
“Si sta spogliando l’odalisca
È già da un’ora che lo fa
Esasperante è il suo languore
Aiuto, l’orchestrina del mio cuor”
Nel 1917 Edward (Gonçalo Waddington) e Molly (Crista Alfaiate) dovrebbero sposarsi dopo sette anni di fidanzamento, Edward, funzionario inglese di stanza in Birmania scappa, Molly, partita da Londra, lo insegue. Nel mezzo: pioggia, Birmania, Myanmar, Cina, Giappone, meravigliose piante esotiche, deragliamenti, febbri, malattie, donne bellissime, occhi bellissimi, diplomatici, ricchi, schiavi, cameriere, scooter, karaoke e luna park.
In poco più di due ore Grand Tour ci porta in altri mondi, non solo geografici; i protagonisti della vicenda hanno modelli di comportamento fin troppo banali: lui è un irresponsabile bohémien preda di erezioni esplosive, lei è una donna fin troppo caparbia per non essere percepita come egocentrica e insensata, il terzo soggetto della vicenda è il ricco allevatore in cerca di affari in Oriente innamorato di Molly, Sanders (Cláudio da Silva) talmente perduto d’amore da salvarle la vita e poi lasciarla andare alla ricerca forsennata del suo fidanzato trovandosi derubato anche della sua gentile e solare cameriera Ngoc (Lang Khê Tran). Alla fine Molly muore nella foresta, viene ritrovata da due fumatori di oppio. Non c’è redenzione in questo film, i protagonisti non diventano migliori affrontando le difficoltà che la vita e il viaggio mette loro davanti, tutt’altro: entrambi restano ben ancorati alle proprie necessità (fuggire e raggiungere) tanto da utilizzare e sopraffare chiunque incontrino sulla loro strada, pagano e ottengono, anche a costo di vite umane, vite ovviamente di malcapitati indigeni.

Eppure Grand Tour è un film poetico, violentemente poetico. Proprio perché a mio avviso ha sacrificato la trama, la caratterizzazione dei personaggi, la morale, all’estetica. Perché proprio mentre sei lì a chiederti quanto sia codardo Edward o quanto sia assurda Molly o quanto fosse inumano l’impero britannico nei rapporti con i suoi sudditi, non puoi non rimanere completamente coinvolto dalla fotografia, dall’uso del bianco e nero, dalla colonna sonora, dalla magica sovrapposizione delle immagini girate nel 2023 sulle scene ricostruite in studio come se fosse Casablanca, questo film e il suo regista ci chiedono chiaramente di lasciarci andare, di aprire gli occhi e spegnere il cervello, che è un po’ quello che chiede Wes Anderson nei suoi film apparentemente naïf, pastellati figli del paradosso. Il film è ambientato nel 1917 ma è evidentemente girato negli ultimi anni, l’affascinante uso del bianco e nero e l’utilizzo di tecniche come l’iris rimandano però a un’epoca lontana del cinematografo, gli scooter si sovrappongono ai pescherecci novecenteschi, il karaoke al grammofono, le insegne al neon alle kentie e ai fiori di loto e tutto questo sovrapporsi produce un effetto straniante completato dall’alternarsi di lingue occidentali e orientali, momenti di vita quotidiana e grandi risalite fluviali. In realtà nel 2023 Miguel Gomes e la sua troupe sono partiti per un viaggio in diversi paesi asiatici, dando vita a un archivio di suoni e immagini su pellicola: la versione finale di Grand Tour è una miscela di queste riprese e di quelle sul set, fatte a Roma in un teatro di posa.

In Grand Tour non c’è necessità di capire, non c’è necessità di razionalizzare, la voce fuori campo che parla le più lontane lingue del mondo (sottotitolate) e ci racconta l’intera vicenda non è altro che balsamo per le orecchie, non ci sono contenuti, devi solo lasciarti andare, come in una meditazione guidata. Grand Tour mi ricorda le scene iniziali e finali di C’era una volta in America quando uno stordito Robert De Niro fuma oppio, rimanendo nel limbo del sogno e ci restano davanti solo le ombre cinesi proiettate su una tenda, ingenue rappresentazioni della realtà.
Il film è stato coprodotto dalla società portoghese Uma Pedra No Sapato con Vivo Film (Italia), Shellac Sud e Cinema Defacto (Francia) in collaborazione con The Match Factory (Germania), Rediance (Cina) e Creatps Inc. (Giappone).
Simona Irene Simone