La settimana sportiva: l’analisi di Bari – Cesena

Non raccontiamoci favole: non siamo fuori dalla crisi. Sarebbe un errore colossale, e per amore di verità – e di ambiente calcistico – parliamo piuttosto di sala di rianimazione, dove qualcuno ha appena collegato l’ossigeno per provare a ridare aria ai polmoni di questa squadra. Altro che guarigione.

La gara di domenica, per lunghi tratti, è stata l’ennesimo film già visto: un Bari evanescente, impalpabile nel primo tempo, incapace persino di minacciare la porta avversaria. Nessun tiro, solo errori e paure, come se la squadra fosse rimasta incastrata in un déjà-vu di quelli che non promettono niente di buono. E visto il livello dell’avversario – non Mantova, non Padova, e nemmeno la Sampdoria versione fantasma – sembrava chiaro che il finale fosse scritto.

Il Cesena ha mostrato manovra, carattere e voglia: un gradino sopra per idee e intensità. Se dobbiamo cercare un difetto ai romagnoli, è la scarsa cattiveria sotto porta. Le squadre di Mignani, si sa, inciampano proprio quando c’è da affondare il colpo contro avversari sulla carta vulnerabili: successe a Bari, è successo a Palermo e domenica la storia si è ripetuta. E quando Shpendi divora due gol giganteschi, scatta la vecchia legge non scritta: gol sbagliato, gol subìto. Nessuna eccezione, nemmeno questa volta.

Mignani, accolto e salutato dagli applausi di un San Nicola che non ha dimenticato come fu strappato via da quella panchina dopo una sola sconfitta in nove gare, a fine match era furioso: convinto di meritare la vittoria. Per tre quarti di gara il Cesena ha effettivamente mostrato più vita, più ritmo, più idee; il Bari, invece, ha guardato, subìto, osservato inerme come un turista spaesato davanti alle cascate del Niagara. Per fortuna dei biancorossi, c’è San Cerofolini che ogni domenica tiene su la baracca come un santo laico del calcio, aggiungendo un altro paio di miracoli alla sua collezione.

Secondo tempo: qualcosa cambia. Il Bari alza un po’ il baricentro, Antonucci spreca la sua occasione, ma è ancora il Cesena a comandare fino a un quarto d’ora dalla fine. Poi Caserta prova il coraggio: seconda punta, dentro Gytkjær. In precedenza, cambi spesso sterili; questa volta, invece, qualcosa scatta. E quando meno te l’aspetti, ecco il pungiglione biancorosso: cross di Dickmann, fino a quel momento quasi in letargo, e incornata di Gytkjær – anche lui, fino a lì, più fermo che vivo.

Una zampata, un lampo, e la seconda in classifica finisce al tappeto. Un gol che pesa come un masso e che regala tre punti d’oro. Ma la sensazione resta chiara: non siamo guariti. In questa occasione, almeno, il Bari è parso più squadra rispetto alle prestazioni spettrali delle ultime gare: soprattutto nella ripresa, dove si è vista una formazione capace di soffrire, buttare via la palla quando serviva, ma anche incidere quel tanto che basta. Una vittoria contro una corazzata in trasferta – quattro successi consecutivi prima di arrivare al San Nicola – non cade dal cielo. È un mattone importante per l’autostima.

Nel primo tempo ritmo basso, Moncini lasciato solo a combattere come un naufrago, Castrovilli troppo distante per incidere negli ultimi venti metri, poi la scossa: Caserta cambia, osa, e stavolta ha ragione. Va detto. Anche perché il Cesena cala fisicamente e Cerofolini, ancora una volta, chiude la porta come un portiere da film: uno che salva partite e forse stagioni. Il pubblico fischia a fine primo tempo – giustamente – e poi applaude alla fine, perché Bari sa riconoscere chi lotta. Resta un centrocampo lento, pensoso, poco incisivo: Verreth ancora lontanissimo da ciò che serve, Maggiore e Antonucci che vagano senza lasciare traccia, Darboe che ancora non illumina. Caserta oggi bada al sodo: prima non prenderle, poi – di tanto in tanto – mettere fuori il muso. È brutto? A volte sì. Ma in Serie B si vince anche così, e “il bel gioco” è un lusso che al momento non possiamo permetterci. Come diceva Giovanni Trapattoni, “Non esiste un calcio bello o brutto, esiste un calcio efficace”. E domenica, be’, lo è stato.

Tre vittorie casalinghe di fila, pochissimi tiri ma massima resa. Se continui così, magari a dicembre o marzo guarderai la classifica con un’altra faccia. Ma attenzione: niente illusioni. Questo Bari è ancora un malato serio, che oggi ha iniziato una terapia d’ossigeno. Respira, sì, ma con il casco della rianimazione. Per dirla con Pirandello, “Così è (se vi pare)”: vinci, soffri, sembri rinato e poi ricadi nei soliti difetti. Ma oggi si respira. Si lavora con più serenità. Si spera. E sperare, nel calcio come nella vita, è già mezza partita vinta.

Massimo Longo
Foto ©SSC Bari per gentile concessione

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