
Di scena al Duke Jazz Club di Bari, un omaggio davvero raffinato dedicato al grande sassofonista americano Bebby Golson, scomparso lo scorso settembre all’età di 95 anni. Fino all’ultimo ha continuato a girare il mondo per presentare la sua musica: decine di sue composizioni diventate ormai degli standard per la musica jazz.
Golson è stato alla ribalta sulle scene già alla fine degli anni ‘50, in particolare con i Jazz Messengers di Art Blakey, con una carriera che è durata circa settanta anni. Nessuno come lui è stato capace di realizzare composizioni che sono diventate immediatamente degli “standard”. Sono tantissimi i brani noti, che spesso sono stati accomunati ad altri artisti che hanno voluto inciderle, ma che portano la sua firma. Prima fra tutti la travolgente “Blues march” che divenne il cavallo di battaglia di Art Blakey che ha continuato ad utilizzarla fino alla fine della sua carriera come “sigla” di apertura o chiusura dei suoi concerti.

Dal 1953 al 1959 si esibisce con i gruppi di Tadd Dameron, Lionel Hampton, Johnny Hodges, Dizzy Gillespie, e Art Blakey e dal 1959 al 1962 Golson ha collaborato con Art Farmer. In seguito per alcuni anni abbandonò le scene del jazz per concentrarsi sullo studio e sulla composizione orchestrale. In questo periodo compose musica per le colonne sonore di spettacoli televisivi come Ironside o M*A*S*H. Solo all’inizio degli anni settanta riprese la sua attività concertistica.
Riferendosi alle non comuni capacità compositive di Golson, di lui è stato detto che “Benny non scrive brani, scrive standard”. Tra i numerosi brani da lui composti, e che hanno avuto grande notorietà, oltre al citato Blues march, gli indimenticabili “I Remember Clifford”, Stable Mates, Killer Joe, Whisper Not, Along Came Betty.

Nel 2004 Golson ha interpretato se stesso, nel film The Terminal di Steven Spielberg, in una breve apparizione durante la quale si esibì nella sua Killer Joe. Nel 2009 Golson è entrato a far parte dell'”International Academy of Jazz Hall of Fame”.
Ho molto apprezzato l’idea di realizzare questo omaggio utilizzando due sassofoni (e che sassofoni!), dando spessore al concerto staordinario.

Gianfranco Menzella è nato a Montescaglioso nel 1978 si è diplomato in sassofono nel 2000 presso il Conservatorio di musica “E. Duni” di Matera con il massimo dei voti e la lode e nel 2004 ha conseguito il diploma in musica jazz presso il Conservatorio “T. Schipa” di Lecce. Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali ottenendo nove primi premi assoluti e tre secondi premi. Ha suonato con: Steve Grossman, Ettore Fioravanti, Danilo Rea, Marco Tamburini, Gabriele Mirabassi, Randy Brecker, Daniele Scannapieco, Alfonso Deidda, Tommaso Scannapieco, Fabrizio Bosso, Michael Rosen, Kenny Werner, Eddie Henderson, Franco D’Andrea, l’Italian Big Band. Ha inciso: nel 1999 “The Concert” con il “Soranno Sax Quartet” in qualità di sassofono baritono, nel 2002 “La musica rubata” (Onix jazz club) con Ettore Fioravanti, Achille Succi, Tino Tracanna, nel 2005 “Is Jazz Ensemble” in qualità di sassofono contralto e arrangiatore, nel 2008 “Live in studio” (St. Louis jazz collection) come 1° tenore della St. Louis Big Band. Attualmente suona con la “St. Louis Big Band” di Roma diretta dal M° Antonio Solimene e con il “Gianfranco Menzella quartet” formazione con la quale collabora con artisti del calibro di Alfonso Deidda, Tommaso Scannapieco, Mike Rosen, Fabrizio Bosso con cui ha inciso “Miriam” (Philology 2009) primo disco a suo nome, per arrivare alla sua ultima incisione “Dedicated to Bob Berg” del 2024.

Michele Carrabba, di San Giovanni Rotondo (ma nato a Parigi) nel 1961, inizia lo studio del sassofono all’età di 13 anni, successivamente passa al clarinetto diplomandosi presso il conservatorio di Foggia nel 1984 e nel 1999 si diploma in Musica Jazz. Partecipa a diversi concorsi, sia di musica classica che di Jazz, vincendone molti. Ha collaborato con Larry Nocella, Massimo Urbani, Gianni Basso, Flavio Boltro, Paolo Fresu, Ettore Fioravanti, Attilio Zanchi, Sal Nistico, Lou Blackburn, Michael Brecker, Tony Scott, Joy Garrison, Cristal White. Ha inoltre suonato in gruppi e orchestre come: l’Orchestra Time di Luciano Fineschi, la Jazz Studio Orchestra di Paolo Lepore, la Thelonious Monk Orchestra di G.C. Piedimonte, l’Orchestra di Ettore Fioravanti.
Due sassofonisti di generazioni diverse, ma entrambi con una prestigiosa carriera alle spalle. Durante il concerto abbiamo avuto modo di apprezzare assoli davvero raffinati e duetti stimolanti.

Ma per non farci mancare nulla, ad accompagnare questi due straordinari fiati, uno straordinario Vito Di Modugno all’organo Hammond, Francesco Palmitessa alla chitarra e Michele Di Monte alla batteria. Il sodalizio tra Vito Di Modugno e Michele Carrabba nasce in tempi lontani e rivederli ancora insieme è sempre un piacere. Di Modugno lo ascoltiamo spesso al pianoforte, al basso elettrico ed acustico, ma quando siede davanti all’organo scatta qualcosa di irresistibile. Alcuni suoi assoli hanno creato ovazioni da stadio. Sempre pronto a sostenere gli altri musicisti.

Per me è la prima volta che ho avuto il piacere di ascoltare Francesco Palmitessa (anche lui di San Giovanni Rotondo) e devo confessare che mi ha davvero entusiasmato. E’ stato perfetto sia con i suoi assoli che nei momenti corali. Michele Di Monte, ascoltato solo venti giorni prima in altro contesto (sempre al Duke), ha dato il meglio di sé, con un drumming sempre sostenuto, ma mai invadente. Ha lo stesso entusiasmo di un ragazzino

Davvero un concerto delizioso, per ricordare un sassofonista straordinario ma, ancora di più, un compositore eccezionale. I brani che portano la sua firma sono infiniti. Oltre a Blues march, abbiamo avuto il piacere di ascoltare standards più che noti come I remember Clifford (scritto di getto dopo la tragica morte di Clifford Brown a soli 25 anni), Killer Joe, Whisper not, ma anche brani che hanno titoli sconosciuti ma con armonie note come Step lightly, Along come Betty, o Just by myself. Dieci brani in tutto, ma il cocerto avrebbe potuto continuare all’infinito.

Per tre volte in passato, ho avuto il piacere di ascoltare dal vivo Benny Golson. Ricordo soprattutto la sua voglia di raccontare aneddoti vissuti con altre leggende del jazz, o sul come sono nate alcune composizioni. Tra le tre, indimenticabile il concerto per il Beat-Onto Jazz 2014, dove il buon Alceste Ayroldi si prestò a tradurre i suoi racconti (permettendo così a tutti di comprenderne il significato), senza mai smettere di apprezzare la maestria dei suoi accompagnatori (i pugliesi Ettore Carucci al pianoforte, Francesco Angiuli al basso e Marcello Nisi alla batteria). Fu quella l’occasione per celebrazione di suo 85° compleanno.
Grazie a celebrazioni di questo genere continueremo a ricordare questi grandi artisti, con la consapevolezza che hanno lasciato il testimone ad altrettanto validi artisti.
Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro