Nduduzo Makhathini, la musica che guarisce al Bari Piano Festival 2025

Pianista jazz della scena mondiale, artista africano sincretico, Nduduzo Makhathini, ha incantato il pubblico stagliato sullo scenario mozzafiato dello skyline barese affacciato sul mare a Pane e Pomodoro per il penultimo appuntamento del Bari Piano Festival 2025.

Musicista, didatta, egli stesso si definisce guaritore. Nato in sud africa, nell’antica capitale del regno Zulu, sua nonna era davvero una guaritrice, una sciamana, e Makhathini ha trasferito nella sua musica il potere taumaturgico e vivifico in una sorta di spiritual jazz genuino.

Nella sua musica vibra un ancestrale ritmo africano che nell’origine e nell’evoluzione del jazz ne fanno cifra sostanziale e imprescindibile: da quello suonato per le strade e nei locali, a quello del gospel e degli spirituals. La sua musica raccoglie le voci e i sentimenti umani, è musica di evocazione e di denuncia. Racconta usando il pianoforte come tavolozza e base dialogica sovrapponendo la sua voce, ma anche quella delle donne nel villaggio intorno al fuoco o le eco dei paesaggi della memoria. Di fatto sul palcoscenico Makhathini porta se stesso, ma grazie alla tecnologia, anche archetipiche narrazioni innestate attraverso processori vocali che, insieme alla voce vibrata dai martelletti, chiama sul palcoscenico l’anima africana e il grido universale dell’uomo contro ogni forma di ingiustizia.

Un programma intenso di ben nove brani, dal tramonto alla notte, spesso giocati con un andamento ipnotico, tipico dei riti sciamanici, ma anche tessuti di dolcezza, rarefazioni, discese tonali improvvise, accelerazioni e arresti. Una gamma di pezzi sul filo stilistico jazzistico, ma che immergevano in una sorta di tunnel della memoria e dell’immaginazione e che portavano l’ascoltatore in un di cerchio magico con l’incanto ondulatorio del saliscendi delle mani sui tasti del pianoforte e la profondità delle parole sussurrate al microfono, quasi ad indurre uno stato di trance. Lo stesso Makhathini, che non ha mancato di inframmezzare i pezzi spiegando le ragioni e i modi della sua musica, ha ammesso di utilizzare la sua musica per permettere a chi ascolta di riconnettersi con l’universo, con la sua anima. Il suo tentativo è quello di ricondurre all’uno le diverse voci del mondo, ricucire contrapposizioni, come quelle tra nord e sud del mondo, tra centro e periferia. Contrapposizioni che sono all’origine delle catastrofi a cui oggi si assiste. La musica è l’invito a riprendersi il significato delle cose, della vita, riprendersi la convinzione che l’umanità è in tutto e c’è una possibilità per cambiare le cose.

Ogni pezzo ha finito per rappresentare l’universo nelle molteplicità fenomenologie del ritmo ora sincopato, ora più ortodosso e soul, ora così frenetico da richiamare il corpo a partecipare di quel momento e di quel ritmo, una necessaria, liberatoria danza che assecondava il flusso emotivo della musica, con tanto di schiocco del risvegliare il pubblico da quella trance. Sul palco del Bari Piano Festival è stata portata una musica certo a canoni invertiti, rispetto all’ortodossa cultura occidentale, tanto che lo stesso Makhathini, che ha studiato al conservatorio di Città del Capo e ha due dottorati in musica, ha tenuto a sottolineare di provenire da un’altra cultura del suono. Del suono! e parliamo dell’elemento primordiale costitutivo della musica. Proprio per la vicinanza della musica alla natura, così caratterizzante nella cultura africana, questa diventa strumento per rappresentare le grandi questioni sociali in quanto espressione dell’umano, dei valori universali, e in un modo così pluralista da riuscire a rappresentare la complessità dello stare al mondo: sia quello che si vede che quello che non si vede. Con la musica Makhathini gioca con gli spiriti e con gli antenati, perché la musica è lingua dello spirito.

Un concerto proposto come un rituale di benedizione, a corpo libero per uno spirito finalmente liberato, pronto a creare un nuovo mondo, generato grazie alla potenza salvifica e generativa della musica.

Alma Tigre
Foto di Gaetano de Gennaro

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