Con la graphic novel “La rosa più rossa si schiude”, Liv Strömquist indaga sulle conseguenze dei cambiamenti antropologici sull’amore

Se ricominciassi ad andare in terapia, la prima cosa che farei sarebbe sedermi, prendere un grande respiro e chiedere: ma io perché non riesco più ad innamorarmi?
È la cosa che più desidero al mondo e non si verifica: perché?
Probabilmente la psicoterapeuta (statisticamente sono in maggioranza donne) mi direbbe delle cose del tipo che devo aprirmi al mondo, al cambiamento, che ho dei traumi da superare, che devo rischiare, che devo avere fiducia etc; insomma, mi direbbe che devo, ancora e per sempre a questo punto, lavorare su me stessa.
Tutte cose verissime, che rientrano nel campo delle mie responsabilità, della mia persona.

Ma forse c’è dell’altro e lo indaga Liv Strömquist, una fumettista e dj radiofonica svedese, attraverso “La rosa più rossa si schiude“, questa bellissima graphic novel edita da Fandango.
Scopro quindi che non solo io faccio fatica ad innamorarmi, ma moltissima altra gente, più in generale; pare che Leonardo Di Caprio abbia lo stesso mio problema.
Scopro che anche l’amore è diventato una faccenda capitalista, regolato dalla domanda-offerta; Tinder vi dice niente?
Che il tanto decantato self empowerment ci ha private della possibilità dello struggimento; perchè “io valgo” e nessuno si merita le mie lacrime.
Che “to fall in love” è letteralmente cadere nell’amore.
Cadere? Perdere l’equilibrio? Per un’altra persona?! Non se ne parla neanche.

In definitiva, scopro che l’amore è diventato un mezzo attraverso cui tendiamo ad autodeterminare noi stessi, una faccenda narcisista, che con il donare e che col perdersi non ha quasi più nulla a che fare; l’altro è solo un mezzo per ottenere conferme sul nostro valore, sul nostro aspetto, sul nostro significato dello stare al mondo.
Che siamo sempre meno disposti a perdere il controllo di noi stessi in favore di quel sentimento che il controllo ce lo fa perdere completamente.
Che addirittura siamo convinti di poterci disinnamorare a comando pur di preservare la nostra immagine di forza e carattere, al contrario invece di un’amante di Byron, la quale dedicò la sua vita a celebrare artisticamente le sue pene per l’amore non corrisposto dal poeta.

L’autrice ci racconta tutte queste cose in modo dottissimo, attraverso i miti greci, Roland Barthes (mai fu scritto libro sull’amore più bello), Marsilio Ficino, Georges Bataille, Eric Fromm, Søren Kierkegaard, un certo Byung-Chul Had, filosofo coreano, che ha scritto un saggio, che mi procurerò il prima possibile, intitolato “Eros in agonia“, e tanti altri.
Tutto questo sotto la forma della graphic novel, che consente all’autrice di dipanare la questione attraverso scrittura e immagini, senza perdere in densità, autorevolezza e leggerezza.

Quindi va bene, andrò in terapia e lavorerò su me stessa, sperando di innamorarmi ancora e di riuscire ad aprire ancora una volta il mio cuore.
Ma ora, grazie alla Strömquist, so che non dipende tutto solo da me, che ci sono stati tantissimi cambiamenti negli ultimi decenni, dal punto di vista economico e antropologico, che rendono questo affare dell’amore una cosa un po’ complicata.

L’amore è dedicarsi e avere cura e costruire con l’altro una specie di piccolo culto; ossia credere a una magia, rischiare e abbandonarsi, essere disposti al mutamento della propria immagine.
Ma io voglio perdermi e voglio perdere il controllo: voglio innamorarmi.

Alida Melacarne

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