Finalmente BiG! “Nobody Nobody Nobody It’s Ok Not to Be Ok” di e con Daniele Ninarello dà voce alla pelle

If you show fear, the animal will sense it. If you try to escape, the animal will hunt you down. But if you remain perfectly still, without moving a muscle, the animal may not notice you, and you can hide in that unheard, safe and unknowledged, that someone else will be the prey.
Se mostrate paura, l’animale la capterà. Se provate a scappare, l’animale si lancerà al vostro inseguimento. Ma se rimanete perfettamente immobili, senza muovere un solo muscolo, l’animale potrà non notarvi, e potrete nascondervi inascoltati, al sicuro e inconsapevoli, che qualcun altro sarà la preda.”
(“The Square” – regia di Ruben Östlund)

Il BiG (Bari international Gender Festival) è sempre un’occasione molto gradita, per chi vuol farsi rapire da occasioni di arte e confronto fuori dalle convenzioni. Il festival transfemminista di cinema e arti performative su differenze di genere, identità e orientamenti sessuali, con la codirezione artistica di Tita Tummillo De Palo e Miki Gorizia, è organizzato dalla cooperativa sociale Al.i.c.e. (Alternative Integrate Contro l’Emarginazione).

Quando ci sono le performance del BiG non sembra di stare nella solita Bari, in quella che sta davanti ai locali a rompersi le scatole col bicchiere in mano come muro emotivo verso il cambiamento. Il pubblico del BiG è bello in tutte le sue forme, preso bene, desideroso di scambiarsi impressioni e sensazioni, prima e dopo le performance.
Non stupisce dunque che sia proprio il crocevia delle sensazioni, il corpo, l’argomento di questa edizione: BIGBODY.

Iniziata con “DOGOD” di e con Barbara Berti, una performance di contatto antispecista, e proseguita con “Tanatosi” di e con Piergiuseppe Di Tanno, una performance site specific sulla poetica della morte, ecco uno degli appuntamenti più attesi del cartellone di quest’anno: “Nobody Nobody Nobody It’s Ok Not to Be Ok”, di e con Daniele Ninarello, che cura coreografia e musica con l’accompagnamento alla creazione di Elena Giannotti, la drammaturgia di Gaia Clotilde Chernetich, le elaborazioni sonore di Saverio Lanza, la direzione tecnica di Eleonora Diana e lo sguardo esterno di Vera Borghini.

Ninarello inizia la sua performance in una musica e in una posa che sembrano reduci da un dramma appena accaduto: un sound che sublima la sensazione di quei morning after dell’acufene post ore sotto cassa, ruggente, ossessivo, ineluttabile. Il danzatore attende gli spettatori inerme, semisvestito, avvolto da un non spazio scenico. Chissà cosa succedeva, lontano dai nostri sguardi, mentre noi stavamo facendo altro. Piano piano ritorna in se stesso, e mette in pratica le parole del foglio che abbiamo trovato, di cui condivido un estratto: “Cara spettatrice e caro spettatore, oggi desidero dare voce alla pelle, portare in superficie ciò che troppo spesso in superficie non arriva, ripercorrere il mio corpo come una mappa di sensazioni che urlano dal passato. E forse, da qualche parte nello spazio che abitiamo reciprocamente, risuonare con te. Questa protesta è un tentativo di pronunciare ferite e di lasciarle muovere, parlare, ed esporre il flusso libero e autentico del corpo, per offrire la propria vulnerabilità come condizione attraverso cui lasciare operare la propria rivoluzione. Questa protesta è un’offerta.”

Proprio così. Ninarello, in presenza o in assenza di suoni, declina il suo corpo a confessarne l’autobiografia del dolore, con sprazzi del suo corpo che accettano e altri che si ribellano. Ristudiando linee purissime derivanti dallo studio della danza classica, jazz e contemporanea, in un esercizio che ho trovato per certi versi simile a quello fatto da Roberto Bolle ne “Il Gobbo di Notre Dame”, visto il giorno di San Valentino del 2013, le variazioni si decostruiscono per assecondare lo strazio del corpo e trovare alla fine della danza una nuova omeostasi.

Ma poi una redenzione, dai suoni sordi messi in elettronica, attraverso una chitarra acustica, e “un altro no, che le disse il mare”, affidato alle parole di Loredana Bertè in “E la luna bussò”. L’appello dei nomi dei partecipanti dal pubblico, per dirgli che “No, Daniele, non sarai solo”.

Una nuova danza, gioiosa e memore, chiude lo spettacolo.

Beatrice Zippo
photo credit Margherita Masè

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.