
“Il golfo magico, ovvero Mozart e Napoli”: un titolo accattivante quello inserito nel cartellone della Camerata Musicale Barese – sotto la direzione del M° Dino De Palma – per la sua 83.ma stagione all’interno della rassegna “Solo Musica”. Nel Teatro Piccinni di Bari è andato in scena, infatti, uno spettacolo brillante in cui i protagonisti d’eccezione, Paolo Cresta, voce narrante, il Solis String Quartet (Vincenzo Di Donna e Luigi De Maio ai violini – Gerardo Marrone alla viole – e Antonio Di Francia al violoncello) ed il pianista Ramin Bahrami hanno sapientemente acceso i riflettori su una storia che i più, probabilmente, ignorano, avvicendandosi ed intrecciandosi nella vivace e geniale narrazione dell’esperienza partenopea vissuta dal compositore salisburghese insieme al padre Leopold nel maggio del 1770. Viaggio dall’evidente scopo promozionale.
“Andremo a Napoli, questo luogo è così importante che, se una scrittura dell’opera non ci richiamerà a Milano, potrebbe capitare facilmente che un’occasione ci trattenga qui tutto il prossimo inverno”: con queste parole Leopold annunziava alla moglie di voler ingaggiare con Amadeus un viaggio nella terra in cui grazie al Re Carlo di Borbone alta era la concentrazione di artisti provenienti da più parti che rendevano Napoli culla e regno di una cultura tra le più vivaci e cosmopolite del momento, pur soffrendo delle innegabili contraddizioni che tanto, però, la rendono unica. “Napoli è bella, ma piena di gente come Vienna e Parigi. E per quanto riguarda l’impertinenza del popolo di Londra e a Napoli, non so se Napoli non abbia la meglio su Londra”.

E così, in modo del tutto originale, per evitare “rischi e timori”, avvalendosi inusualmente del procaccio – il servizio postale dell’epoca – padre e figlio partono alla volta di Napoli, con tre monaci agostiniani, affrontando un viaggio lungo giorni che anche noi spettatori riviviamo, ugualmente a tappe, attraverso la storia che ci fa rivivere la talentuosa penna del critico musicale napoletano Stefano Valanzuolo – autore del testo – e la voce del noto e brillante attore Cresta, capaci, entrambi, di farci tornare indietro di qualche secolo con il rammarico di non poter attraversare fisicamente lo spazio-tempo solo immaginato. Non senza la compresenza sul palco dell’ensemble nato nel 1991 e riconosciuto al livello internazionale per lo stile, il talento ed il raffinato gusto artistico, nato dall’incontro, su suolo partenopeo, dei quattro musicisti, compositori ed arrangiatori. Sono, infatti Antonio Di Francia e Vincenzo De Donna a curare le trascrizioni e rielaborazioni musicali di questa serata.

La vivace “Sonata n. 9 in la minore K310 – allegro maestoso”, composta durante un soggiorno parigino dallo stesso Mozart dopo qualche tempo dall’esperienza napoletana, eseguita con spiccato brio dai musicisti sul palco non a caso è la prima pagina musicale ad essere eseguita giacché irrompe con il ritmo di una marcia quasi a cadenzare ed a preannunciare quella in cui si snoda la narrazione odierna.
La “sonata in do maggiore K159”, di Domenico Scarlatti, annuncia l’arrivo di Mozart a Napoli, ove vi giunge alle 8 di sera del 14 maggio e dove vi rimane solo sei settimane. Sei settimane che segneranno profondamente la successiva produzione musicale. Ma è la successiva, una spumeggiante Fuga, una sonata in do minore K58, che celebra la gioiosa accoglienza dell’inusuale compagine itinerante, in una casa nella quale vengono accolti da una signora e da un cane (per la gioia del giovin maestro) nei pressi di uno dei (quattro) conservatori di Napoli, il S. Onofrio a Porta Capuana – noto per essere fulcro della gloriosa suola musicale napoletana e per aver contribuito alla formazione di prestigiosi discenti quali Puccini e Paisiello (per citarne un paio).

Ma il soggiorno, come suggerisce il do minore della Sonata k457 dello stesso Mozart, è fatto anche di occasioni mancate e di un certo disagio per via della distanza che i reali mantengono nei confronti dell’”acerbo” Mozart, che acerbo certo non è, avendo una solida formazione alle sue giovani spalle.
Eppure Napoli, nonostante il clima di ingiustificata diffidenza riservatogli, resterà nel suo cuore per sempre, sebbene non ci abbia fatto più ritorno se non idealmente usandola come cornice per una delle sue opere più belle: “Così fan tutte K588 “Saove sia il vento”, ed è proprio questo aggettivo ad allietarci i sensi infondendo in noi un senso di gioiosa serenità grazie ad un’impareggiabile, armoniosa e delicata esecuzione di Bahrami e del Solis String Quartet.
La giovane età di Mozart, al tempo del memorabile viaggio voluto dal padre-manager, deve aver sicuramente contribuito ad amplificare la percezione della città-capitale europea della musica al pari del fascino e della potenza percepita alla visione del Vesuvio, la cui immagine di vulcano “inquietante e maestoso” incalza prepotentemente con l’ “Allegro con brio – sinfonia n.25 in sol minore K183” che fa esplodere il pubblico in un tripudio di applausi.

Napoli, dunque è una città della quale se ne innamora a tal punto da scrivere, dopo qualche anno più tardi: “Ho un’indescrivibile brama di scrivere ancora una volta un’opera e quando avrò scritto l’opera per Napoli, mi si ricercherà ovunque… con un’opera a Napoli ci si fa più onore e credito che non dando cento concerti in Germania.”. Ed è questo forte sentimento che, vent’anni dopo quel viaggio nel quale forte è stata la sua attrattiva anche nei confronti degli scavi di Pompei, profonderà nel suggestivo Flauto Magico, dal quale viene tratta ed eseguita per noi l’“Aria di Pamina” , in cui Mozart mescola sapientemente il richiamo ad un nostalgico mediterraneo attraverso l’uso delle pizzicate delle corde del violino che ricordano i mandolini napoletani con le suggestioni esotiche di un Egitto da favola rappresentato invece dai canti innalzati dagli altri cordofoni.

Il percorso musicale che è parte di quello ideale che facilmente riusciamo a raffigurare grazie alle doti narrative di Cresta, dunque non ha nulla di casuale; le pagine pentagrammate scelte a segnare il passo, sono anch’esse legate indissolubilmente all’humus culturale della città partenopea nella quale sono state concepite non solo dal giovanissimo Wolfang ma altresì da Domenico Scarlatti e Domenico Cimarosa, i cui natali napoletani rendono orgogliosamente accattivanti, brillanti, vivaci, le sonate selezionate, tali quantomeno risuonano attraverso la potente rappresentazione sviluppatasi dinanzi ai nostri occhi e, soprattutto, giunta al nostro udito.
Non posso esimermi dall’aggiungere che oltre alle prodezze indiscusse del quartetto d’archi, del quale Vincenzo Di Donna ha francamente spesso catalizzato la mia attenzione per il nerbo ed il piglio profusi in gran parte delle battute allo stesso affidate (senza nulla togliere ai colleghi la cui cifra stilistica è parimenti indiscussa e senza i quali nulla avrebbe vibrato ed emozionato con la stessa intensità), un plauso particolare ed un ringraziamento con il cuore in mano vorrei giungesse al bravissimo Ramin Bahrami, uno tra i più interessanti interpreti nella scena musicale internazionale.

La sua fine capacità agogica amplificata ancor più dalla sua spontanea ed innata simpatia l’ha portato a donare sorrisi, a sottolineare gli accenti scherzosi o gli allegri spesso lanciati e poi ripresi dai suoi compagni di note, chiudendo il cerchio su uno spettacolo del quale ci siamo congedati a fatica, anche dopo il bis, probabilmente la stessa “fatica” con cui la mattina del 27 giugno 1770 i Mozart lasciarono Napoli per non farvi più ritorno, portando con sé un’inevitabile energia vulcanica.
Gemma Viti
Foto dalla pagina Facebook della Camerata