La settimana sportiva: l’analisi di Cosenza – Bari

Bari, ancora un’umiliazione: a Cosenza l’ennesima figuraccia di una squadra senz’anima.

C’è qualcosa di tragicamente ricorrente nella storia del Bari, come un destino scritto nei margini sbiaditi di un copione già visto troppe volte. E la sconfitta di giovedì a Cosenza, per quanto annunciata da segnali inequivocabili, rappresenta una pagina vergognosa, indegna non solo della maglia ma di una città intera. Giocare contro l’ultima in classifica – quella che con ogni probabilità saluterà la categoria – non era solo un’occasione per guadagnare punti, ma un imperativo morale per dimostrare almeno un barlume di dignità sportiva. E invece, nulla. Un Bari smarrito, molle, senza spirito né voglia, si è consegnato all’avversario come un pugile stanco che attende solo il colpo del knock-out.

Un solo tiro in porta, una traversa colpita da Favilli, guarda caso uno dei pochi capaci di dare un senso al concetto di pericolosità, eppure puntualmente relegato da Longo in panchina, quasi fosse una colpa avere qualità. Il resto è silenzio, come direbbe Shakespeare. Silenzio di idee, silenzio di gioco, silenzio di coraggio.

Quella di Cosenza non è stata una semplice battuta d’arresto: è stata una resa incondizionata. E proprio perché l’avversario era il fanalino di coda, quella che nel gergo calcistico si definisce la “cenerentola”, il fallimento assume contorni grotteschi. In un film di Kurosawa, questa sarebbe la sequenza in cui il samurai smarrisce la via del bushidō, dimenticando onore e scopo. Così il Bari, che da mesi sembra vagare senza meta, smentisce la propria identità e tradisce le aspettative con una puntualità degna della famigerata *Legge di Murphy* che cito spesso, secondo cui “se qualcosa può andare storto, lo farà”.

E chi, come me, ha vissuto questa squadra fin dagli anni Sessanta, sa che certe sconfitte non sono eccezioni ma la regola: il Bari, quando affronta le squadre ultime in classifica, trova il modo di perdere. Talvolta per presunzione, altre per oggettivi limiti tecnici. Ma quest’anno è diverso: non è solo una questione di tecnica, è la mancanza di un’anima. Non c’è gioco, non c’è carattere, non c’è cuore. Nemmeno un barlume di quella rabbia agonistica che dovrebbe incendiare ogni singolo pallone.

Nel girone di ritorno, la squadra è in evidente regresso. Il mister Longo, che nella prima parte del campionato aveva almeno dato un’illusione di solidità, appare ora smarrito, quasi ostaggio delle sue stesse scelte. Favilli è tenuto in panchina senza logica apparente, Maita non vede il campo, le sostituzioni sembrano uscite da un’estrazione casuale. E nel frattempo la squadra si dissolve, perdente nei duelli, assente sulle seconde palle, disorganizzata nella costruzione. Nel primo tempo, il Bari semplicemente non è sceso in campo; nel secondo, ha prodotto solo confusione e un paio di lanci lunghi privi di costrutto.

Il sospetto, sempre più fondato, è che Longo abbia perso la stima dello spogliatoio. Forse per le sue dichiarazioni infelici (“state sopravvalutando questa squadra”), forse per scelte punitive che incrinano la fiducia dei giocatori. Se è vero che un allenatore, oggi, deve essere anche psicologo e motivatore, allora Longo ha fallito proprio laddove serviva di più: nel trasmettere energia, fiducia, direzione.

E mentre il campionato offre ancora, paradossalmente, una flebile possibilità di accesso ai playoff, ogni prestazione come quella di Cosenza rende tale ipotesi una beffa. In un torneo dove dalla Cremonese in giù regna la mediocrità, il Bari riesce nell’impresa di essere mediocre tra i mediocri. Non solo è difficile pensare ai playoff, sarebbe addirittura ingiusto. La squadra ha vinto solo due partite in modo convincente – contro Spezia e Palermo – le altre, quando vinte, lo sono state con un solo tiro in porta, in modo quasi casuale, come frutto del caso più che di una strategia.

Oggi è in atto un vero e proprio black-out: manca tutto. Manca il cuore, manca il gioco, mancano le motivazioni. E la cosa più grave è che è venuta meno la gioia, quel sottile entusiasmo che dovrebbe accompagnare una squadra in ogni sfida, anche la più ardua. È come se il Bari avesse smarrito il senso stesso del competere. E in una piazza esigente e passionale come quella barese, tutto questo è semplicemente inaccettabile.

Chi ha responsabilità in questa deriva deve rispondere. Non basta rifugiarsi dietro frasi fatte come “ce la stiamo mettendo tutta”. Basta ipocrisie. Questa squadra è un insulto alla passione della sua gente, un cazzotto in pieno volto ai suoi tifosi. E ogni schiaffo – prima o poi – esige una reazione.

Massimo Longo

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.