Come sfuggire a sistemi patriarcali cercando di sovvertirne le regole: Mario Desiati e il suo “Spatriati” al “Lungomare di Libri” di Bari

Domenica pomeriggio in centro a Bari.
Il caldo afoso ha lasciato posto a un caldo regolare e delizioso, ci sta perfino un leggero venticello. In giro gente che fa shopping, gente che mangia il gelato e gente che ha rinunciato a una giornata di mare per andare a vedere di cosa tratta questo “Lungomare di Libri“, ideato dall’Assessorato Comunale alle Culture, Turismo e Marketing Territoriale, l’edizione zero di questa libreria a cielo aperto che verrà certamente replicato in futuro.
La muraglia è punteggiata da piccole casette di legno che ospitano librerie di Bari e provincia, ciascuna con una selezione specifica di libri: poesie, libri per bambini, piccole e grandi case editrici, graphic novel, cartoline e tante altre cose belle che hanno a che fare con la scrittura.

L’obiettivo mio, e di tante altre persone, è di risalire quel pezzo di muraglia per arrivare al Fortino di Sant’Antonio, per la presentazione dell’ultimo romanzo dello scrittore martinese Mario Desiati, “Spatriati“, un libro che, pubblicato al nord, parla di una storia ambientata al sud: Claudia e Francesco sono due ragazzi di Martina Franca, che frequentano il liceo Tito Livio; i loro destini si dividono quando lei decide di andare via, di (e)spatriare.
Io, che spatriata lo sono stata per davvero, avendo vissuto 12 anni in Emilia Romagna, accedo per la prima volta in vita mia a questa terrazza sul mare e la vista è mozzafiato: il porto e la città vecchia inondati dal sole caldo e dorato del tramonto e tutto intorno un mare calmissimo rosa e argento.

La presentazione ha inizio e vede Maria Grazia Rongo intervistare Desiati e la prima domanda, naturalmente, è: “cosa vuol dire essere spatriati?“.
C’è una esse privativa davanti il termine patria, i senza patria letteralmente, i senza padre. Ma questo è un termine nostro, del nostro dialetto, e indica proprio le persone irregolari, le persone che non si “accocchiano”, che non si sono sistemate, che ad un certo punto della loro vita sono rimaste interrotte.
Sono le persone che sono andate via, quelle che sono andate via e poi sono ritornate, le persone disperse.
Sono i quarantenni che hanno scelto, in modo spesso inconsapevole e spesso in modo obbligato, di non essere legati a luoghi specifici, a lavori specifici.
Sono uomini e donne nati e cresciuti in sistemi patriarcali, da cui sono fuggiti e di cui cercano di sovvertire le regole, con risultati variabili. Questo sovvertimento è celato nella forma arcaica della parola spatriati, nella sua versione dialettale che non vede la vocale finale, ma la shwa, quella vocale neutra che indica maschile, femminile e tutto il mondo non binary.
Il dialetto come linguaggio più inclusivo dell’italiano.

L’intervista prosegue con riflessioni sulla letteratura, ossia su come ogni scrittore nell’atto di scrivere chiami a raccolta tutti i libri che ha letto, in un gioco di rimandi e citazioni spesso esercitato a livello non cosciente. Di come ogni libro letto inneschi un processo radiante di connessioni, aprendo alla curiosità per altri libri, film, luoghi, paesaggi.
Mario Desiati aggiunge che molte delle sue connessioni letterarie hanno come radice autori e autrici pugliesi del ‘900, dimenticati: Maria Marcone, Rina Durante, Tommaso Di Ciaula e, naturalmente, Franco Cassano e il suo “pensiero meridiano”, a cui è dedicata l’intera manifestazione “Lungomare di Libri”.
In conclusione l’autore accenna alla sua officina di scrittore, ossia alla fatica della scrittura, le varie stesure, i tagli, il lavoro di editing, il senso di liberazione misto ad abbandono nel momento della consegna del manoscritto alla casa editrice, per lui Einaudi.

Finale con saluti e applausi e, per me, la promessa di acquistare presto questo libro.
Sapevo già di essere spatriata: dopo stasera, ne ho avuto la conferma.

Alida Melacarne

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