Grazie alla seconda parte del “Revenge Fest” dell’associazione “Nel gioco del jazz”, Bari sarà per quattro giorni capitale del jazz italiano

Dopo le star americane Ambrose AkinmusireDavid MurrayFred Hersch e Antonio Sánchez, tocca ai leoni italiani del sax Francesco BearzattiRoberto Ottaviano ed Emanuele Cisi e al trio Bumps, la formazione pugliese composta da Vince Abbracciante (tastiere), Davide Penta (basso elettrico) e Antonio Di Lorenzo (batteria). Sono i protagonisti della seconda tranche del Jazz RevengeFest organizzato con la direzione artistica di Roberto Ottaviano dall’associazione Nel Gioco del Jazz, che lancia una doppia promozione: per ogni biglietto acquistato il secondo è gratis, così come per ogni abbonamento.

Il Capitolo #2 del festival che ha fatto registrare la rivincita del grande jazz a Bari, è in programma da questa sera al 29 agosto (sempre alle ore 21.00), nell’Arena della Pace, al quartiere Japigia (via Nicola Loiacono, 20), dove si terranno i quattro concerti in calendario, recupero della Stagione 2020 «Think Positive» (Biglietti su www.liveticket.it e www.nelgiocodeljazz.com. Info e WhatsApp 351.2101227 e 338.9031130).

Si riparte, dunque, oggi, giovedì 26 agosto con il Tinissima 4et di Francesco Bearzatti, il sassofonista che all’inizio del 2021 ha pubblicato «Zorro», omaggio all’eroe della resistenza alle ingiustizie. Con Bearzatti sul palco saliranno Giovanni Falzone (tromba e flicorno), Danilo Gallo (basso elettrico) e Zeno De Rossi (batteria).
Chi è stato bambino negli anni Sessanta è cresciuto con la serie televisiva di Zorro, il giustiziere mascherato tutto vestito di nero, baffetti da seduttore e spada sempre pronta a riparare torti e sconfiggere cattivi. Un eroe moderno, fusione di svariati immaginari: quasi un D’Artagnan western, ma anche un super eroe ante litteram dotato di una doppia identità, un po’ come Bruce Wayne/Batman. Nel pueblo di Los Angeles, al tempo della California spagnola, quasi nessuno sa che il gentiluomo don Diego De La Vega e Zorro, che le forze dell’ordine si ostinano a considerare un fuorilegge, sono la stessa persona. Ma il mito di Zorro è più antico: quest’anno compie cent’anni, a far data dal primo film hollywoodiano a lui dedicato interpretato da Douglas Fairbanks. Mentre a rilanciarlo nel nuovo secolo ci ha pensato Isabel Allende, con il suo libro del 2005. Niente di meglio, dunque, di un disco celebrativo da parte di uno dei gruppi più longevi del jazz italiano, il Tinissima Quartet guidato dal sassofonista Francesco Bearzatti, non nuovo a operazioni del genere visti i progetti già dedicati in passato ad altri rivoluzionari (realmente esistiti, ma molto romanzati) come Malcolm X e Tina Modotti. Bearzatti fa sul serio, e con i suoi ottimi compari (Giovanni Falzone alla tromba, Danilo Gallo e Zeno De Rossi alla ritmica) realizza nove brani originali colmi di humour (El regreso), immaginario cinematografico (il tema di Zorro che apre il disco e El triunfo del Zorro che lo chiude) e spunti terzomondisti alla Gato Barbieri (Tierra india, Algo mal). Musica plasticamente viva, scoppiettante d’idee e colpi di scena. Come un telefilm d’altri tempi.

Venerdì 27 agosto sarà lo stesso Roberto Ottaviano a esibirsi col suo Eternal Love, la formazione del doppio «Resonance & Rhapsodies» pubblicato dall’etichetta salentina Dodicilune e consacrato miglior disco del 2020 dall’ultimo Top Jazz. La line up prevede, oltre al band leader, Marco Colonna (clarinetti), Giorgio Pacorig (pianoforte), Giovanni Maier (contrabbasso) e Zeno De Rossi (batteria).
«Eternal Love» è un omaggio all’Africa, alla sua cultura, alla sua musica e al suo popolo, in un’epoca di migrazioni e intolleranze razziali che sembra riportarci all’America degli anni Cinquanta e Sessanta, di Rosa Parks e di Martin Luther King: con questo suo quintetto il sassofonista pugliese Roberto Ottaviano mette l’accento sulla musica come medicina dell’anima e come cemento delle identità collettive, attraverso una selezione di composizioni di Don Cherry, Abdullah Ibrahim, Charlie Haden, John Coltrane, Dewey Redman, Elton Dean e brani originali. Negli ultimi anni Roberto Ottaviano è tornato a occupare quel ruolo di primo piano sulla scena del jazz nazionale che gli compete. Ne fanno fede, tra l’altro, le brillanti affermazioni nel Top Jazz 2020 di Musica Jazz come musicista, come gruppo e soprattutto con il doppio album «Resonance & Rhapsodies». Ma ciò che più conta, è la qualità della sua musica, di progetti lucidamente calibrati e di incontri felici con partner musicali importanti, dal clarinettista Marco Colonna, sorta di alter ego di Ottaviano, al pianista Giorgio Pacorig, alla ritmica costituita da Giorgio Vendola al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria. Tutti ben sintonizzati sulla medesima lunghezza d’onda del leader, musicale e umana.

Sabato 28 agosto è in calendario un omaggio a Lester Young dal titolo «No Eyes» firmato da un altro sassofonista di punta della scena italiana, Emanuele Cisi, coadiuvato da Dino Rubino (tromba), Rosario Bonaccorso (contrabbasso) e Adam Pache (batteria).
La poesia e il jazz hanno una relazione consolidata da affinità antiche. La poesia e il jazz, e più in generale, la scrittura e la musica, hanno in comune la vita e, nelle innumerevoli occasioni in cui i jazzisti hanno pensato di affidare alla poesia le esternazioni del loro atto creativo, quasi sempre la musica se ne è avvantaggiata. Oggi tocca a uno dei sassofonisti più sensibili e capaci della scena, e non solo di quella italiana: Emanuele Cisi. L’ispirazione è una poesia scritta da David Meltzer, «No Eyes», un componimento dedicato a Lester Young. Il grande tenorista utilizzava un modo di esprimersi tutto particolare. E suo singolare slang di Prez, The Presidente, come lo soprannominò Billie Holiday, la locuzione «no eyes» stava per «non mi interessa», detto con l’inevitabile indolenza di chi considerava la musica l’unica cosa per la quale valesse la pena continuare a vivere. La vita travagliata del sassofonista ha ispirato registi e scrittori, tra cui Geoff Dyer, autore dello struggente racconto «Natura morta con custodia di sax» basato su aneddoti della biografia del grande jazzista. E il modo di suonare di Young, lirico e vitale, ha influenzato generazioni di musicisti. A distanza di quasi sessant’anni dalla morte di Lester (avvenuta in una modesta camera d’albergo a New York, il 15 marzo del 1959) Cisi ha deciso di pubblicare questo straordinario atto d’amore. Nulla di didascalico, in questa musica e, soprattutto, niente che non funzioni. Un mosaico di note, delicate e swinganti, in cui ognuno dei musicisti convocati in sala d’incisione ha svolto egregiamente la sua parte. Un disco assolutamente consigliato. Anzi, di più: indispensabile.

Chiusura domenica 29 agosto con i Bumps, la formazione pugliese composta da Vince Abbracciante (tastiere), Davide Penta (basso elettrico) e Antonio Di Lorenzo (batteria) invitata a presentare il recente progetto discografico «Ars Insidiae», un omaggio alle sonorità vintage dentro un mélange di jazz contaminato nel quale non mancano echi di bande di paese.
«Ars Insidiae» è il nuovo album firmato The Bumps, eclettico trio composto da tre brillanti musicisti pugliesi, Vince Abbracciante (tastiere), Davide Penta (basso elettrico) e Antonio Di Lorenzo (batteria). Pubblicato dall’etichetta discografica Bumps Records, la tracklist consta di otto brani originali scaturiti dalla fervida creatività compositiva di Abbracciante, Penta e Di Lorenzo, anche arrangiatori dell’intero album. Già il titolo di questo nuovo progetto discografico rappresenta il manifesto relativo al percorso che è sfociato nell’ideazione, nella scrittura e nella realizzazione delle otto composizioni. «Ars Insidiae» è musica evocativa, ricca di pathos, ma soprattutto mai oleografica, grazie al solido legame fra i tre musicisti e alle profonde riflessioni sulla Puglia, in tutte le sue sfumature, comprendenti colori, suoni, luoghi, assonanze e dissonanze proprie di una terra ricca di suggestioni e ispirazioni e, soprattutto, contraddizioni. La matrice cinematica del jazz contaminato di The Bumps è figlio di un maliardo mélange improntato su luoghi, varie situazioni, echi di bande di paese, personaggi realmente incontrati o soltanto immaginati e rivelazioni “On the Road”, per tramutarle nel cosiddetto tableau musico-visivo da ascoltare ad occhi chiusi. La gestazione in studio è durata quasi un anno, come una sorta di «work in progress», mentre l’idea precisa del sound della formazione è da sempre frutto di una sapida commistione fra sonorità retrò e moderne, attraverso l’utilizzo di bassi e batterie vintage (per inciso Di Lorenzo è uno dei maggiori collezionisti al mondo di batterie vintage), e supporti digitali ed elettronici. Le registrazioni sono state effettuate nei Bumps Studios di Fasano, con particolari microfoni per basso e batteria, a cui sono seguite lunghe e accurate fasi di rielaborazione e sovrascritture con l’aggiunta di tastiere originali come l’organo Hammond, il Fender Rhodes, Wurlitzer, Elka, Farfisa e Vox. Il missaggio e la brillante postproduzione hanno ulteriormente impreziosito il sound del disco, attraverso un mood onirico che rappresenta l’autentica peculiarità sonora del trio.

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