Il ritratto doloroso e spietato di una famiglia disfunzionale attraverso uno sguardo candido e disincantato: Gipo Gurrado ha portato in scena al Teatro Kismet di Bari “Family. A Modern Musical Comedy”

Com’è l’incipit di “Anna Karenina”? Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo. Le parole di Tolstoj non si discutono, per carità, ma è pur vero che spesso esistono tratti ricorrenti nelle varie ipotesi di infelicità familiare. L’incomunicabilità è uno di questi, così come il condizionamento più o meno velato, il ricatto emotivo che fa leva sui sensi di colpa, il bisogno di meritare l’amore soddisfacendo le altrui aspettative. Le relazioni tra soggetti che tutto sommato non si sono scelti possono, nonostante l’amore (limitiamoci a situazioni in cui comunque il sentimento esiste) diventano difficili, in alcuni casi tossiche, sicuramente soffocanti e dolorose.

Sarà per questi elementi comuni a molte famiglie (con tipologie e intensità differenti) che lo spettatore può facilmente riconoscersi nei dialoghi, nei personaggi, nelle dinamiche raccontate in Family. A Modern Music Comedy di Gipo Gurrado (che ne firma libretto, testi, musica e regia), una produzione Elsinor, in tournée per la seconda stagione, in scena al Teatro Kismet di Bari nell’ambito della rassegna Attraversamenti 2024.25.

Va detto subito che Family è un musical ben diverso dalle formule alle quali siamo abituati (Gurrado non perde occasione per ribadire la distanza da Broadway e da spettacoli come Cats o Grease). Qui la drammaturgia è portata avanti unicamente dalle canzoni, alcune corali, altre concepite come veri e propri monologhi cantati. È uno stile molto particolare, e perciò stesso divisivo. Del resto, esistono modi diversi di fare le cose, e di sicuro il suo è un percorso coerente nella ricerca di un linguaggio personalissimo, giunto ormai alla quarta tappa: dopo Modì, l’ultimo inverno di Amedeo Modigliani (2012), attraverso Piombo (2017) e Supermarket (2019), Family è un nuovo tassello del suo modo di abitare la scena teatrale.

Gurrado racconta nevrosi e disfunzionalità di una famiglia degli anni ‘80, gli anni in cui lui stesso, ragazzino, cominciava ad osservare con occhio critico il mondo, recuperando poi, da adulto, situazioni e scenari propri e altrui, apparentemente nascosti ma ben presenti nella memoria.

I personaggi in scena sono esasperati e caricaturali negli abiti e nel modo di muoversi: grandi parrucche per i genitori, e un aspetto che ricorda i disegni che i bambini fanno della loro famiglia. I movimenti sono spesso meccanici, come se ci fosse una moviola che fa andare avanti e indietro, che può far avanzare ma anche in qualche modo annullare l’azione stessa. Alle pareti colori tenui, con tracce di parati consumati, che si spostano non solo a definire gli spazi, ma anche a circoscrivere l’azione e ad isolare persone e situazioni.

Una coppia deve andare a pranzo dalla madre di lei, che vuole riunire la famiglia per comunicare qualcosa di urgente e importante (lo ripeterà spesso, senza riuscire a farlo). Più o meno volentieri, i figli rispondono all’invito, già pronti ad affrontare le liturgie che ne scaturiranno, insofferenti ma rassegnati a vivere questo male necessario al quale non ci si può sottrarre.

E così riemergono i fragili equilibri, l’ambiguità e la complessità dei rapporti, i ricatti che più o meno consapevolmente vengono posti in essere, la difficoltà o il rifiuto di comunicare se stessi in modo libero e sincero. Sullo sfondo, con un chiacchiericcio che a tratti si fa invadente, un televisore sempre acceso verso il quale buttare un occhio, che talvolta copre i silenzi imbarazzati e riempie i vuoti della conversazione.

Gurrado disegna con cura personaggi assolutamente credibili, e dà a ciascuno di loro una identità ben precisa.

Una madre ansiosa, frustrata, giudicante, che vorrebbe ancora organizzare la vita dei figli; un padre che ha sempre con sè un quotidiano, scudo per sottrarsi all’interazione con il resto della famiglia, che ignora e dalla quale è ignorato; una figlia andata via di casa molto presto ma costantemente in ritardo nel vivere (così dice sua madre, e così finisce per pensare lei stessa); un genero che in qualche modo vorrebbe entrare in questa famiglia visto che la sua è praticamente inesistente; l’insicurezza del figlio minore che cerca inutilmente una breccia nel cuore del fratello maggiore, impermeabile ai sentimenti nel tentativo di proteggersi e non farsi coinvolgere.

La percezione dei fatti, dei colori e delle emozioni, quel tono vintage e caricaturale, quasi ci trovassimo davanti ad un cartone animato, sono lo sguardo particolarissimo di un personaggio candido, che si muove sul palco e che offre un punto di vista altro, disincantato e semplice, senza sovrastrutture (morbido, dice Gurrado). Sembra, in certi momenti, che sia l’unico capace di riunire, anche se per poco, queste monadi, l’unico capace di suscitare sentimenti che non si ha vergogna di esprimere.

Gurrado chiede ai suoi attori una capacità drammaturgica piuttosto originale e fuori dagli schemi, espressa attraverso monologhi cantati non sempre “puliti”, quasi ad eliminare uno sfavillio che toglierebbe realismo ai personaggi. Li invita a sporcare in qualche modo la voce, e a non perdere quell’ironia che sembra sottendere a tutto lo spettacolo e alla sua stessa idea di musical.

Duttili e partecipi di questa filosofia gli attori in scena: Andrea Lietti, Giovanni Longhin, Ilaria Longo, Nicola Fadda, Roberto Marinelli, Marco Rizzo, Elena Scalet, Paola Tintinelli. In profonda sintonia Maja Delak, che cura le coreografie e i movimenti scenici, Marina Conti per i costumi, e Stefano Giungato che si occupa della parte audio.

Come si diceva all’inizio, Family è uno spettacolo con una personalità forte, precisa e ben definita, quasi una provocazione: può piacere o no, indipendentemente dall’amore per i musical classici. In un contesto di musiche accattivanti e incisive, mi hanno lasciato perplessa alcuni monologhi cantati, in cui le parole davvero faticavano a trovare spazio nel rigo musicale. Resta un plauso sincero perchè è uno spettacolo coraggioso, autentico, coerente, molto curato in ogni sua parte, con un grosso lavoro di scrittura e con un disegno attento di ciascuno dei personaggi.

Imma Covino

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