Quale bellezza salverà il mondo?

Il mantra di una delle frasi più rappresentative, contenuta ne L’idiota di Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo“,  riecheggia in gran parte dei salotti intellettuali, o pseudo tali, all’interno dei quali si discute sul tema della deriva dei valori morali e sociali dei nostri tempi. Ma, ascoltando gran parte delle riflessioni che ci vengono proposte e toccando con mano le feroci banalizzazioni di uno dei concetti più affascinanti e complessi del nostro patrimonio culturale, viene spontaneo chiedersi: siamo ancora in grado di cogliere l’intima essenza e la potenza della bellezza e di utilizzarla, proprio come diceva Dostoevskij, per salvare il mondo? 

Supponiamo sia vero che “la bellezza salverà il mondo” e che, alla luce di ciò, noi tutti fossimo in grado di riconoscerla e sfruttarla a vantaggio di una causa tanto nobile; in relazione a questo proposito ci chiediamo: sappiamo veramente cosa sia la bellezza? Siamo ancora in grado di coglierla nella sua complessità oppure riteniamo che il bello si fermi ad una semplice dimensione estetico-sensoriale? 

La discussione su questo tema costituisce uno degli elementi centrali attorno al quale la storia del pensiero occidentale ha tentato di articolare ragionamenti di natura filosofica che spesso, proprio a causa della fluidità dell’argomento, hanno creato confusione e difficoltà nel riconoscere ed identificare cosa sia il bello.

Quando parliamo di bellezza, la nostra attenzione si sofferma troppo spesso sulle manifestazioni del bello, facendoci perdere di vista la totalità, chiaramente difficile da raggiungere e da identificare, del concetto di bellezza, l’unico in grado di offrire una possibilità di redenzione alla realtà incerta e frammentata che ci circonda. Concepire il bello come manifestazione esteticamente gradevole, legata all’aspetto esteriore di un oggetto, di una persona, di un’opera d’arte, ci porta ad escludere la possibilità secondo la quale possiamo affidarci alla bellezza per salvare il mondo. 

Da sempre filosofi e poeti hanno cercato di incasellare il concetto all’interno di schemi e definizioni pur non riuscendo mai pienamente nel loro intento, in quanto la bellezza, sfuggendo agli schemi scientifici, è qualcosa che si può percepire soggettivamente, ma difficilmente si può definire oggettivamente.

Risalendo ancor più nel tempo, Pericle e Platone definivano la bellezza, “kalòs”, come un inseparabile trinomio tra bello, vero e buono, legando la stessa a valori interiori e morali, ad un’elevazione dello spirito.

Espressa nell’arte e disquisita nell’estetica, ecco che tale manifestazione appare foriera di un significato esteso e profondo. In tale contesto, infatti, il concetto di bellezza non viene circoscritto a tutto ciò che dà armonicamente soddisfazione alla vista, ma è inteso come qualcosa che dona soddisfazione a tutti i sensi, non limitandosi a compiacere la sfera fisica, bensì invadendo anche la nostra anima.

Personalmente, ritengo bello ciò che mi emoziona, che mi trasmette benessere, sensazioni positive, armonia e pace interiore. Mi rendo conto che una definizione simile è un giudizio personale, che si allontana dai cosiddetti “canoni”. Ma i canoni non sono altro che regole: se facciamo riferimento all’arte, rappresentano l’insieme di norme necessarie al raggiungimento dell’equilibrio compositivo (e, quindi, proporzioni armoniose); se ci riferiamo alla bellezza dell’essere umano, invece, il canone è “l’ideale estetico riguardante il corpo che viene riconosciuto dalla società, strettamente legato all’epoca e alla situazione culturale, economica e sociale di un popolo.”

Questa considerazione mi spinge a dire che, se esistono delle regole, esse cambiano nel tempo. L’idea di bellezza, cioè, per quanto possa essere pensata in modo oggettivo, subisce comunque delle modifiche in base alle influenze storiche. Ciò che si riteneva bello ieri, non è ciò che si ritiene bello oggi, e viceversa.

Ragionare in questi termini sarebbe come paragonare l’essere umano ad una statua greca, frutto di proporzioni predefinite e matematicamente studiate. Ma l’essere umano è molto di più di questo: è intelletto, è personalità, è fascino.

Esiste una sfera dell’essere umano che esula dall’esteriorità e che, pur appartenendo alla parte interiore dell’io, viene percepita esteriormente. 
Il binomio ideale odierno è quello di bellezza e giovinezza. La bellezza, ossessivamente ricercata ed ambita, appare come un mezzo per ottenere successo, denaro, prestigio e felicità. Tale mentalità sociale, frutto di un decadimento culturale ed una massificazione che tende a semplificare il tutto nasce dal fatto che ricercare la vera bellezza è molto faticoso in quanto richiede un bagaglio culturale frutto di studio.

Limitarsi a cercare la bellezza puramente e semplicemente esteriore è molto più semplice.

Cos’è la bellezza, quindi?
Apparenza o sostanza? Contenuto o contenitore?
La risposta ideale sarebbe “entrambe le cose”.

Finché non verrà superato il binomio “bellezza/immagine”, credo che il tentativo di convincere chiunque a volersi bene, a coltivare autostima, sia destinato a fallire. L’obiettivo è giusto, ma il problema è alla radice.
Non si può pensare di promuovere la bellezza autentica, libera, senza prima educare al rispetto per l’essere umano.
Quindi, concludendo, qual è la bellezza che salverà il mondo?

Luciana Montrone

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