Uno spaccato dell’Italia del dopoguerra che ci ricorda chi siamo, da dove proveniamo e quando ci siamo persi lungo la strada: avvince ed emoziona “Il treno dei bambini”, il nuovo lungometraggio di Cristina Comencini tratto dall’omonimo romanzo di Viola Ardone

E’ stato amore a prima vista!
Si, proprio quello verso “Il treno dei bambini“, l’ultimo lungometraggio di Cristina Comencini, tratto dal romanzo di Viola Ardone, passato nella rassegna Grand Public alla XIX Festa del Cinema di Roma ed ora in programmazione sulla piattaforma Netflix.

Dopo cinque anni dal suo “Tornare”, la Comencini riappare con una una bellissima storia vera e intrisa di speranza: quella dell’immediato dopoguerra in un’Italia del Sud e nello specifico in una Napoli devastata dalle bombe.

La vicenda prende vita da un flashback con un prologo in cui il protagonista Amerigo adulto (un convincente ed empatico Stefano Accorsi), un talentuoso violinista all’apice del successo, riceve la notizia della morte della mamma; da lì si fa un salto nel passato, ritrovandoci nella Napoli del 1946 dove Amerigo bambino (il carismatico e tenero Christian Cervone) di 8 anni vive con la sua mamma (l’intensa quanto credibile Serena Rossi), la quale a stento riesce ad andare avanti per poter togliere il figlio dalla morte certa per una seria denutrizione, come già accaduto ad un altro suo figlio.

In quel periodo, però, girava la notizia che il Partito Comunista stesse organizzando una sorta di “viaggi della speranza“, perché facevano salire a bordo dei cosiddetti “treni della Felicità” diretti verso Nord Italia, i bambini più bisognosi, sottraendoli momentaneamente dalle proprie famiglie per poter restituire loro un po’ di dignità e di forse fisiche, ma soprattutto quella leggerezza che tutti i bambini dovrebbero avere.

Da qui la scelta di Antonietta “mamma del Sud di far partire anche suo figlio, immaginando per lui un futuro, almeno nell’immediato, sicuramente migliore; così il piccolo avrà modo di conoscere Derna la sua “mamma del Nord” (la sempre bravissima Barbara Ronchi), una donna sola di Modena, inizialmente non pronta per questo importante impegno che, però, con il tempo prenderà la forma di un Amore incondizionato (commovente il momento in cui il piccolo Amerigo scoprirà la sua passione, il suo talento musicale dopo aver ricevuto in regalo un violino dalla famiglia adottiva e tramite il quale riuscirà poi a realizzarsi con grande successo).

Sarà questo filo rosso invisibile tra le due donne a creare per il giovane Amerigo un nuovo percorso di vita, passando, attraverso il silenzioso e struggente sacrificio di entrambe, dall’Amerigo combattuto bambino a quello adulto, il musicista affermato.

E’ da apprezzare l’intento della regista di non portare allo stremo l’emozione, rendendo tutto molto più discreto ed elegante, forse intenzionalmente, proprio per mettere in risalto l’aspetto umano della storia e non accennando ad elementi politici, come la differenza tra Nord e Sud; infatti, ciò che viene raccontata ed evidenziata è la solidarietà di persone sicuramente non ricche, ma semplici contadini che hanno messo a disposizione le proprie risorse, senza dubbio un atto realmente rivoluzionario per l’Italia in quel triste periodo storico.

L’altruismo, l’attivismo e la solidarietà femminile – e non solo – sono gli ingredienti di questo film che  ricorda, ma solo a tratti, anche la prima esperienza registica di Paola Cortellesi “C’è ancora domani“, oggettivamente e volutamente forse più incisiva per certi versi, mentre sono evidenti alcuni richiami inevitabili all’ultima opera di Gabriele Salvatores “Napoli – New York”.

La Comencini, figlia di Luigi regista di pellicole cult del cinema neorealista come “La ragazza di Bube“, “Incompreso” e “Lo scopone scientifico” o anche più leggere come “Pane, amore e fantasia”, senza dimenticare l’inarrivabile “Pinocchio” televisivo, porta a compimento un’operazione sicuramente ligia che racconta, accompagnandola anche con le musiche avvolgenti di Nicola Piovani, quello spaccato di un’Italia che ci ricorda chi siamo e da dove proveniamo, avendone noi perso il senso lungo la strada, e che le guerre sono ancora tra noi, anche se facciamo finta che non ci appartengano.

 Samantha Pinto

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