
L’auditorium Raffaele Gervasio di Matera conta circa 400 posti e la mattina del 3 febbraio erano tutti occupati.
Arrivata con qualche minuto di ritardo ho avuto difficoltà a trovare una poltroncina libera ma alla fine mi sono seduta vicino alle istituzioni, in prima fila: c’era la questore, la preside, i rappresentanti del Comune di Matera, le professoresse e i professori. E poi, tutto intorno, c’erano i ragazzi. Gli studenti del Liceo Scientifico Dante Alighieri coinvolti nella lettura del libro Cara Giulia, uscito a marzo 2024 scritto da Gino Cecchettin insieme a Marco Franzoso.
Il libro di Cecchettin è dedicato alla memoria di Giulia Cecchettin, sua figlia, ventiduenne vittima di femminicidio per mano dell’ex-fidanzato Filippo Turetta l’11 novembre 2023. È una lunga lettera scritta per ricordare chi non c’è più ma soprattutto per provare a capire cosa poteva essere fatto e non è stato fatto per evitare che accadesse l’ennesimo femminicidio “Provo ad analizzare dove abbiamo sbagliato, soprattutto noi genitori, padri e madri, dove siamo stati poco presenti e non siamo riusciti a educare i figli all’amore, al rispetto, alla comprensione, ma li abbiamo forse educati a una modalità di vita incentrata sul possesso. Questo sto cercando di fare con tutte le mie forze e questo credo sia il modo migliore per reagire a quanto è successo” aveva dichiarato Gino Cecchettin alla vigilia dell’uscita del suo libro.
La pubblicazione di Cara Giulia è la prima di una serie di iniziative messe in campo da Cecchettin per sensibilizzare i ragazzi e noi adulti verso la violenza di genere e verso le conseguenze e le responsabilità della cultura patriarcale – che a me sembra ancora viva, vegeta e guizzante nonostante mi sia giunta voce dell’estinzione del patriarcato nel 1975 (dieci anni dopo i panda) – nella gestione dei sentimenti e delle libertà. A novembre del 2024 è stata presentata la Fondazione Giulia Cecchettin con la mission di mantenere viva la memoria di Giulia; affrontare le dimensioni strutturali e culturali che alimentano la violenza di genere; sviluppare strumenti di analisi per identificare le radici culturali della violenza e stimolare interventi innovativi che valorizzino le buone pratiche e ne promuovano di nuove; supportare le donne vittime di violenza; costruire un futuro inclusivo.
Sul palco dell’auditorium c’era una persona pacata e pacifica che ha raccontato con parole semplici quanto una visione machista e nichilista abbia permeato anche la sua vita, quanto anche lui abbia scoperto in età adulta che un uomo può e deve provare tutta la gamma dei sentimenti, anche quelli che solitamente non sono associati alla visione “virile” del maschio (possibilmente alfa); ha spiegato come il contrario di debolezza non sia forza ma solidità, ovvero la capacità di rimanere centrati, fermi, senza sopraffare l’altro. Ha risposto alle tante e belle e interessanti domande degli studenti e delle studentesse, tutte molto circostanziate e tutte pertinenti: “come è possibile cogliere i sintomi di una relazione tossica?” “cosa le ha insegnato Giulia?” “quanto è stato importante scrivere questo libro?” “quanto è importante l’indipendenza economica all’interno di un rapporto amoroso?” Nelle due ore di incontro pochi minuti sono stati dedicati ai saluti e alle presentazioni mentre gran parte del tempo è stata riempita dalle domande dei più giovani, ragazze e ragazzi attenti e silenziosi, coinvolti e interessati.
Ho sinceramente tirato un sospiro di sollievo uscendo da questo incontro in cui evidentemente le ragazze e i ragazzi quanto le professoresse e i professori hanno dato attenzione e cura ad un tema, quello della violenza e della disparità di genere, estremamente attuale e purtroppo però saldamente pervicace nella della realtà.
Perchè, se i partecipanti all’incontro hanno dimostrato di aver capito cosa significano parole come violenza, libertà, consenso, secondo il Rapporto Giovani Voci per Relazioni Libere di Differenza Donna, ricerca condotta tra ragazzi e ragazze tra i 14 e i 21 anni presentato a novembre dello scorso anno, il controllo su abbigliamento, uscite, geolocalizzazione e accesso ai messaggi è diffuso tra i giovani. Il 30% degli intervistati crede che la gelosia sia una dimostrazione d’amore, percentuale che sale al 45% tra i 14-15enni, mentre il 19% considera la geolocalizzazione accettabile. Il 39% dice di aver subìto violenza, con picchi tra le persone non binarie (55%) e le ragazze (43%). I responsabili delle violenze sono nell’ 87% conoscenti, nel 30% familiari, nel 29,5% amici, nel 27,2% partner o ex partner. Solo l’1% dei ragazzi si rivolge ai Centri Antiviolenza; il 25% non parla con nessuno. In base all’esperienza personale per i giovani le principali forme di violenza sono lo stalking(33%), la violenza verbale (30,5%), psicologica (26,7%), fisica(14,4%), sessuale (11,6%).
Quanto ai ruoli di genere, il 21% dei giovani li percepisce come biologici: la percentuale è più alta tra i maschi (25%) e i giovani tra 15-19 anni (24%). Dal rapporto emerge, inoltre, che la mascolinità è associata a “forza e potere” con una percezioni critica di “tossicità” da parte di alcune ragazze; mentre la femminilità è “in evoluzione, con aggiunta di tratti come coraggio e determinazione”. Ad esempio nei percorsi Stem, il 5% dei maschi ritiene che le ragazze siano meno predisposte biologicamente. Percentuale più alta tra i 14-15 anni (6%).
Inoltre, la seconda edizione della Survey TEEN realizzata da Fondazione Libellula ha raccolto le testimonianze di 361 giovani (i partecipanti sono stati circa 1600) che hanno risposto online su base volontaria tra il 23 marzo e il 6 giugno 2024: secondo il 20-25% degli intervistati non è definibile come violenza toccare, baciare o rivelare dettagli intimi senza il permesso dell’altra persona e per 1 adolescente su 5 non è violenza toccare una persona senza il suo consenso e nemmeno baciarla, uno su 4 ritiene normale anche raccontare ad altri dettagli intimi all’insaputa della partner o del partner. Per la metà del campione intervistato la gelosia non è una forma di violenza, così come non lo è chiedere di condividere le password dei profili social o controllare il telefono del partner di nascosto o, ancora, telefonare o inviare insistentemente messaggi.
Una ragazza su 4 ha confessato di aver ricevuto richieste sessuali e attenzioni non desiderate, a un intervistato su 5 è successo di aver ricevuto strattoni da parte del partner, più di uno su 10 ha fatto esperienza di pugni schiaffi e colpi, mentre quasi 1 su 10 si è visto lanciare oggetti addosso. Chi ha subìto episodi di violenza ne ha parlato con un’amica (61,51%), il 48,20% ne ha parlato in famiglia, il 18,71% si è rivolto a un adulto di riferimento, mentre il 12,59% ha contattato enti che si dedicano al tema della violenza. Chi invece non ne ha parlato con nessuno lo ha fatto soprattutto (44% dei casi) perché ha pensato fosse una cosa di poco conto. Molti anche gli adolescenti che hanno dichiarato di essere stati in silenzio per vergogna (28%), paura (22,86%) e senso di colpa (16,57%).
Questi dati sono sconfortanti e a me personalmente mettono paura ma temo che dobbiamo chiederci dove gli adolescenti recepiscono comportamenti violenti e prevaricanti, dove hanno interiorizzato un concetto come quello di “predisposizione biologica” alle materie scientifiche da parte dei maschi, quanto i nostri comportamenti portano ancora (!) il fardello di una visione patriarcale del mondo e poi dobbiamo iniziare a ringraziare tutti i Gino Cecchettin che ogni giorno nella quotidianità delle parole ci ricordano che il contrario di debolezza non è forza, ma solidità, dobbiamo ringraziare tutte le persone che scelgono di raccontare la violenza, subìta o conosciuta, e tutte le persone che lottano per fare luce sulla persistenza di comportamenti e convinzioni sessualmente discriminanti. Dobbiamo, ogni giorno, ricordarci che i più giovani ci guardano e che anche se noi ci crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti.
Simona Irene Simone