“Quando ascolti l’assolo di uno strumento musicale, capisci se quelle frasi sono sincere o se chi sta suonando sta solo facendo virtuosismi o esercizi. Quando c’è verità, lo senti: lo senti in uno strumento e lo senti nella voce umana. Il suono della voce è come lo sguardo: è quello che dice agli altri se siamo sinceri o no. Il suono della voce viene prima delle parole, prima della musica, prima della canzone. Se siamo convincenti, lo siamo già nella musicalità che mettiamo in quello che diciamo. Il suono della voce è una chiave per attraversare le frontiere. Se tu sei convincente, non importa in quale lingua stia cantando: gli altri ti capiranno.” (Ivano Fossati)
Chi vi scrive sa bene che il cronista per antonomasia non dovrebbe mai lasciarsi andare a proclami, ad asserzioni troppo entusiastiche, attento a soppesare e calibrare ogni parola, ogni espressione, soprattutto ogni emozione. Eppure, a volte, è davvero difficile restare prudentemente in bilico, non esporsi; ad esempio, appare del tutto impossibile non affermare, senza tema di smentita, che il tour Morabeza in teatro di Tosca (al secolo Tiziana Tosca Donati), che si è fermato al Teatro Forma di Bari nell’ambito della rassegna “Around Jazz” per due tappe, entrambe di fatto sold out, sia tra le cose più belle che siano state realizzate negli ultimi tempi, se non negli ultimi anni, se non, finanche, in assoluto in materia di musica live.
Figlio, come è naturale che sia, dell’album omonimo del 2019, in seguito rieditato con l’aggiunta del magnifico brano sanremese “Ho amato tutto” scritto da Pietro Cantarelli, e del successivo recente “D’altro canto”, il concerto, complici Massimo Venturiello e Joe Barbieri che ne hanno curato rispettivamente la parte teatrale e musicale, ne eredita il caleidoscopico susseguirsi di stili, idiomi, sonorità, specchio delle eccitanti innovazioni e fusioni di un incessante incrocio culturale che, ormai da tempo, è il marchio di fabbrica dell’artista, denominatore ed insieme segno indelebile della sua altissima cifra stilistica, perfettamente sintetizzata da Ivano Fossati nelle parole – riportate in apertura di articolo – che le ha dedicato all’interno del progetto video “Il suono della voce”. Ma se un tempo sembrava fosse Tosca a rincorrere queste musiche, queste storie, queste vibrazioni positive in giro per la Terra, oggi appare più che lapalissiano che sia lei il centro, il fulcro, il nucleo di un universo di luce accecante, un pianeta nuovo che ha le caratteristiche geografiche dell’Italia – e, ça va sans dire, della natia Roma – come della Francia e del Portogallo, ma anche del Centro e del Sud dell’America nonché del Nord dell’Africa, padrona assoluta di una creatività sconfinata, capace di assorbire, rielaborare, impreziosire ed, infine, donarci la musica – ogni musica – che le gira intorno e dentro, trasformando in note, parole e immagini le suggestioni assorbite dalla vita, restituendocele con la straordinaria e dirompente forza di un’idea, un concetto, una visione di vita che supera l’ambito artistico e che, poi, altro non è che l’estrinsecazione del suo mondo interiore, dotato di un’innata, preziosa e rara antenna che capta segnali ben oltre la superficie, un meccanismo che scava e arriva lì dove riposa la poesia, che al suo bacio, al suo tocco meraviglioso, al suono magnifico della sua voce, si risveglia e si palesa, indossando un lungo vestito melodioso.
Ha correttamente detto Imma Covino che aver assistito ad uno degli appuntamenti di questa tournée “è stato come partecipare ad un viaggio fantastico, essere stata al luna park, sotto una tenda berbera, nel fondo della mia anima, in mezzo ad un deserto, davanti a mia nonna che prepara i biscotti e tutta la casa profuma di cannella. È stato come sentire una lunga fascia di seta rossa, ma poi blu, ma poi gialla, avvolgermi per poi srotolarsi come si fa col “verruzzo” e dopo avermi presa, catturata, ammaliata, mi ha lanciata in aria ridendo. (…) Tosca non è solo un’artista, una cantante, un’interprete: è una donna che ti riversa addosso un mondo intero, un pozzo cui attingere, è una viaggiatrice che si aggira in un mercato di spezie a Zanzibar e annusa, assaggia, guarda, ascolta, e poi, quando torna a casa, svuota davanti a te la borsa della spesa; e le spezie, i frutti dal nome sconosciuto, le stoffe colorate sono tutte lì. E tu guardi e tocchi tutto, come un bambino stupito e curioso; e lei ti guarda e sorride, perché ancora una volta la magia è riuscita: Tosca è riuscita a catturati e a portarti nel suo mondo.”
C’è tantissima musica in questo tour e tante, tante parole, cantate ed anche recitate, sussurrate, suggerite all’orecchio, versatevi come ambrosia, ma ce n’è una sopra tutte, che crediamo sia il vero suggello del Tosca pensiero, e questa parola è “libertà” – probabilmente il vocabolo più volgarmente violentato e vituperato da altre bocche in questi giorni maledetti che ci è dato in sorte di vivere -, la stessa che ci commuove sino alle lacrime quando, pressoché in finale di concerto, viene cantata, quasi urlata, dalla band al termine del brano omonimo di Madeleine Peyroux, costruito sulle splendide liriche di Paul Eluard, anch’esso mutuato dalla sensibilità musicale di Joe Barbieri (per inciso, sarà anche lui ospite a brevissimo del Teatro Forma per registrarvi il suo primo live); ebbene, crediamo che ora come non mai Tosca possa dirsi assolutamente libera di decidere, di scegliere, l’unica capace di abbeverarsi – forse come solo la divina Mimì Martini è riuscita a fare prima di lei – a qualsivoglia fonte musicale, conscia di questo suo volere e potere attraversare a piedi nudi un percorso tanto tortuoso quanto affascinante “il cui traguardo – come ha detto lei stessa – è riuscire ad amare quello che fai”, godendo del viaggio stesso, cogliendone ogni attimo per poi centellinarne malinconicamente ogni goccia all’occorrenza nel corso della propria esistenza, lasciandosi catturare da quella sensazione di sottile dolore che accompagna i momenti più belli, intensi e preziosi del nostro presente e la certezza della loro irripetibilità, unicità, irrecuperabilità se non nella nostra memoria del passato prossimo, quella nostalgia che in capoverdiano è chiamata proprio morabeza.
Ed è lì che Tiziana ci fa entrare, fin negli angoli più reconditi ed inaccessibili della sua anima per goderne calore e colore, ne “La mia casa” (come dice lo splendido brano, eseguito in apertura di concerto, tratto dal citato cd “D’altro canto”, scritto da Francesca Corrias in portoghese ed adattato in italiano da Cristina Renzetti) qui ben rappresentata da un immaginario salotto sudamericano ideato dallo scenografo Alessandro Chiti, in cui – dolcemente invadente – soffia l’alito vitale dell’amata figura di Frida Kahlo e dei suoi imprescindibili feticci, che si anima della presenza della stessa Tosca e dei suoi sublimi amici musicisti, tutti di prim’ordine; Elisabetta Pasquale al contrabbasso, cavaquinho e voce, Fabia Salvucci alle percussioni e voce, Giovanna Famulari al violoncello, pianoforte e voce, Massimo De Lorenzi alla chitarra, Luca Scorziello alla batteria e percussioni, suonano, cantano, duettano in un continuo dono di musica, parole, passione e sguardi, diventando, di volta in volta, protagonisti e, soprattutto, formando un corpo solo durante tutta la raffinata ed intima ma anche divertita e divertente performance (che speriamo possa presto diventare un album dal vivo), padroni di un sound avvolgente, ipnotico, puro e contaminato, antico ma anche contemporaneo e finanche innovativo, in cui anche un tavolino può diventare “strumento” per diffondere musica ed indimenticabili emozioni, come accade con la splendida “Alfonsina y el mar”, scritta da Ariel Ramirez e Felix Luna e resa immortale da Mercedes Sosa.
Scorrono via poi, in un sublime istante di circa due ore, altre perle di indicibile bellezza, tra cui “Um a zero” di Pixinguinha, una versione brasileira di “Piazza Grande” del mai abbastanza compianto Lucio Dalla, “La bocca sul cuore” e “Giuramento”, in perfetto stile Joe Barbieri di cui viene ripresa anche “Cosmonauta d’appartamento”, “Via Etnea”, “Mio canarino”, “Hibrahim”, “Train de vie”, “Melache meluche”, “Vai saudade”, “Volver” e “Volta”, l’omaggio al popolo pugliese con la salentina “Bella ci dormi” e, naturalmente, “Morabeza” e la ricordata magnifica “Ho amato tutto”, che mette il suggello su di una serata indimenticabile giustamente salutata da una standing ovation, un vero prodigio che Tosca ha voluto, potuto e saputo donare al suo pubblico e – credo – a se stessa, cogliendo la Musica, e l’Arte più in generale, nel suo spirito migliore, nella sua missione salvifica, nella sua essenza vitale.
Pasquale Attolico
Foto di copertina di Dario Fazio
Foto dalla pagina Facebook di Tosca Donati