“Spectrum” del “Vision String Quartet” ha catturato il pubblico della LXXXIII Stagione della Camerata Musicale Barese per condurlo in una inedita e suggestiva esperienza sensoriale

Florian Willeitner, violino, Daniel Stoll, violino, Sander Stuart, viola e Leonard Disselborst, violoncello: sono i nomi degli straordinari musicisti che compongono il Vision String Quartet, formazione che ha inaugurato gli appuntamenti della rassegna “Solo Musica” della 83.ma Stagione della Camerata Musicale Barese presso il Teatro Kursaal Santalucia, gioiellino in puro stile liberty ed art decò riaperto al pubblico solo nel 2021.

Il concerto si è sviluppato in due tempi, il primo dei quali ha lasciato senza fiato il pubblico che si è trovato senza dubbio di fronte ad un’esecuzione senza eguali per il sol fatto che il “Quartetto per archi in fa maggiore” di Maurice Ravel è stato eseguito, per esclusivo volere degli illustri musicisti berlinesi, completamente al buio.

Questa “trovata” (nonostante le lucine in controluce lasciate accese – ahimè – per esclusivi motivi di sicurezza) è del tutto originale e ci ha consentito di vivere, dopo i primi istanti di naturale sorpresa, un’esperienza sensoriale unica non solo perché unico è stato il senso, quello dell’udito, ad essere stato attivato, ma perché unica, assolutamente inedita è stata l’idea di questi ragazzi di performare in siffatta modalità, vieppiù tutti in piedi, ad eccezione, naturalmente, del violoncellista. Con questa premessa, non poteva che nascere spontanea la volontà di viverci i quattro movimenti, in cui si snoda il quartetto di Ravel, ad occhi rigorosamente chiusi, così consentendo alla grazia dei temi e delle forme proprie della partitura del giovane compositore francese di attraversarci e condurci in fantastici voli armonici. Le svariate sfumature espressive della composizione ultimata dal giovane Ravel a 28 anni, sono state esaltate dai virtuosismi dei giovani e assolutamente simpatici berlinesi che l’hanno così resa esaltante e coinvolgente, tanto da, per riprendere l’incipit, portare il pubblico in un evidente stato di visibilio.

Come ci ha spiegato la perfetta ed illustre padrona di casa Gianna Fratta, i virtuosismi messi in campo dai quattro musicisti non devono essere letti con un’accezione circense né tantomeno funambolico, le idee che dalle corde dei loro strumenti prendono di volta in volta forma sul palco non vogliono dimostrare le loro capacità (che sono notevolissime) giacché anelano “solo” a creare emozioni nello spettatore. E ci riescono alla perfezione, le loro doti sono assolutamente naturali, gli arrangiamenti sono evidente frutto di un’attenta e continua ricerca di sonorità particolarmente nuove che li conduce in un campo ancora tutto da esplorare grazie alla loro capacità di muoversi tra repertori classici, e stravolgerli ma senza snaturarli, ma non solo; le loro composizioni e gli arrangiamenti sono energici, accattivanti, innovativi, proposti si in chiave jazz, pop, rock e folk – come nella bellissima “Sailor” in cui riviviamo atmosfere irlandesi – ma con uno stile del tutto personale che non ha pari per il valore aggiunto della loro maestria creativa e dell’uso poliedrico che fanno dei loro strumenti a corda che a volte vengono usati in modo affatto convenzionale.

E tutto questo è ciò che è, di fatto, esploso nella seconda parte del concerto in cui sono stati proposti brani estratti dal loro nuovo album “Spectrum”, titolo non casuale del quale si acquisisce piena consapevolezza, anzi certezza, alla fine della versatile ed “ampia” offerta musicale nella quale tutti gli strumenti hanno generato sonorità inedite e affascinanti, facendoci chiedere continuamente dove fosse il resto dell’orchestra.

E questo è un aspetto sul quale lo speaker del gruppo, Florian – che parla un ottimo italiano influenzato dall’accento marcatamente mitteleuropeo e che travolge per la sua innata simpatia – si sofferma, raccontandoci che non potendo far uso di batteria e di arpa hanno pensato (bene) di inventare suoni che potessero avvicinarsi al loro inconfondibile suono.

E’ così che nasce il peculiare “chop” (che in italiano si avvicina alla traduzione poco affine del verbo zappare), una tecnica che, facendo uso dell’arco in modo più energico sulle corde rende e sostituisce quello prodotto dai due strumenti assenti fisicamente ma non acusticamente. “Alternative endings” è uno di quei brani eseguiti nel quale è più evidente l’uso di “molti chop” che rendono il pezzo altamente ritmico sul quale è quasi impossibile rimanere educatamente fermi al proprio posto.

In “Plunk Ballade”, partitura scritta da Leonard Diseelborst (violoncellista) – sua è anche “Tripers” – è evidentissima, invece, l’introduzione di un’arpa irlandese “creata” ad hoc.

Del violista Sander Stuart, Florian ne esalta le doti artistiche per aver inventato, invece, molto più pragmaticamente, un porta archi – che ci mostra – per il compagno di formazione al violoncello, impegnato a suonare il suo strumento alternativamente con l’archetto e con le mani nei pizzicati del brano “Tripers”, nel quale ci appare subito evidente la velocità che l’esecutore deve garantirsi nei cambi di modalità operative.

La resa è perfetta. Dedicata al viaggiatore, questa scrittura è capace di farci immaginare l’esplorazione attraverso la simulazione del suono ritmico tipico delle rotaie sulle quali sfreccia un treno in corsa.

Con “Samba”, pezzo che ci pervade dello stesso calore della terra nel quale è nato il ritmo allegro e spensierato per eccellenza, si conclude il breve ma intenso evento musicale di questo ensemble (sulla scena internazionale da oltre 10 anni) iperconnesso al mondo dal quale trae continuamente ispirazione ed in continua evoluzione, che non ha smesso un attimo di sorprenderci per la freschezza, l’energia, la passione e le magnifiche sperimentazioni condivise che vi invito a ricercare in rete, sebbene sia fermamente convinta che solo i live possano generare emozioni, come quelle appena vissute, nella loro interezza e beltà.

Gemma Viti
Foto dalla pagina Facebook della Camerata

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