Il mio anno di astinenza e oblio

Il mio corpo non viene toccato da più di un anno.
Tolti gli assalti dei miei nipotini, qualche abbraccio veloce e circospetto, qualche stretta di mano avvenuta per sbaglio al posto della pantomima dei gomiti, non rimane più niente. Non sono mai stata una persona particolarmente fisica nei rapporti con gli altri, difendo con un non verbale chiarissimo il mio uovo prossemico, odio da sempre il rito dei due bacetti per salutarsi, sono una di quelle che la mano di una persona che si sta presentando la stringo piano, anzi solitamente subisco le strette altrui.
Amo le persone, mi incuriosiscono, ma devono starmi a una certa distanza. Non voglio sentirne l’odore, o la puzza di sudore, o il profumo di ammorbidente della maglietta o del balsamo per capelli; mi imbarazzo, mi sento una ladra, non voglio sapere niente che il mio naso possa dirmi in modo selvatico e primordiale.
Messa così, sono la persona perfetta per il distanziamento sociale; un metro, due metri di distanza dagli altri sono le mie coordinate ideali: non sento nessun odore, posso mettere a fuoco tutta la persona, essere toccata non è possibile, eventualmente posso anche decidere di scappare velocemente e nessuno potrebbe acchiapparmi per dirmi “ehi tu rimani qua”. Non mi manca la calca negli autobus, o ai concerti, ho adorato l’autunno scorso essere stata al cinema con due poltrone vuote ai miei lati, faccio notare subito nelle code se qualcuno mi è troppo vicino (signori, due sono le regole, eccheccazzo), finalmente non devo più sottopormi al rito dei bacetti per dirsi ciao.
Non mi posso lamentare proprio.

Però.
Il mio corpo non viene toccato da più di un anno.

Quando dico questo, dico qualcosa di specifico, mi riferisco al contatto amoroso e affettuoso. Ero single già da prima di marzo 2020, single decisamente problematica lo ammetto, ma mi svegliavo ogni mattina con la speranza fantasiosa e, col senno di poi, toccante e struggente, di uscire di casa e incontrare qualcuno, un uomo, un amore.
Dai Ali, oggi forse è la giornata buona, esci e vediamo che succede, per la legge dei grandi numeri uno-uno deve stare là fuori che ti piace, che gli piaci, l’amore, quelle cose là.”
Perché, in effetti, tanta fiducia nel genere umano maschile non ce l’ho, ma quello è il cervello che fa i ragionamenti suoi, che ha archiviato tutte le delusioni e gli abbandoni miei e delle mie amiche. Il cuore invece, lo stomaco, e poi più sotto ancora, sono animati da ottimismo, speranza, dolcissima disperazione, fiducia incrollabile nel miracolo dell’amore.

Da marzo 2020, essere single mi è sembrata una specie di ulteriore prova di resistenza, una condizione svantaggiosa dell’essere al mondo, in questo mondo in cui toccarsi è diventata la cosa da non fare, la cosa vietata, la cosa che, se evitata, rende possibile la sopravvivenza.

Non voglio essere toccata da estranei, voglio essere toccata da qualcuno che amo e che mi ama.
Quel toccarsi che produce ossitocina, attaccamento.
Quel toccarsi che mi comunica che io esisto e so che esisto perché qualcuno mi sta accarezzando, stringendo, baciando.
Esisto io perché ci sei tu, qua vicino a me, decisamente vicino, mi sei addosso, mi sei dentro.

Come sarebbe stato affrontare tutto questo con un compagno qui a casa, mangiarci insieme, dormirci insieme, respirare la stessa aria, litigare, evitarci in questi 80 metri quadri e ritrovarci sul divano a divorare insieme i film, le serie tv, il Festival di Sanremo.
Avere paura, proteggersi, parlare, analizzare i dati, guardare le dirette di Conte, decidere cosa prendere dal supermercato, mettersi il muso, fare la pace, maledire il giorno che ti ho incontrato, benedire le congiunture astrali perché ci sei, qualcuno a cui dire “qualunque cosa accada noi ci vediamo a casa, noi ci vediamo a casa” come Dolcenera in una sua canzone che amo.

Sto parlando dell’amore, di quella cosa che tiene insieme due persone.
Di quella cosa che le fa dormire insieme la notte.

E’ andata diversamente.
Sono stata sola tutto il tempo, continuo ad esserlo.
Sto benissimo da sola, l’allenamento è iniziato tempo fa e vado alla grande, riconosco tutti i vantaggi di questa condizione di massima libertà su tutto, sugli orari, le abitudini. L’unica persona con cui devo scendere a compromessi è me stessa, non devo dar di conto a nessuno di quanto sia incapace a cucinare, posso tenere i miei libri ovunque, in bagno, per terra, in cucina, la mia casa sono io, con le mie cose, è un gioco di riflessi ovunque, vedo me stessa in ogni angolo e superficie, al massimo ci sono i Lego e i robot dei miei nipoti a testimoniare il passaggio di qualcun altro.
Io, io, io, dappertutto.

Ma mai come quest’anno ho sentito fortissimo quello che Carmen Consoli in una sua vecchia canzone definisce “stato di necessità“, ossia quella “euforia ormonale congenita, la dionisiaca tendenza ad eccedere“, il desiderio del contatto fisico e sessuale, dell’amore con qualcuno.
Ma mica solamente io.
Solo in Italia, negli ultimi 12 mesi, c’è stato un aumento esponenziale delle vendite di sex toys, oggetti, giochi a cui mi ero arresa felicemente già anni fa, grazie ai racconti di molte mie amiche che me ne decantavano la performatività, il divertimento (“no ma non puoi capire, prova e fammi sapere“). Quest’anno non si contano le amiche che hanno poi contattato me per saperne di più (“non li ho mai usati, ma secondo te questo va bene? e di questo che ne dici?“) mandandomi link di siti dedicati o da Amazon; che gioia ho provato sentendole così curiose, così attente al loro piacere; mi sono sentita meno sola. Ad un certo punto avevo in testa una mappa di case sparse per la penisola, le case delle mie amiche, piccoli puntini luminosi abitati da donne sole, con i loro oggetti sessuali abbandonati sul letto o sul divano, o custoditi dentro sacchetti di raso nei cassetti del comodino, oggetti con i loro colori dal nero al rosa shocking con dettagli dorati, quei siliconi vellutati e carezzevoli, le boccette di lubrificante al profumo di ciliegia o quelli bio all’aloe vera.
Per me, per tutte noi, è stato un ottimo antidoto contro l’ansia, un metodo efficace per scaricare la tensione, per non diventare estranee a noi stesse, per provare piacere nonostante i bollettini alla tv, le ambulanze per strada, la sensazione di follia serpeggiante per le strade e dentro la testa. Per rendere liquida e far scivolare via l’inquietudine, lasciar andare via in un’ondata la sabbia dal cervello, ad occhi chiusi.

L’amore, dicevo.
La mia psicoterapeuta di Reggio Emilia mi diceva che i sogni possono essere interpretati solo da chi li fa e, da quando me lo ha detto, ho iniziato a creare e studiare il mio personale manuale per l’interpretazione dei miei sogni.
A inizio lockdown, l’anno scorso, è iniziata un’attività onirica incessante, sogni continui, e menomale, tutto materiale inconscio che è venuto a galla attraverso un linguaggio simbolico. Un sistema di rappresentazione specifico è quello dei miei ex. Il mio inconscio mi ha parlato della paura, del timore, della disperazione, del disorientamento, della sensazione di freddo che provavo facendomi sognare i miei ex più discutibili, anaffettivi, narcisisti, violenti, quelli che non mi amavano e che non mi hanno mai fatta sentire comoda nella relazione. I sogni in cui il mio inconscio evidenziava il mio bisogno di sentirmi al sicuro, protetta, al caldo erano quelli con i miei ex che ho amato e che mi hanno amata, che mi hanno trattata bene, che mi hanno toccata e accarezzata in modo gentile, come se fossi una cosa preziosa. Sono stati i sogni di questo secondo tipo a farmi capire il bisogno che avevo in quel momento specifico (e ho ancora adesso) di contatto, di una relazione, di essere fisicamente con qualcuno nella stessa casa, mi hanno ricordato come mi sono sentita quando amavo ed ero ri-amata a mia volta.

A marzo 2020 mi sono resa conto immediatamente che, a partire da quel momento, incontrare l’amore sarebbe stato ancora più difficile.
Dove lo incontro?
Quando lo incontro?
Che faccia ha, visto che se ha una faccia è nascosta dalla mascherina?
Come farà a vedere la mia bocca rossa di rossetto?
Prima le difficoltà c’erano ovviamente, con l’epidemia le difficoltà si sono moltiplicate, hanno reso, per me almeno, impossibile l’impresa dell’amore.
Amore che non ho incontrato, come avevo previsto.
Non ho installato le app dating, né Tinder, né quella di Facebook né altre perché mi annoiano terribilmente, non mi piace quel meccanismo crudelmente narcisista del potere che dà quello scegliere ed essere scelta in base a una foto, come se fossimo a una fiera di animali.
E soprattutto detesto chattare con gli sconosciuti. Quelle volte che è successo, di aver iniziato a chattare con uomini che non conoscevo, si è sempre andati a finire nella spirale del niente, a uomini che non chiedono di uscire, ma hanno solo voglia di avere un intrattenimento soft scrivendo di tanto in tanto durante la giornata. Ho sempre avuto la percezione della perdita di tempo. Molto più semplicemente non è un mezzo che fa per me quello delle piattaforme per incontrarsi (se ci si riesce ad incontrare): per molte e molti altri funziona; e va bene così.

Quindi.
Il mio corpo non viene toccato da più di un anno.
Tante altre persone sono nella mia stessa situazione e in molte e molti abbiamo sviluppato forme di ansia, un senso particolare della solitudine dorata e soffocante al tempo stesso, ci pervade spesso una sensazione di dimenticanza del nostro corpo, quasi addormentato.
Io mi risveglio quando sono al sole, alla luce forte e calda, sento che il mio corpo si riattiva.
A casa uso un materassino per agopuntura che stimola la produzione di ossitocina, serotonina e dopamina, un altro modo, assieme ai sex toys, per far abbassare il livello di cortisolo che mi scorre nelle vene.
Poi le amiche, le telefonate, le chat, la famiglia, i nipotini.
E le lunghe camminate.

Stamattina, mentre camminavo, in cuffia mi è arrivata sparata nel cervello una canzone di Celeste che diceva “Love is back, love is back, love is back, love is back. For a moment, there it goes, turn around, the next thing you know. Love is back“.
Non mi resta che crederle.

Alida Melacarne

Tracklist:
Dolcenera – Ci vediamo a casa https://www.youtube.com/watch?v=P2UmvFozwLY
Carmen Consoli – Stato di necessità https://www.youtube.com/watch?v=Pj6mt9Njx7A
Celeste – Love is back https://www.youtube.com/watch?v=NIj-L1Gu1MM

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4 commenti su “Il mio anno di astinenza e oblio

  1. NICOLA RAIMONDO Rispondi

    Gentilissima,
    bellissimo scritto. Ironico e struggente nello stesso tempo. L’ho divorato subito e poi l’ho riletto e ne ho parlato con il nostro Direttore, il grande Pasquale che mia ha telefonato mente finivo la lettura.Ogni parola che che hai scritto rappresentano i momenti e le scansioni delle stagioni della nostra vita. E chi ti sta insieme é anche amore, oltre che l’unione di cuori chimici. Veramente bello e … complimenti

  2. franco muciaccia Rispondi

    Cara Alida il tuo scritto é bellissimo. Perché vero, disinibito, struggente, coinvolgente, letterariamente perfetto, e mai stucchevole o autoreferenziale, o retorico. Avevo già letto diversi tuoi scritti apprezzandoli molto; ma qui ti sei superata. Noi sicuramente ci conosciamo già, perché io ho collaborato per molti anni con il Kismet, organizzando lì tanti eventi musicali. Passata la buriana, mi farà molto piacere rivederti. Brava

  3. Lorena Rispondi

    Ci sono tante cose: il corpo, la fisicità, l’orinico, la sessualità, la comunicazione verbale e non, la psicoterapeuta, l’amicizia, la musica, la ricerca dell’incontro, le difficoltà, il calore del sole, l’amore. Grazie per il coraggio e la sincerità delle tue parole.

  4. Vanni La Guardia Rispondi

    Complimenti, Alida, per queste parole vibranti di verità e luminosa vulnerabilità, incastonate in un pezzo che scorre piacevolmente, immaginifico e coinvolgente.

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