Un tormento che non trova pace, una lacerazione mai cicatrizzata, una ferita capace di cambiare un’esistenza per sempre: in “Due Vite”, Emanuele Trevi riannoda i ricordi della speciale amicizia che lo ha legato a Pia Pera e Rocco Carbone

Restiamo immortali finché viviamo nella memoria di chi ci ha voluto bene.
Poi, “ci dissolviamo … dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno”.

Sotto la spinta di questa consapevolezza, Emanuele Trevi con il suo nuovo libro “Due Vite” (Neri Pozza Editore), candidato alla LXXV edizione del Premio Strega, riannoda i ricordi della speciale amicizia che lo ha legato a Pia Pera e Rocco Carbone e consegna al mondo il racconto delle loro esistenze, stroncate troppo presto da un destino beffardo e tragico.
Pagine dense, scritte con rara accuratezza, in cui prendono forma lineamenti e caratteri di due personalità opposte, animate da ossessioni diverse e inconciliabili.

Rocco Carbone

Tosto e agonistico” nell’aspetto, mente brillante, Rocco. Prigioniero di una “orrenda e inutile succhiasangue”, l’infelicità, che lo inghiotte in una voragine autodistruttiva. Costantemente sospeso tra vertigini e abissi, testardamente ossessionato dalla mania del controllo, spasmodicamente alla ricerca di approvazione, perennemente in credito d’affetto verso tutti.
Una personalità tormentata, “strutturalmente incapace di stare al mondo”, che Trevi ci restituisce in tutta la sua drammatica complessità e disarmante nudità, ripercorrendone dolorosi vissuti e labirinti mentali. Senza falsi pudori o ipocrite censure, ma con la durezza della verità. Che fa male. Soprattutto a chi scrive.
Se per il lettore l’attraversamento di questa sofferenza ha i brividi dello spaesamento e la consolazione dell’impotenza, per Trevi ha il peso di un “rimorso grande come una montagna che getta la sua ombra su ogni parola che sto scrivendo … undici anni dopo la morte di Rocco”. Quel non essersi accorto che il mondo interiore dell’amico stesse andando in frantumi è una ferita che brucia. Brucia ancora. Arde nelle pagine che la raccontano.

Pia Pera ed Emanuele Trevi

Pagine che ritrovano toni più pacati quando ritraggono la figura di Pia Pera “persona intensa, anima prensile e sensibile … essere bizzarro e assolutamente non conformista”.
Emblema di tenerezza e contraddizione.
Dotata di “una vocazione inestirpabile ad accudire”, seducente senza essere bella, pronta a rialzarsi dopo ogni caduta, aperta all’esperimento, Pia agli occhi di Trevi è un essere “incantevole”, incapace di gesti scortesi, “una specie di perpetuo scintillio”, con una inspiegabile attitudine al masochismo sentimentale per via di quella sua facilità a relazionarsi con i famosi “vermi”.
Un’amica assolutamente imprevedibile nella sua autenticità, capace di cambiamenti radicali.
All’improvviso decide di lasciare Milano per andare a vivere in campagna, animata dalla convinzione che “la giornata ideale sia quella passata senza un tetto sulla testa” ( “Non era una ragazza di città. Era nata per piantare semi, zappare, concimare.”).
Pia è una presenza emotivamente ingombrante nella memoria dell’autore. Una figura femminile vibrante di intensa umanità, di cui il lettore avverte il respiro e il battito del cuore nelle pagine appassionate e toccanti che ne ricostruiscono delicatamente il ricordo.
Un ricordo che si fa taglio lacerante quando l’inesorabilità del destino risuona nell’eco di un rimprovero agghiacciante: “zoppichi”. Sono i primi affondi visibili del motoneurone ribelle. Una cellula di comando impazzita, andata in corto circuito, che lentamente imprigiona il corpo di Pia, senza mai intaccare la sua intelligenza scintillante. Quell’andatura sbilanciata è l’inizio di una dura battaglia, che lei affronta con incredibile saggezza e forza d’animo. Una sfida dinanzi alla quale non si arrende, ma che trasforma in “un processo di semplificazione e pulizia interiore”. A sorprendere è la sua preoccupazione: “come farà il giardino a capire perché la giardiniera non viene più ad accudirlo? … Non l’ho ancora detto che mi tocca di morire”. Spiazzante.

Due combattenti, Pia e Rocco, diversamente in lotta. Opposti per natura. Uniti da un “legame trasparente e felice … come accade quando Eros, quell’ozioso infame, non ci mette lo zampino”. Condannati entrambi senza appello ad un prematuro finale di partita.
Due storie che ci restano addosso, che pagina dopo pagina penetrano nelle nostre vite, ci segnano e lasciano impronte incancellabili.
Non potremo dimenticare gli implacabili dissidi interiori, il talento per l’amicizia, la cupezza delle narrazioni, il delirio dell’amore immaginario, la tragica e violenta uscita di scena di Rocco.
Così come ricorderemo la timida sfrontatezza, il ribrezzo per l’imitazione, il “lolitismo” letterario, il disdegno per tutto ciò che è facile, l’amore per la vita all’aria aperta di Pia.

Emanuele Trevi

In “Due Vite” l’amicizia è valore assoluto, è sangue che scorre nelle arterie, linfa vitale che ti scivola dentro, che ti appartiene indissolubilmente. È intima confidenza che assume “la forma di un’antica consuetudine, cameratismo ironico e competitivo” tra Trevi e Rocco, per diventare “una consolazione in questo mondo così difficile da decifrare, così pieno di forze ostili e disintegranti” quando coinvolge Pia.
Due biografie che continuano a vivere con forza nel cuore dell’autore, inondano le sue lacrime trattenute a stento, riaffiorano nei lampi della sua memoria, risplendono nel bagliore dei suoi ricordi e palpitano nelle pagine di un libro coinvolgente e commovente.
Indimenticabile.
Avvolto da un velo di malinconia e percorso da un senso di incolmabile vuoto, di dolorosa assenza.

I frammenti dei ricordi, che trovano ordine nella scrittura, sono schegge affilate.
Ricomporli vuol dire sanguinare. Inevitabilmente. Nell’amara certezza che indietro non si torna, perché “il tempo ci sbarra ogni via del ritorno”, ci imprime una direzione irreversibile e inarrestabile, lasciandoci scivolare “come una pallina su un piano inclinato”.
Le parole di Trevi non hanno la leggerezza dell’intrattenimento letterario, ma l’inquietudine di un tormento che non trova pace.
Due Vite” è uno strappo che il tempo non può accomodare, una lacerazione mai cicatrizzata, che continua a pulsare nelle vene anche dopo averne letto l’ultima pagina.
Ci sono ferite che ci cambiano la vita per sempre.

Questo libro entra nella psiche e ne svela i moti, scava nelle piaghe dell’anima e le abita.
Col pudore della “giusta distanza” per non decifrarne i grumi e i coaguli di macchie insensate.
E’ gesto d’amore e gratitudine, ma anche atto di resistenza contro l’ineluttabilità dell’oblio.
E’ silenziosa ricerca di un senso da dare alla vita e al mistero della sua fine: destino o fatalità?
Inconfondibile il timbro letterario di Emanuele Trevi, sobrio nello stile, profondo nello sguardo, sincero nei sentimenti.
Impeccabile la sua scrittura, colta ed incisiva, limpida e tagliente, elegante e vera.
Fa rumore.
Resta.

Katia Berlingerio

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