
Lasciare tutto senza neanche una parola d’addio? Non una lettera, un biglietto, un breve messaggio? È quello che sta per fare Giulio, affermato psicanalista, in procinto di compiere “il grande salto nel vuoto senza ritorno”. Ci ha provato: ha scritto e strappato decine di fogli, ma proprio non riesce a dire, a spiegare, a congedarsi in qualche modo dai suoi cari. La corda è già intorno al collo, nello stomaco una generosa dose di alcool per darsi forza. Tutto è stato organizzato perché sia la colf a trovare il suo corpo, l’indomani, e non Francesca, sua moglie, che tornerà più in là, impegnata a ritirare un premio come miglior concertista dell’anno a Berlino. Le sarà risparmiata la scoperta terribile di suo marito impiccato al lampadario dell’elegante sala del loro appartamento.
Ma il destino scombina i suoi piani, perché Francesca torna a casa quella stessa sera, prima del previsto: un attimo prima del “salto”, giusto in tempo. Lo shock è terribile, ma la sua reazione è singolare: allo sconcerto iniziale seguono non il dolore, non la disperazione, ma la rabbia, il rimprovero (non si fa così!), perché quello di Giulio (il suicidio, per di più senza una lettera che ne spieghi il perchè, e in qualche modo sia per lei liberazione, pacificazione e giustificazione agli occhi del mondo) è un gesto che la destabilizza, che sgretola in un attimo quel fragile equilibrio che si nasconde dietro la sua immagine di donna forte e di successo.
Non si fa così è la versione italiana (curata da Virginia Acqua) de La Note, scritto da Audrey Shebat (classe 1966, attrice, regista e drammaturga francese) nel 2023. Il regista Francesco Zecca ne cura la regia, muovendo i personaggi all’interno di una stanza, con un grande tavolo e pochi arredi (tra i quali un giradischi sul quale si alterneranno vinili di Mozart, Leoncavallo e Jannacci). In scena al Teatroteam di Bari, lo spettacolo vede sul palco Lucrezia Lante della Rovere e Arcangelo Iannace.
È una commedia amaramente ironica e profondamente drammatica, il dialogo doloroso e rabbioso tra due persone che sono insieme da trent’anni ma da tempo non sono più una coppia. Due che procedono in solitaria, nella propria routine, dandosi per scontati, senza più desiderio di stare insieme, di pensare al plurale, di condividere emozioni e sentimenti. La fatica del vivere rende ciascuno impermeabile ai sentimenti dell’altro, come se la forza bastasse a malapena per sè, e non ce ne fosse per nient’altro, per nessun altro.

Ma la vita talvolta ci mette di fronte a dei punti di snodo, momenti davanti ai quali non si può più tacere, fingere di non vedere e non sentire quello che lentamente sta scorticando l’anima. Giulio e Francesca, loro malgrado, saranno costretti a guardarsi negli occhi e nei cuori, a dire ad alta voce i loro limiti. Si grideranno addosso rabbia, rancore, delusioni, in un confronto drammatico, mettendosi faticosamente a nudo, buttando fuori le parole taciute fino ad allora, i sentimenti nascosti, i desideri repressi.
Alla fine di una lunga notte, le luci del mattino li troveranno esausti, svuotati, ma consapevoli di dover prendere una decisione per non continuare a morire mentre si trascinano nel vivere, e di volerla prendere insieme, nonostante tutto. Dopo aver mostrato le reciproche cicatrici, provano a scommettere ancora una volta su loro due, forse per affetto, forse per paura della solitudine, (chissà!), su questa che tutto sommato forse è ancora una coppia.
Andare via, ricominciare, fuggire dal peso delle responsabilità che fino ad oggi li hanno fatti camminare a testa bassa, preoccupati di essere sempre ineccepibili, diligenti e perfetti. Una fuga che non è un nuovo progetto di vita, ma piuttosto un primo passo per andare via da qui, dall’insostenibile oggi.
La pièce si apre con una lettera che Giulio non riesce a scrivere, e si chiude con una lettera che Francesca vuole lasciare ai loro figli per spiegare il loro gesto: parole scritte anziché dette, per risparmiarsi in qualche modo la difficoltà di comunicare guardandosi negli occhi.
Ma questa volta è la stessa donna, che aveva aspramente rimproverato suo marito, a non trovare le parole. Userà infine quelle più semplici contenute in un messaggio della colf, donna meno complicata ma rapida e reattiva di fronte alla vita.
“Non si fa cosi” ha i toni del dramma condito da un feroce sarcasmo. Se in qualche momento si ride, è un’ironia amara che non libera dall’angoscia. L’analisi dei sentimenti dei protagonisti è spietata anche se i toni sembrano leggeri.

Lucrezia Lante della Rovere è elegante, brillante, e veste con naturalezza un ruolo sfaccettato, la personalità di una donna con un profondo tormento interiore ben dissimulato agli occhi del mondo. Anche Arcangelo Iannace rende efficacemente ragione della complessità del suo personaggio, e passa con scioltezza attraverso i diversi registri richiesti dal testo. Tra i due una bella sinergia che dà fluidità ad un copione sofisticato, complesso e profondo, che tuttavia in alcuni tratti appare eccessivamente verboso, con discorsi che si ripetono in uno svisceramento eccessivo e un po’ barocco. Bravi dunque i due interpreti a tenere alto il ritmo, a contenere i sentimenti forti di cui sono portatori, riuscendo a trasmettere tutta la loro forza senza doverli urlare, con grande misura.
Il finale non è un happy end, ma un primo passo che non si sa dove porterà i due. Ci si regala un nuovo inizio, una nuova possibilità, nella consapevolezza che, comunque, il primo passo non ti porta dove vuoi, ma ti toglie da dove sei (A. Jodorowsky). Ed è già qualcosa.
Imma Covino
Foto dalla Compagnia