Seamus Blake con la LJP Big Band di Dino Plasmati trascina il pubblico del BeatOnto Jazz Festival 2025

Per il Beat-Onto Jazz Festival 2025, giunto alla sua XXIV edizione con la Direzione Artistica di Raffaele Di Mundo, il secondo set della prima serata è stato affidato alla LJP Big Band del chitarrista materano Dino Plasmati, con un ospite d’eccezione: il sassofonista canadese Seamus Blake. Ai tempi d’oggi non è facile poter assistere all’esibizione di un’Orchestra di 18 elementi, ma quello che abbiamo potuto ascoltare è frutto di passione, dedizione e professionalità.

L’energia travolgente della LJP Big Band, orchestra fondata e diretta dal chitarrista jazz e compositore Dino Plasmati, dal 2009 vanta collaborazioni e prestigiose incisioni con artisti di fama mondiale come Bobby Watson, Jack Walrath, Randy Brecker, Steve Grossman, Flavio Boltro, Michael Rosen, Gegè Telesforo, Rosalia de Souza, Joy Garrison, Gabriele Mirabassi, Marco Tamburini, Roy Paci, Fabio Morgera, Seamus Blake e tanti altri. Questa volta la LJP Big Band si è esibita con il formidabile sassofonista canadese Seamus Blake, tra i più acclamati del momento, con cui dallo scorso anno si è avviata una proficua collaborazione. Per questa occasione la big band ha presentato un repertorio mainstream, ma anche funk e swing, con arrangiamenti accattivanti realizzati da musicisti dell’ultima generazione, ancora viventi. Molti brani sono tratti dall’ultimo lavoro, Growing Up.

Ma come ho già avuto modo di scrivere nella mia recensione del primo set, di Antonio Faraò e Chico Freeman, ogni sera, durante la presentazione di tutte e quattro le serate, giusto il tempo della presentazione dei concerti, il gruppo “Le Donne in Nero” hanno fatto “sentire” la loro presenza silenziosa sotto il palco con il loro striscione # Stop al Genocidio #, e la bandiera della Palestina. Bandiera che è stata issata sul palco all’inizio del primo giorno e che è rimasta lì fino alla chiusura del Festival.

La LJP BIG BAND è un’orchestra jazz italiana di 18 elementi attiva dal 2007. Diretta dal chitarrista Dino Plasmati, è un laboratorio permanente che unisce musicisti di diverse generazioni e ambiti (sinfonico, operistico, jazzistico, funky). Ha all’attivo sei album e ha esplorato vari stili, dal mainstream al contemporary jazz, con influenze brasiliane. Ispirata alle grandi orchestre degli anni ’60/’70, alle sonorità raggiunte dai grandi organici americani ed europei (Thad Jones – Mel Lewis, Gil Evans, Dave Holland, Carla Bley) e al jazz contemporaneo. 

Oltre a Dino Plasmati, conduttore (e con la chitarra solo per un brano) ed il suo prestigioso ospite Seamus Blake al sax tenore, gli altri componenti dell’orchestra sono stati Sara Rotunno alla voce (ma solo per un paio di brani), Mike Rubini alto sax), Alessandro Gasmi al alto sax e flauto, Angelo Manicone e Josè Antonio Cervera al sax tenore, Davide Favoino al sax baritono, Tony Santoruvo, Marco Lorusso, Marco Sinno e Gianpaolo Matera alle trombe, Antonio Pace, Salvatore Lanzillotti  e Nino Bisceglie ai tromboni, Vittorio Palmisano al piano), Valerio Santarsiero al basso elettrico e Marcello Nisi alla batteria.

Nato a Londra, Seamus Blake è cresciuto a Vancouver, in Canada. Si avvicina alla musica all’età di sette anni suonando il violino, ma a quindici si appassiona al sassofono. Frequenta il Berklee College of Music di Boston, dove incontra molti musicisti che diventeranno suoi collaboratori, come Kurt Rosenwinkel, Mark Turner e altri. Quando ancora frequentava il college, il batterista Victor Lewis lo chiama a registrare con la sua band a New York: è la prima esperienza in studio di Blake e segna l’inizio della sua carriera professionale. Completati gli studi, si trasferisce a New York, dove si afferma rapidamente sulla scena musicale, diventando un sideman richiesto. Tra le varie collaborazioni del primo periodo, le più significative sono quelle con John Scofield, Mark Turner e la Mingus Big Band.

Il suo debutto come leader arriva nel 1993 con il disco The Call, inciso in quintetto con Kurt Rosenwinkel, Kevin Hays, Larry Grenadier e Bill Stewart. Nel 2002 si aggiudica il primo posto al Thelonious Monk International Jazz Competition. Una caratteristica distintiva della sua tecnica al sax tenore è la facilità con cui si muove nei registri estremi, mantenendo sia nei sovracuti che nelle note più gravi una notevole agilità ed espressività 

Tanti i brani eseguiti. Si inizia in modo trascinante con “Admiral’s Horn” di Nick lane e “The other one” di Geremy Levy, per poi “placare gli animi” con una raffinatissima versione di “Sail away” di Tom Harrell, con una struggente interpretazione di Seamus Blake.

Ma il momento più entusiasmante di tutto il concerto arriva solo con il quarto brano, “Napier”, che vede la gradita ospitata di Antonio Faraò e Chico Freeman, autori del primo set della serata. Davvero una sorpresa per tutti, con due sassofonisti (Blake e Freeman) che hanno dato il meglio di sé. Un quarto d’ora tiratissimo, con due grandi sassofonisti di generazioni diverse a confronto.

Solo al quinto brano, “Sophisticated Lady”, è entrata in scena la cantante Sara Rotunno. La sua interpretazione è stata apprezzata da tutto il pubblico presente e con dispiacere, per poterla riascoltare, abbiamo dovuto attendere l’ultimo brano.

Il concerto è scivolato via a ritmo serrato, sfidando il freddo improvviso che ha sorpreso tutti. Bellissima l’esecuzione di “Sidewinnder” di Lee Morgan, con un bell’arrangiamento di Dino Plasmati.

E parlando ancora di arrangiamenti, l’arrangiamento dei brani seguenti (Sail Awais e On Green Dolphin Street) portano la firma di un altro arrangiatore contemporaneo d’eccezione: il pugliese Luigi Giannatempo, che ha collaborato con tantissimi musicisti italiani (Gino Paoli, Javier Girotto, Fabrizio Bosso, Marco Tamburini, ecc.) senza tralasciare le sue collaborazioni tantissime Orchestre sinfoniche e con il Birdland di New York.

Con l’ultimo brano, e con il bis, si è tornati al jazz più classico con “It Don’t Mean A Thing (If It Ain’t Got That Swing)” e Celsea Bridge” di Ellington, ma aimè, il bis è stato apprezzato solo dai più determinati di un pubblico decimato dal freddo (strano a raccontarlo in queste lunghe giornate di grande afa).

Devo dire che come inizio non poteva andare meglio. Emozioni una dopo l’altra, con tanti musicisti davvero prestigiosi, e non mi riferisco solo agli stranieri. Dino Plasmati ha svolto davvero un buon lavoro, sostenendo tanti giovani musicisti per nulla intimoriti. E le serate successive non sono state da meno.

Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.