Ritrovare l’altro capo del filo per uscire dal labirinto: cattura l’anima “Asterione -Il signore delle stelle” con la regia di Lello Tedeschi in scena all’Istituto penale per i minorenni “Fornelli” di Bari

Il mondo iperconnesso in cui viviamo ci fa sembrare quasi impossibile rinunciare, foss’anche per un paio d’ore, alle relazioni con l’esterno. Il digital detox che viene elegantemente venduto a prezzi esorbitanti per manager che mascherano la noia con lo stress, è realtà in un posto in particolare: il carcere. Affacciarsi in un penitenziario per un’occasione non lavorativa, significa mollare il mondo di fuori – il telefono, i soldi, le chiavi – per l’appunto, fuori, e mettersi faccia a faccia con la realtà, quella di dentro, sedersi in una sala di teatro mentre le porte a sbarre si chiudono dietro di te, in un esercizio di gestione dell’ansia da connessione e di negoziazione della libertà che è utile quanto insolito. Ma per il Teatro Altrove, per Sala Prove, il laboratorio permanente di teatro all’interno del Carcere Minorile Fornelli di Bari, si fa questo e altro, magari approfittando del tempo dentro per scambiare qualche parola per chi quel mondo lo vive quotidianamente.

Un testo che nasce nel 2001, e da allora non perde smalto e attualità. Tratto dal racconto di Borges, “La casa di Asterione”, “Asterione – Il signore delle stelle” vede alla regia Lello Tedeschi, in una produzione Compagnia della Sala prove / Teatri di Bari, Bembè – Arti Musicali e Performative. In scena, il giovane detenuto Lorenzo M. con Tommaso Scarimbolo, che cura anche la parte musicale con pianoforte e percussioni.

Il filo di Arianna si è spezzato, intrecciato su un microfono o in vivide rose di maglia. Asterione, che altro non è che il Minotauro, non potendo uscire dai cunicoli in cui è intrappolato, insieme a Teseo, lo arreda. E lo arreda di sogni, corse a perdifiato, visioni e racconti di un futuro che non arriva mai, e di un passato in cui è impossibile tracciare una soluzione di continuità.

Asterione, attraverso la musica e i suoi sogni, scopre che l’altrove rischia di diventare un male non necessario, e che l’attesa invece può trasformarsi in una splendida virtù.

Non è difficile ravvisare un continuo testo a fronte che è la lingua del carcere, un’interiorizzazione che parte sin dal laboratorio che Lorenzo ha affrontato per tutto l’anno. L’augurio è che Lorenzo, e tutte e tutti coloro che si trovano nella sua condizione, sognando come Asterione non solo imparino ad arredare il tunnel della condizione in cui si trovano, ma che riescano anche a riannodare una volta e per tutte il filo della propria esistenza, tessendone bellissime trame anche fuori.

Beatrice Zippo
Foto della Compagnia Sala Prove

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