
Non ho emesso sentenze a Venezia, né a Monza, e di certo non mi metterò a farle dopo la Waterloo di sabato a Modena: troppo presto per giudicare. Però una cosa la devo dire, con amarezza: tre partite, un punto. E, per favore, basta con la litania dell’inizio di campionato difficile. L’Avellino ha battuto il Monza, il Sudtirol ha piegato la Sampdoria, la Carrarese ha espugnato la Spezia, il Modena ha fatto bottino pieno a Marassi. In Serie B non ci sono squadre col pallottoliere e non ci sono partite impossibili. Lo dimostra la storia di questo campionato: vincere con i cosiddetti “squadroni” è possibile, perdere con gli ultimi in classifica pure.
Il problema è che qui non stiamo parlando della Carrarese o del Mantova: stiamo parlando del Bari. E il Bari, piaccia o no, ha il dovere di essere protagonista. Non di chiedere tempo. Tempo? Ma quale tempo! Altre squadre, con meno blasone, l’hanno già trovato. Il Bari invece sembra vittima della sindrome di Penelope: tesse la sua tela d’entusiasmo di giorno e la disfa la sera stessa, al primo Modena di passaggio.
Ricordiamoci che nell’anno di Mignani, con giocatori di Serie C, il Bari trovò subito identità e compattezza, sin dalla Coppa Italia a Verona. Oggi, con presunti calciatori di categoria superiore, l’alibi del “ci vuole tempo” suona come un insulto alla logica. Nietzsche scriveva: «Chi ha un perché può sopportare quasi ogni come». Il problema del Bari è che non si capisce ancora quale sia il perché.
La sconfitta di Modena non brucia solo per il risultato – 3-0, netto – ma per l’assenza di qualsiasi reazione. Due rigori contro? Pazienza, c’erano tutti quantunque non nettissimi. Ma dove sono finiti i tiri in porta, la rabbia, il palo scheggiato, il rigore procurato e magari annullato dal VAR? Nulla. Il vuoto. Una squadra con gente da 250-300 presenze in A e B che gioca come se fosse al torneo del quartiere. Il Modena, senza strafare, ha gestito la partita con disarmante facilità, come già avevano fatto Monza e Venezia.
Il Bari è mancato nella compattezza, nell’anima, nella fame. Non c’è stata squadra, non c’è stato sangue agli occhi dopo le due pugnalate. Solo timidi affacci in area, mai un vero pericolo. E quando ti presenti così, perdi. Giustamente.
Eppure, in città si era creato un velo di entusiasmo: mercato finalmente di livello, buone prove contro Monza e Venezia. Quel velo si è subito strappato. Un classico barese: più cresce l’ottimismo, più rapida la caduta. Un eterno pendolo tra speranza e disillusione. Come scrisse Manzoni, «il sugo della storia» sembra sempre lo stesso: l’illusione dura un attimo, la realtà torna prepotente.
Il problema di fondo è che il Bari dà costantemente la sensazione di poter subire gol, non trasmette mai compattezza. Alcuni giocatori hanno curriculum di livello, ma se non c’è unione, il valore resta sulla carta. Dorval, ad esempio, messo a fare il difensore esterno, è come chiedere a Woody Allen di interpretare Conan il Barbaro: fuori ruolo, fuori logica.
Ci sono poi gli eterni reduci: Partipilo, Antonucci, Castrovilli. Nomi interessanti, sì, ma reduci da stagioni anonime. Altre squadre schierano calciatori forse più modesti, ma almeno pronti a battagliare. Qui, invece, regna l’attesa infinita del “quando saranno pronti”.
E così, il Bari paga ancora la stagione magica (conclusasi in tragedia) di Mignani, quando tutto girava a nostro favore, arbitri e VAR inclusi. È la solita legge non scritta del calcio barese: ogni buona annata va compensata con quindici di sofferenza. Un mistero che nemmeno la scienza può spiegare. Forse solo la filosofia del “contrappasso” dantesco: più hai goduto, più devi espiare.
E intanto il copione si ripete: l’attaccante in crisi che non segnava da mesi, col Bari si sblocca e ti rifila una doppietta. Gliozzi insegna. Occhio ora alla Sampdoria, ultima in classifica alla disperata ricerca di qualche polleria che le risolva la crisi: facile immaginare il suo centravanti a secco da mesi che tornerà a segnare proprio al San Nicola. Crisi risolta? Ovviamente no: dalla partita dopo tornerà nel deserto dei gol e a perdere. Un destino beffardo, degno di Sisifo che, arrivato in cima alla montagna, vede sempre il masso rotolare giù.
Questa è la maledizione del Bari: sempre in cerca di identità, sempre in attesa del tempo giusto. Ma intanto il campionato non aspetta.
Massimo Longo
Foto di ©SSC Bari per gentile concessione