“Blue Break Beates … the rare tunes collection”: al ‘Duke Jazz Club’ di Bari l’omaggio di Paolo Magno al genere musicale creato negli anni ’50

Non si finisce mai di imparare frequentando il Duke Jazz club di Bari. Una bella serata carica di energia per rendere omaggio ad un genere musicale che prende forma negli anni ‘50, ma che raggiunge il suo apice alla fine degli anni ‘60, proseguendo per tutti gli anni ‘70.

Il titolo del progetto, “Blue Break Beates … the rare tunes collection” prende spunto da una fortunata collana edita dalla Blue Note Record pubblicata all’inizio negli anni 90, con una serie di album dedicati a questo genere musicale.

Se metti insieme l’Hard Bop ed il Soul Jazz, ne viene fuori una musica ricca di groove, di improvvisazione e di feeling. Impossibile restare indifferenti. E’ una musica che ti coinvolge, ti prende e ti trascina. Il soul jazz è un genere musicale sviluppatosi dall’hard bop, cui aggiunse forti tinte blues, gospel e rhythm and blues. A differenza dell’hard bop, il soul jazz enfatizzava una pulsazione ritmica più ripetitiva, con cadenze melodiche più stilizzate e assoli meno complessi rispetto a quelli praticati in altri stili.

Gli esponenti di spicco più conosciuti sono stati Lou Donaldson, Lee Morgan, Hank Mobley, ma il panorama si allarga con tantissimi nomi.

Ad accompagnare Paolo Magno alla chitarra, Enzo Bracco al sax tenore, Pippo Lombardo al pianoforte e al piano elettrico, Giampaolo Laurentaci al basso elettrico e Michele Di Monte alla batteria. Negli ultimi brani si è aggiunta anche la tromba di Alberto Di Leone.

Paolo Magno, classe 1969, intraprende gli studi musicali giovanissimo presso la scuola di musica Il Pentagramma di Bari con il maestro Guido Di Leone e perfeziona la formazione jazzistica collaborando con vari musicisti tra i quali Davide Santorsola e Franco Cerri. Dal 2004 insegna chitarra presso la scuola di musica Il Pentagramma di Bari.

Un po’ tutto il gruppo sul palco è formato da insegnanti dell scuola Il Pentagramma, ad eccezione del sassofonista bitontino Enzo Bacco. Tra gli strumenti tipici di questo genere musicale, va di certo annoverato il ruolo del sax, dell’organo hammond e della chitarra. Tutti e tre questi strumenti l’hanno fatta da padrone, sostenuti in modo eccellente dal basso elettrico di Giampaolo Laurentaci  e dal drumming sempre incalzante di Michele Di Monte.

Pippo Lombardo ha saputo giostrare tra la tastiera del pianoforte e quella elettrica, creando un sound rafinato. Di fondo esiste una grande affinità musicale e un’amicizia di lunga data con Paolo Magno, che hanno portato a questo sodalizio.

Giampaolo Laurentaci, nato a Lecce, cresciuto a Brindisi ma ormai residente a Bari, è uno dei più attivi contrabbassisti tra i maestri del Pentagramma. Questa volta, anche imbracciando il basso elettrico, ha saputo dare un ritmo sostenuto per tutto il concero. La sua presenza sul palco è una certezza. Riesce a creare un base ritmica in tutte le situazioni.

Michele Di Monte, il più anziano della compagnia, si è buttato a capofitto nell’accompagnamento degli altri strumenti, regalandoci anche delicati assoli, senza mai prevaricare.

L’unico musicista sul palco non legato all’insegnamento presso il Pentagramma è stato il sassofonista Enzo Bacco. Sin dalle prime note ha mostrato padronanza dello strumento, catalizzando l’attenzione del pubblico. E dobbiamo dire che in questo contesto musicale il ruolo del sassofono è, direi, fondamentale. Ci piacerebbe ascoltarlo più di frequente.

Alberto Di Leone è stato invitato a salire sul palco per l’esecuzione degli ultimi tre brani. Come sempre, quando si tratta di suonare ci mette l’anima ed in questo contesto, trattandosi di musica dell’anima (soul jazz), è apparso molto a suo agio.

Il concerto ci ha offerto dieci brani più il bis finale. A farla da padrone nella scelta dei brani è stato Lou Donaldson sassofonista americano, deceduto lo scorso novembre a 98 anni, e che è riuscito a legare il suo nome in modo trasversale alla storia del jazz, con la sua partecipazione a gruppi storici come i Jazz Messengers di Art Blakey, o a quello di Charles Mingus, incidendo con tantissime leggende come McCoy Tyner, Wayne Shorter, Freddie Hubbard e via dicendo.

I suoi brani riproposti durante il concerto, significativi per questo genere musicale, sono stati “Alligator Boogaloo”, “Caracas”, “Turtle Walk” e “Midnight Creeper”.  Gli altri brani scelti sono composizioni di artisti più che noti: “The sidewinder” di Lee Morgan, “Zigaboogaloo” di Nicholas Payton, “Mister Magic” di Groover Washington Jr, “Matrix” di Dizzy Gillespie, “The Dip” di Hank Mobley, “The Jody Grind” di Horace Silver. Ma non sono mancati brani composti da artisti a noi più sconosciuti come Bobbie Gentry (Ode to Billy Joe), o Lonnie Smith (Play it back). Smith ai suoi tempi è stato considerato il miglior orgnista Hammond. Tutti i brani sono riconducibili ad un periodo storico della metà degli anni 60, con un paio di eccezioni databili tra il 1975 ed il 1978.

Davvero una bella serata, molto allegra e trascinante. Un’ottima selezione musicale per farci avvolgere dal ritmo e dalla gioia che questo genere musicale riesce ad esprimere e trasmettere.

E se, come sempre, il Duke Jazz Club di Bari si conferma un luogo privilegiato per ascoltare buona musica, questa volta anche la scuola di musica del Pentagramma ha dato il meglio di sé, con dei maestri eccezionali.

Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro

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