
Il Bari si salva, ma a quale prezzo? Una vittoria amara e una piazza spaccata
Il Bari ha conquistato aritmeticamente la salvezza e, aggrappandosi all’ultimo vagone utile, resta in corsa per i playoff. Ma la vittoria contro il Pisa ha il retrogusto amaro delle occasioni mancate. Ancora una volta, il San Nicola ha fatto da cornice alla festa degli altri: dopo Parma e Cagliari, anche il Pisa ha celebrato la promozione proprio sotto gli occhi dei tifosi biancorossi. Un déjà-vu che suona come uno schiaffo alla dignità sportiva della città la cui squadra dovrebbe festeggiare la promozione sempre e dappertutto ogni qualvolta capita in B.
Il match? Poco da dire. Il Bari ha avuto un buon approccio, è passato in vantaggio e poi si è chiuso a protezione del risultato, approfittando dell’atteggiamento remissivo degli avversari già con la mente rivolta alla Serie A. Il Pisa, soprattutto dopo aver ricevuto buone notizie da Reggio Emilia dove giocava lo Spezia, ha smesso praticamente di giocare. Se un tempo si parlava di radioline all’orecchio, oggi sono i cellulari a dettare i ritmi di gara.
Una gara surreale, a tratti farsesca, che ha portato in dote tre punti tanto preziosi quanto, temo, illusori. Il Bari resta in zona playoff, ma continua a essere una squadra fragile, povera di idee e di identità nonostante sia la quarta squadra che ha perso di meno e con una difesa tutto sommato affidabile guardando quelle delle altre squadre. La vittoria, ottenuta senza opposizione reale, non ha placato l’animo della tifoseria, anzi: ha alimentato la frustrazione.
Perché questo Bari è troppo brutto per far sognare, anche nel contesto di un campionato mediocre, dove spesso si galleggia più che si lotta. Ed è stato anche umiliante assistere ad una vittoria per gentile concessione di un Pisa remissivo. A chi ama questo sport piace più perdere per manifesti demeriti o vincere per propri meriti e non col possesso palla avversario con la mente in serie A.
La contestazione è esplosa in un momento paradossale: proprio nel giorno in cui la squadra, almeno sulla carta, tiene vive le speranze di una rincorsa playoff. Ma è l’ennesimo sintomo di una frattura ormai insanabile tra la proprietà e la piazza. I tifosi, soprattutto quelli che hanno seguito la squadra in centinaia di chilometri di trasferte, meritano risposte. E rispetto.
Serve chiarezza. Serve una direzione precisa. L’autogestione non è una strategia. Bari non è una provincia silenziosa: è una città che ha conosciuto il calcio vero, 30 campionati di militanza in serie A e pretende impegno, trasparenza, programmazione. Non bastano più le promesse o le frasi fatte.
Il San Nicola si svuota, non solo in curva nord: anche nelle tribune est ed ovest (la curva sud, ormai, è vuota da sempre), e sugli spalti si percepisce il disamore. È il segnale più chiaro di un malessere diffuso. Una società sorda davanti a questo grido rischia di perdere tutto. L’ottavo posto attuale non basta a cancellare mesi di delusioni, di errori tattici e gestionali, di promesse disattese. La squadra è apparsa ancora una volta improvvisata, con giocatori che non incidono, Pereiro, Falletti e Bonfanti, nonostante il gol, su tutti, senza dimenticare alcune riserve assolutamente inaffidabili come Tripaldelli e Saco ed altri fantasmi di sé stessi o quasi.
Le prossime trasferte, contro Cittadella e Südtirol, sono tutt’altro che semplici. Gli avversari si giocano tutto, e il Bari attuale dà poche garanzie. Come nell’“Anabasi” di Senofonte, la squadra pare smarrita nel proprio cammino, in cerca di un ritorno a casa che assomigli almeno a un senso di appartenenza.
Ma il momento più grave si è consumato fuori lo stadio. La curva nord ha legittimamente abbandonato lo stadio dopo 25 minuti in segno di protesta, trasferendo il dissenso all’esterno con petardi e toni accesi. In mezzo, anche una scena incresciosa: un uomo aggredito selvaggiamente davanti al figlio per aver osato rientrare a recuperare uno zaino. Un episodio da condannare senza appello, che infanga l’immagine di una città storicamente accogliente e generosa. Certa gentaglia, certi delinquenti ed energumeni dovrebbero stare in galera o quantomeno a casa quando gioca il Bari. Possibilmente per sempre. Perchè anche nella frangia più estrema del tifo barese non si è mai arrivati a questo.
Il vero nodo è uno: la proprietà. Lo striscione “Devi vendere” riassume un sentimento collettivo. Luigi ed Edoardo, presenti domenica al San Nicola – ma soprattutto Aurelio – non possono più far finta di nulla. Pare che i contatti con potenziali investitori, anche americani, si siano intensificati: forse un primo segnale di resa, forse solo tattica.
Il futuro resta incerto. Un’eventuale qualificazione playoff potrebbe offrire una coda emozionante, ma difficilmente cambierà il giudizio della piazza. Il clima resta teso, le distanze enormi, e l’amarezza radicata. La vera “foto” di questa stagione, più della vittoria contro il Pisa, è forse quella di Cosenza o quella col Modena o quella di tante altre gare dove il Bari ha conseguito figuracce su figuracce: una squadra senza anima, incapace di reagire.
Come avrebbe detto Pasolini, il calcio non è solo sport: è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. E Bari, questa rappresentazione, la sente sulla pelle. Ma oggi, purtroppo, il sacro è stato profanato da una gestione che sembra ignorare il valore della passione popolare.
Massimo Longo