma Tataranni – Sostituto Procuratore”.
Nel mezzo, innumerevoli altre produzioni italiane ed europee.
Quello che può essere elencato non è molto interessante, se non viene raccontato. La sola sequenza degli eventi, di suo, non insegna e non aggiunge nulla. È a questo che serve lo sceneggiatore, e in un gioco in cui “si ruba a casa dei ladri”, provo a sceneggiare la vita del Salvatore De Mola sceneggiatore.

Prima di tutto, l’esordio. C’è stato un momento in cui Salvatore De Mola ha deciso di essere uno sceneggiatore?

[Qui non basta l’amore per il solo cinema o la sola scrittura, De Mola spiega sia l’amore per l’uno che per l’altra.]

“Ero un bambino piuttosto riservato, anche in famiglia. La maestra ci diede un compito classico, “Cosa hai fatto nel fine settimana?”. Lo svolgimento fu di due righe, perché non avevo fatto nulla di interessante. Siccome la maestra mi disse che non potevo consegnare un compito così, fu mia madre a dire: “Inventa”. Quindi, per non dire bugie, dovevo trasfigurare la realtà, offrirne la mitopoiesi. E poi, prima dell’età della ragione, l’appuntamento con i film per chi non aveva i mezzi per andare frequentemente al cinema era il lunedì di Raiuno. In particolare, c’è stata una volta in cui hanno dato “Il Padrino”, che siccome durava molto, è stato diviso in due sere consecutive. Quando è finita la prima “puntata”, non ho vissuto il mondo reale, il giorno dopo, in attesa del resto del film, che mi interessava più delle cose vere. Lì ho realizzato che quello che volevo fare, nella vita, era raccontare quel genere di storie. Ho sempre fatto studi, scritto racconti, sceneggiature, copioni che vertevano sulla narrativa cinematografica. Dal 1997 lo faccio professionalmente.”

Gira voce che anche “Mio Cognato” sia la trasposizione filmica di un episodio realmente accaduto …

“Nel 1989, ero andato a vedere un film di Spike Lee, probabilmente “Fa’ la cosa giusta”, al cinema Abc, con la mia Panda bianca, comprata faticosamente. All’uscita, la macchina non c’era più. Ovviamente ero andato subito a fare la denuncia, ma mio zio, bonariamente (non come il personaggio interpretato da Sergio Rubini) mi disse “Cos’hai fatto??”. Qualche giorno dopo, un altro zio mi disse che avevano trovato un gruppo che smontava una Panda bianca nei pressi dei Mercati Generali. Passato un altro paio di giorni, mi hanno chiamato perché la macchina era stata ritrovata. Il resto dell’idea è nato da conversazioni con Alessandro (Piva, ndr). Lo svolgersi della vicenda è stato affidato alla notte, che rivela l’essenza delle città e delle persone.”

[Una città, e la sua notte. Bari, che vive nei ricordi di De Mola, ormai trasferito a Roma.]

“Bari è una città bellissima, è l’essenza del mare. Alcune forme della mentalità barese mi risultano ancora antipatiche, tra cui l’ossessione per il successo economico e l’ostentazione di esso con macchine, case, lussi e favori. La prima reazione verso la vittoria del David di Donatello (per “La stoffa dei sogni” nel 2017, ndr) è stata “Si ffàtte terrise” (“Hai fatto soldi”), quando invece il nostro è un mestiere precario, poiché tutto è legato al gusto del pubblico. Sono reduce da due masterclass di sceneggiatura a Bari e a Bisceglie, in cui ho riscontrato un forte interesse sul come nasce il cinema, da parte dei giovani.”

Una vita legata più alle scelte o alla fortuna?

[La conferma che le une determinano l’altra e viceversa è fortissima, ascoltando il racconto di formazione che De Mola fa di sé.]

“Nel 1997, insieme ad Alessandro, andammo a Roma, decisi ad iscriverci al Centro Sperimentale di Cinematografia. Quell’anno, però, il centro chiuse. Alessandro decise di aspettare che riaprisse, mentre io mi iscrissi a Lettere, e con un buon rendimento e delle borse di studio riuscii ad arrivare al dottorato di ricerca. Avevo iniziato a lavorare come correttore di bozze per la casa editrice Laterza, iniziavo a scrivere per il cinema e per la TV, e per questa fonte di reddito dovevo rinunciare alla borsa di dottorato. Dovevo fare una scelta, avevo già vinto due premi Solinas. Fu allora che un amico mi prospettò la possibilità di iscrivermi a un corso di sceneggiatura in RAI, e mi licenziai da tutto il resto. Per due anni ho praticamente solo studiato, fino a quando non vennero a propormi la sceneggiatura di una storia tratta dai romanzi di uno scrittore siciliano. Il resto è storia, e senza Montalbano non sarei qui.”

Volendo guardare nel complesso, alla scrittura di Montalbano e di Imma Tataranni, si rischia di perdersi, mentre un aspetto in particolare merita di essere approfondito: com’è scrivere personaggi femminili, per un uomo?

“Uno dei miei maestri è sicuramente il regista Antonio Pietrangeli, un grande conoscitore dell’animo femminile. Nella stessa misura in cui io non parlo di me stesso, quando scrivo, descrivo personaggi femminili partendo dalle donne che mi circondano, da mia madre alla cassiera di un negozio. Ho fatto tesoro della mia curiosità. Mi diverte scrivere di donne e mia moglie fa da cavia per tutte le mie paturnie da anni. Nel cercare di vitalizzare Imma Tataranni, l’idea è di affiancarle un’altra detective, perché se c’è una strada già percorsa e ripercorsa, a me piace cambiare itinerario, e in questo senso una storia di sole donne mi piacerebbe. L’unica eccezione è rappresentata da Montalbano, che per me è stato per anni una specie di casa, un porto sicuro.”

Prima si è parlato di “sliding doors”. Sappiamo cosa è successo, attraversandole. Ma cosa è rimasto dietro, quali altri Salvatore De Mola non sono arrivati ai giorni nostri?

[Qui emerge dapprima un racconto che rivela poche sbavature, rispetto alle scelte di vita, che non scriverò, perché il dato rilevante è un’esistenza fortemente centrata e identificata col proprio mestiere.]

“Posso dire che le “sliding doors” più importanti per me sono state sul campo sentimentale, quando ho incontrato mia moglie. Stavo lavorando per un film di Michele Placido, che non aveva la mail e necessitava di un fax. Il fax del mio computer non funzionava, e non c’era verso di metterlo a posto. Dovevo necessariamente andare in un ufficio della casa editrice, per usare il loro, e lì me l’hanno presentata. Tornato nel mio ufficio, ho realizzato che aggiustare il mio fax era una scemenza. Per converso, lei non aveva la TV, quindi non ho dovuto faticare per farmi guardare per quello che sono.”

Nomi cui guardare nel presente, progetti futuri?

“Per me l’attore più bravo attualmente è Massimiliano Gallo (adesso in sala con “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino e in teatro con “Il silenzio grande” per la regia di Alessandro Gassmann, ndr). Diversamente da molti attori, che volendo fare tutto si sovraespongono con conseguenze pessime sulla propria carriera, Gallo è tra i pochi che può fare davvero tutto.
Dovrei avere tre vite per raccontare tutte le storie che mi vengono in mente, ma nei miei progetti futuri c’è una serie per teenager. Bisogna insegnare che ciò che si vede è frutto di lavoro, come per il cinema e la televisione, che nascono perché c’è qualcuno che ci lavora, ed è un insegnamento estendibile anche alla scienza e alla negazione della stessa, ma questo è un altro discorso.”

Beatrice Zippo

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