Il Signor G. e la sua poetica: Giorgio Gaber

Parlare della vita artistica/musicale di Giorgio Gaber, pseudonimo di Giorgio Gaberščik, che ha vissuto soltanto 64 anni, lasciandoci prima del tempo, ancora nel pieno del suo fermento creativo, è veramente difficile e sarebbe necessario un intero libro e non questa breve presentazione. Perché Giorgio Gaber è stato tra gli artisti più influenti dello spettacolo e della musica italiana del dopoguerra. Nella sua stupefacente eccletticità, lui è stato tutto quello che ho detto e per di più ha inventato il c.d. teatro/canzone, assolutamente non imitabile ed unico.
Prima chitarrista di valore, tra i primi interpreti del rock and roll italiano alla fine degli anni cinquanta (tra il 1958 e il 1960), per poi approdare ai riconoscimenti da parte del Club Tenco, con due targhe ed un premio Tenco.
La sua nascita è dolorosa e la sua vita contrassegnata per ben due volte dalla poliomielite, che lo colpisce a 9 anni al braccio e alla mano sinistra. Il padre gli regalerà una chitarra per esercitare la mano ed il braccio malati e lui, dopo tanto tempo, con la sua disincantata ironia, dirà “Tutta la mia carriera nasce da questa malattia”.
Giorgio Gaber suona e interpreta le sue creazioni toccando tutte le corde degli stili musicali; per dimostrare la sua poliedricità, basterebbe qui elencare i suoi compagni di viaggio: Adriano Celentano, Enzo Jannacci, Luigi Tenco, Gianfranco Reverberi, Mina e molti altri. Con Mina, appunto, intraprenderà una lunga tournée nei maggiori teatri italiani, tra i quali il Piccinni di Bari, negli anni 70 dopo aver inciso un 33 giri intitolato
Un’ora con loro”. E chi – come il sottoscritto – li ha visti insieme, non può non ricordare il piacere infinito nel poter godere di questi due grandi talenti artistici.

Per spiegare la sua evoluzione artistica, potremmo rifarci alle sue stesse dichiarazioni rilasciate in una delle poche interviste concesse: “La fine degli anni Sessanta era un periodo straordinario, carico di tensione, di voglia, al di là degli avvenimenti politici e non [politici], che conosciamo, e fare televisione era diventato dequalificante. Mi nauseava un po’ una certa formula, mi stavano strette le sue limitazioni di censura, di linguaggio, di espressività, e allora mi dissi, d’accordo, ho fatto questo lavoro e ho avuto successo, ma ora a questo successo vorrei porre delle condizioni. Mi sembrò che l’attività teatrale riacquistasse un senso alla luce del mio rifiuto di un certo narcisismo. Poi mi sono chiesto se [il] successo, la popolarità e il denaro che ne derivava dovessero condizionare la mia vita, le mie scelte. La risposta mi sembra risulti chiara: ho scoperto che il teatro mi era più congeniale, mi divertiva di più, mi permetteva un’espressione diretta, senza la mediazione del disco o di una telecamera frapposta tra l’artista e il suo pubblico. Le entrate erano sicuramente minori rispetto ai proventi derivanti dalla vendita dei dischi, ma guadagnavo abbastanza da non dover soffrire la scelta di campo. […] Rispetto al denaro, io penso che se si riesce a guadagnare una lira di più di quello che è necessario per vivere discretamente si è ricchi”.

Ed è a questa scelta di campo che possiamo far risalire il sodalizio particolare ed effervescente con Sandro Luporini, pittore viareggino. E così nasce il «Signor G», un personaggio che non recita più un ruolo: recita se stesso. Quindi “una persona piena di contraddizioni e di dolori, un signore come tutti: il signor G è un signor Gaber, che sono io, è Luporini, noi, insomma, che tentiamo una specie di spersonalizzazione per identificarci in tanta gente”. Ma Gaber pensa anche alla fede e ha il coraggio di dire la sua verità: “Non sono cattolico. Ma il mistero c’è, eccome, e io sono un uomo di fede. La fede, mi ha detto una volta un prete, è una ferita che ci portiamo dentro e che dobbiamo cercar di rimarginare, pur sapendo che ciò non accadrà mai. Mi sta bene“.

Nel 1997 Giorgio inizia ad avere seri problemi di salute. In agosto e settembre è costretto a un lungo ricovero. E tuttavia nel 2001 ritorna con il disco “La mia generazione ha perso”, un lavoro struggente dove lui ripropone, tra l’altro, il suo capolavoro “Quando sarò capace d’amare”: è il suo testamento spirituale.

Qui di seguito vi propongo il Gaber ante teatro/canzone, ma anche i testi scritti in comunione, se non in simbiosi, con l’amico Luporini, con il quale si appartava in Versilia, senza alcuna possibilità di poter essere disturbati, liberi di dare sfogo alla ispirazione poetico/musicale.

Nicola Raimondo

Quando sarò capace d’amare
di Gaberscik, Giorgio / Luporini, Alessandro

Quando sarò capace d’amare
probabilmente non avrò bisogno
di assassinare in segreto mio padre
né di far l’amore con mia madre in sogno.
Quando sarò capace d’amare
con la mia donna non avrò nemmeno
la prepotenza e la fragilità
di un uomo bambino.
Quando sarò capace d’amare
vorrò una donna che ci sia davvero
che non affolli la mia esistenza.
Ma non mi stia lontana neanche col pensiero.
Vorrò una donna che se io accarezzo
una poltrona, un libro o una rosa
lei avrebbe voglia di essere solo
quella cosa.
Quando sarò capace d’amare
vorrò una donna che non cambi mai.
Ma dalle grandi alle piccole cose
tutto avrà un senso perché esiste lei.
Potrò guardare dentro al suo cuore
e avvicinarmi al suo mistero
non come quando io ragiono
ma come quando respiro.
Quando sarò capace d’amare
farò l’amore come mi viene
senza la smania di dimostrare
senza chiedere mai se siamo stati bene.
E nel silenzio delle notti
con gli occhi stanchi e l’animo gioioso
percepire che anche il sonno è vita

e non riposo.
Quando sarò capace d’amare
mi piacerebbe un amore
che non avesse alcun appuntamento
col dovere.
Un amore senza sensi di colpa
senza alcun rimorso
egoista e naturale come un fiume
che fa il suo corso.
Senza cattive o buone azioni
senza altre strane deviazioni.
Che se anche il fiume le potesse avere
andrebbe sempre al mare.
Così vorrei amare.

Non arrossire
di Mogol, Gaber, Pennati

Non arrossire
quando ti guardo
ma ferma il tuo cuore
che trema per me.
Non aver paura
di darmi un bacio
ma stammi vicino
e scaccia i timor.
Il nostro amor
non potrà mai finire
stringiti a me
e poi lasciati andar.
No non temere
non indugiare
non si fa del male
se puro è l’amor.
Non arrossire
quando ti guardo
ma ferma il tuo cuore
che trema d’amor.

Le strade di notte
di Renato Angiolini / Giorgio Gaberscik / Mariano Rapetti

Le strade di notte
mi sembrano più grandi
e anche un poco più tristi.
È perché non c’è in giro nessuno.
Anche i miei pensieri di notte
mi sembrano più grandi
e forse un poco più tristi.
È perché non c’è in giro nessuno.
Voglio correre a casa voglio correre da te
e dirti che ti amo che ho bisogno di te.
Speriamo che tu non dorma già
mi spiacerebbe svegliarti.
È perché non c’è in giro nessuno
Voglio correre a casa voglio correre da te
E dirti che ti amo che ho bisogno di te
Speriamo che tu non dorma già
Mi spiacerebbe svegliarti

L’illogica allegria
di Alessandro Luporini / Giorgio Gaberscik

Da solo
lungo l’autostrada
alle prime luci del mattino
a volte spengo anche la radio
e lascio il mio cuore incollato al finestrino
Lo so
del mondo e anche del resto
Lo so
che tutto va in rovina.
Ma di mattina
quando la gente dorme
col suo normale malumore
mi può bastare un niente
forse un piccolo bagliore
un’aria già vissuta
un paesaggio o che ne so
E sto bene.
Io sto bene come uno quando sogna.
Non lo so se mi conviene
Ma sto bene, che vergogna
Io sto bene
proprio ora, proprio qui.
Non è mica colpa mia
se mi capita così
È come un’illogica allegria
di cui non so il motivo.
Non so che cosa sia.
È come se improvvisamente
mi fossi preso il diritto
di vivere il presente
Io sto bene.
Quest’illogica allegria
Proprio ora, proprio qui
Da solo
lungo l’autostrada
alle prime luci del mattino

Da te era bello restar
di Giorgio Gaber

Da te era bello restar
Ogni sera a sognar con te l’amor
Senza parlar
Nel silente tepor
Di una fiamma che dava al cuor
L’amor
Ma tu già scordata ti sei di me
Chissà l’altro amor chi sarà.
Solo da te era bello restar
Cuore a cuore a sognar con te
Tanto amor
Ma tu già scordata ti sei di me
Chissà l’altro amor chi sarà
Da te era bello restar.
Cuore a cuore a sognar con te
Tanto tanto amor

La libertà
di Alessandro Luporini / Giorgio Gaberscik

Voglio essere libero, libero come un uomo
Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo appena nato
Che ha di fronte solamente la natura
Che cammina dentro un bosco
Con la gioia di inseguire un’avventura
Sempre libero e vitale
Fa l’amore come fosse un animale
Incosciente come un uomo
Compiaciuto della propria libertà
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche avere un’opinione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
Vorrei essere libero come un uomo
Come l’uomo più evoluto
Che si innalza con la propria intelligenza
E che sfida la natura
Con la forza incontrastata della scienza
Con addosso l’entusiasmo
Di spaziare senza limiti nel cosmo
E convinto che la forza del pensiero
Sia la sola libertà
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche un gesto o un’invenzione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione

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