
“Eppur si muove”, verrebbe da dire, evocando le parole attribuite a Galileo Galilei. Già, perché questo Bari, striminzito numericamente nella rosa a causa di diversi infortuni e frenata dalla non buona condizione fisica di alcuni (Vicari, da esempio, reduce da un serio infortunio il quale deve ancora carburare per tornare al 100%) per quanto altalenante e irrisolto, continua a camminare, a fatica, tra luci e ombre raggiungendo, nel bene o nel male, la quinta gara senza sconfitte. Domenica ha portato a casa una vittoria preziosa contro il Frosinone, eppure il successo non si è distinto per brillantezza, quanto per la capacità di evitare di essere la vittima sacrificale perfetta per una squadra in crisi.
Le condizioni sembravano ideali per un colpo esterno degli ospiti: il Frosinone, afflitto da assenze pesanti e reduce da un periodo nero, aveva tutto da guadagnare nel cercare il riscatto. E invece, contro ogni logica apparente, ha incassato l’ennesima sconfitta, pur avendo messo il Bari sotto pressione fino all’ultimo secondo. Perché, come da copione, il Bari non ama le vittorie semplici, non conosce il sollievo di un successo netto e indiscutibile. Anche quando la partita sembra indirizzata, riesce sempre a complicarsi la vita, lasciando i tifosi con il fiato sospeso fino al triplice fischio, che ormai arriva ben oltre il 90′.
“Nel calcio non vince chi merita, ma chi segna”, diceva José Altafini, e il Bari ha applicato alla lettera questo principio. Ha capitalizzato al massimo le uniche due vere occasioni create: prima il rigore trasformato con freddezza da Favilli, poi il contropiede letale concluso da Bonfanti su assist dello stesso attaccante. Il Frosinone, invece, ha creato di più, ma ha trovato la via del gol solo a tempo ormai scaduto. Una legge non scritta del calcio, crudele ma efficace: chi spreca paga. Poi quel Kvernadze, da subentrato, è stata un’ira di Dio. Probabilmente non sarà un granché dal punto di vista della resa ma col Bari è risaputo che chiunque si trasforma in improvvisati Maradona salvo, poi, nelle successive gare ritornare nei propri ranghi di mediocrità.
Nonostante i tre punti fondamentali, restano tante incognite. Questo Bari sembra intrappolato in una dimensione ambigua: troppo solido per cadere a picco, troppo fragile per ambire a qualcosa di più. La squadra di Longo naviga tra speranze e limiti strutturali evidenti, aggravati da una rosa incerottata e da alcuni interpreti che non offrono le garanzie necessarie. Il caso di Radunovic è emblematico: portiere capace di interventi straordinari tra i pali, ma sistematicamente incerto con i piedi, rischiando di compromettere quanto di buono costruito nel corso della gara. Lo stesso si può dire di Saco, ancora acerbo per la categoria, e di altri elementi che non sembrano in grado di garantire continuità. Per non parlare di Obaretin che appare in difficoltà quando c’è da spazzare via il pallone. E di Bellomo che azzecca una partita ed altre dieci no e con Falletti ancora poco incisivo. Insomma, le cartucce sono limitate e soprattutto senza grosse affidabilità.
Eppure, una nota positiva c’è: forse è nata una coppia d’attacco su cui fare affidamento. Favilli e Bonfanti, per caratteristiche e movimenti, si integrano bene, un po’ come i Cary Grant e Tony Curtis di “Operazione sottoveste” del calcio biancorosso. Se riusciranno a consolidare l’intesa, potrebbero diventare un’arma preziosa per un Bari spesso sterile sotto porta. Ma basterà?
Il calendario non aiuta. Le assenze di Maita e Benali per squalifica complicano ulteriormente la trasferta di Castellammare, e con una rosa già corta, il rischio di un’involuzione è concreto. Il mercato potrebbe offrire soluzioni, ma servono rinforzi non solo numerici, bensì qualitativi, altrimenti la squadra resterà prigioniera delle proprie debolezze. Poco fa è arrivato Maggiore ma il sospetto, nonché il timore, è che non basti per dare slancio alla rosa intera.
La vittoria contro il Frosinone non cancella i problemi, semmai li conferma. Il Bari ha lottato, ha resistito – peraltro su un campo infame che, tuttavia, ha tenuto bene -, ha sfruttato gli episodi, ma la sensazione è che senza un cambio di passo resti confinato in un limbo. Come scriveva Ernest Hemingway, “Il mondo spezza tutti, e poi molti sono forti nei punti spezzati”. Ed è proprio questo il punto: il Bari deve trovare la forza di trasformare le proprie difficoltà in crescita, perché la mediocrità è il peggior nemico di chi aspira a qualcosa di più.
Massimo Longo